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Pasta 1908. Un nuovo progetto di reinserimento sociale dal carcere di Sondrio. Dedicato al gluten free

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Dal formaggio alla pasta, dalla pasticceria ai prodotti da forno, le specialità realizzate nelle carceri della Penisola aumentano sempre di più, così come il senso di solidarietà che spinge le associazioni di sostegno a realizzare progetti nuovi per il reinserimento sociale dei detenuti. L'ultimo è nato a Sondrio, con lo chef Marcello Ferrarini.

Il reinserimento sociale

Riabilitare i giovani detenuti, aiutandoli a valorizzare il tempo trascorso in carcere. E guardare al futuro arricchiti di una nuova professionalità. Sono questi gli obiettivi dei progetti di reinserimento sociale che negli ultimi anni hanno preso vita nel BelPaese. Perché il mondo del cibo e della tavola è sinonimo di convivialità per antonomasia ed è proprio sul senso di collettività e solidarietà che si basano le diverse iniziative sociali che coinvolgono i detenuti. In principio fu la Pasticceria Giotto dal Carcere di Padova, un caso così celebre che non necessita di introduzioni e che, per primo, ha dato voce ai detenuti, e poi Buoni Dentro, progetto di panificazione nato all’interno dell’Istituto Penale per Minorenni C. Beccaria di Milano, o ancora Cibo Agricolo Libero, iniziativa di Vincenzo Mancino, titolare del ristorante Proloco DOL di Roma, che ha trasformato la Casa Circondariale Femminile di Rebibbia in un caseificio. E molti altri progetti e manifestazioni affini.

 

Il pastificio

L'ultimo nato si chiama 1908, in onore dell'anno di fondazione della casa circondariale della Valtellina. Si tratta di una nuova pasta gluten free, prodotta nel laboratorio all'interno del carcere di Sondrio, una vecchia autorimessa trasformata in un luogo di lavoro con macchine professionali ultimo modello. A ideare il progetto, Stefania Mussio, direttrice del carcere, con il contributo di Provincia, Provveditorato di Milano e associazioni locali: “Ho voluto creare uno spazio dove i ragazzi potessero imparare un lavoro spendibile nel territorio, una zona turistica di eccellenza anche gastronomica”. L'aula, trasformata poi in pastificio, era stata inizialmente adibita come sala informatica, ma “il lavoro al computer mi sembrava lungo da imparare, e qui le condanne sono brevi, e anche complicato per molti stranieri che conoscono poco l'italiano”. E così l'idea della pasta, “la soluzione giusta per creare lavoro e quindi reinserimento sociale, unico deterrente alla recidiva”. 35 detenuti fra giovani, italiani e stranieri, già condannati con pena definitiva al di sotto dei tre anni: sono questi i nuovi artigiani del gusto senza glutine made in Italy.

 

La vendita

Un'iniziativa nata dal lavoro corale di più realtà, dalla cooperativa sociale L'ippogrifo, da 25 anni attiva nella casa circondariale, all'Associazione italiana celiachia, dallo chef Marcello Ferrarini, celiaco e noto volto televisivo di Gambero Rosso Channel, alla grafica Antonella Trevisan, che ha disegnato logo e confezioni della pasta. La campagna pubblicitaria è stata invece affidata al fotografo Mario Finotti, che ha curato le immagine per il depliant informativo. 60mila euro l’investimento per i macchinari, per produrre due tipologie di pasta secca più altre tre di pasta fresca all'uovo. “Abbiamo scelto un'attrezzatura in grado di produrre senza nessun additivo chimico, perciò usiamo solo farine di mais e riso”, spiega Alberto Fabani de L'ippogrifo, e continua: “Abbiamo cominciato a lavorare e riforniamo i negozi della zona di Sondrio, ma vogliamo allargarci, perché il mercato dei prodotti senza glutine è in crescita, ma non nella grande distribuzione. Noi siamo un prodotto artigianale e tale vogliamo rimanere”.

 

a cura di Michela Becchi


Le Delizie di Leonardo a Firenze, torna il festival gastronomico alla Mostra dell’Artigianato

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All’interno del ricco programma per la Mostra internazionale dell’Artigianato di Firenze, torna l’appuntamento con Le Delizie di Leonardo, il festival pop dell’enogastronomia giunto ormai alla terza edizione, che si focalizza sulle eccellenze delle produzioni italiane e sulla cultura gastronomica.

Artigianato e cibo a Fortezza da Basso

È l’81esimo appuntamento per la Mostra Internazionale dell’Artigianato di Firenze, ospitata come sempre alla Fortezza da Basso dal 22 aprile al 1 maggio 2017: un appuntamento unico per ammirare il meglio dell’artigianato italiano, dalle botteghe storiche della città ai maestri in arrivo da tutta Italia e anche dall’estero. All’interno del programma c’è spazio anche per l’enogastronomia, forse una delle forme d’artigianato più celebrate negli ultimi anni: Le Delizie di Leonardo prende il suo nome dall’ideatore del festival pop, Leonardo Romanelli, noto giornalista di settore che per la terza volta ha messo insieme un programma di iniziative e cooking show, con la partecipazione di chef affermati, giovani talenti e ristoranti tradizionali della città. Il padiglione Spadolini, grazie al supporto di Berto’s, diventerà il palcoscenico per dimostrazioni, degustazioni e assaggi, lezioni aperte e laboratori sulla cucina.

 

Il programma di Le Delizie di Leonardo

Sono tanti e vari gli eventi organizzati all’interno della rassegna che si svolge in contemporanea con la Mostra dell’Artigianato. Fra i cooking show segnaliamo quelli di Riccardo Monco e Luca Lacalamita (Enoteca Pinchiorri), Tommaso Cintolesi (Da Calino), Christian Borchi (L’Antica Porta di Levante),Simone Cipriani (L’Essenziale), Andrea Pierini (Al 588), Matia Barciulli (Osteria di Passignano). Da non perdere le degustazioni, come quella dedicata a tè e caffè, quella sul gelato, quella su grappe e distillati e, naturalmente, quella focalizzata sui vini dell’Appennino toscano e sulla Vernaccia. E ancora, il workshop sull’orto e sulle erbe spontanee a cura di Lisetta e Sabrina Somigli, gli appuntamenti del ciclo Photofood Live, i focus sui dolci e sui birrifici toscani, fino alle iniziative della sezione Barman show.

 

Le Delizie di Leonardo | Mostra Internazionale dell’Artigianato | Firenze | Fortezza da Basso, Padiglione Spadolini, piano attico | dal 22 aprile al 1 maggio, dalle 11 alle 21 | www.mostraartigianato.it/it/la-fiera/iniziative-speciali/422-le-delizie-di-leonardo-romanelli.html

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

 

 

 

VAN Vignaioli Artigiani Naturali. A Roma un weekend dedicato al bere secondo natura

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Un festival per tutti gli amanti dei vini naturali con una selezione variegata di etichette da Nord a Sud: nella Capitale, il 22 e 23 aprile torna VAN Vignaioli Artigiani Naturali, una due giorni all’insegna del buon bere fra degustazioni e seminari. 

L’associazione

La convinzione ispiratrice è che il vino continui a essere quella risorsa alimentare corroborante e salutare come è stata conosciuta nei secoli, e non debba essere ridotto al rango di bevanda qualunque, alterandone e correggendone sistematicamente i costituenti.  Questo il principio alla base di VAN Vignaioli Artigiani Naturali, associazione nata dal desiderio di più produttori di fare una corretta comunicazione sul concetto di vini naturali e che ha dato vita negli anni all’omonima manifestazione che periodicamente raduna i migliori vignaioli naturali della Penisola. “L’impegno di chi realizza vini naturali è quello di essere espressione del territorio che coltiva, della sua storia, tradizioni e cultura vitivinicola e alimentare”: questo il proposito dell’associazione. L’evento, in scena i prossimi 22 e 23 aprile alla Città dell’Altra Economia di Roma, chiama a raccolta vignaioli appassionati da tutte le regioni, da Nord a Sud, uniti dalla stessa filosofia per il vino artigianale, non convenzionale, autentico.

L’evento

Una due giorni per confrontarsi direttamente con i produttori, ascoltare le loro storie e farsi guidare negli assaggi, un festival rivolto agli addetti ai lavori, appassionati ma anche ai semplici consumatori interessati alla lavorazione e provenienza dei prodotti che acquistano. Ma non solo degustazioni: il programma della manifestazione è fitto di appuntamenti, dai seminari ai laboratori, che abbracciano e coinvolgono diverse tematiche e personalità del mondo vitivinicolo. Si comincia sabato 22 con le degustazioni dei vini e di tutti i prodotti agroalimentari dei territori coinvolti, ancora una volta provenienti da agricoltura biologica, biodinamica o naturale. Ad accompagnare le diverse etichette, infatti, ci sarà una selezione delle specialità regionali realizzate dagli stessi vignaioli o da altri artigiani che lavorano nel pieno rispetto della terra e dell’ambiente circostante.  Si continua poi domenica con il convegno “Agricoltura e burocrazia”, che vedrà protagonisti i vignaioli stessi, insieme a ospiti speciali da varie zone della Penisola, chiamati a raccolta per fare il punto sul panorama vinicolo italiano, che vede le piccole aziende agricole messe in seria difficoltà da obblighi e procedure amministrative e burocratiche che non sempre garantiscono la qualità dei prodotti o la tutela della salute dei consumatori.

 

VAN Vignaioli Artigiani Naturali | Roma | Città Dell’Altra Economia, Largo Dino Frisullo | 22-23 aprile 2017 | vignaioliartigianinaturali.it/

a cura di Michela Becchi

 

SoulCrumbs a Napoli. Panetteria-bistrot tra Nord Europa e Mediterraneo

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Pane con lievito madre e farine semintegrali, buon cibo di ricerca senza fronzoli, specialty coffee e vini naturali per la sfida di un duo napoletano che gli occhi aperti sul mondo. Raffaele Rega e Carlo Di Cristo ci provano a Napoli con un progetto su pane e cucina, che rompe con la tradizione, ma valorizza i prodotti locali. 

Pane, cucina, e...

Pane, specialty coffee, buon cibo senza troppi fronzoli, vini naturali. La filosofia di SoulCrumbs, a una settimana appena dall'apertura, è ben definita e ruota intorno a questi quattro pilastri. E tutto farebbe pensare – pure la progettazione minimal a spartana degli spazi, però molto ben congegnati -  a una di quelle bakery con cucina di stampo nordeuropeo che anche in Italia, specie nelle città più esposte ai venti dei trend gastronomici, stanno rapidamente prendendo piede come formula di ristorazione veloce, informale, e consapevole. Stavolta però siamo a Napoli, dove parlare di specialty coffee e azzardare un menu che non preveda primi piatti di pasta né carne, è ancora una sfida da non sottovalutare. Del resto il cuore pulsante della panetteria-bistrot inaugurata da Raffaele Rega e Carlo Di Cristo in via del Chiostro, non molto distante dal riuscito riassetto urbanistico di Toledo in una zona affollata di uffici, è e deve restare il pane: la ricerca sulla panificazione che è strettamente legata alla sperimentazione sulle fermentazioni, anello di congiunzione tra il banco della panetteria per la vendita al dettaglio e una cucina che dal pane trae spunto per concentrarsi sulle trasformazioni della materia prima. Che, per esempio, si nascondono dentro a un bicchiere di kvass, una bevanda a base di pane di segale rifermentato e rape di origine russa, che Raffaele realizza da sé. O dietro al sapiente utilizzo di tecniche ricavate dalla conoscenza di culture gastronomiche lontane: la nordica, in primis, ma pure quella orientale, che insieme contaminano l'offerta del pranzo e della cena.

Un biologo panificatore e uno chef napoletano “in arrivo” dal Nord

Dietro alla sinergia tra pane e cucina, unite nel segno della ricerca, ci sono due personalità singolari: Carlo Di Cristo, biologo e ricercatore di Zoologia all'Università degli studi del Sannio, da anni si cimenta con la panificazione, studiando il lievito madre con l'approccio dello scienziato che gli è più consono, “tanto da mettere a punto un processo di lavorazione che assicura la ripetibilità dei risultati, senza inficiare la qualità del prodotto. Perché il pane è un bel gioco, ma col lievito madre non si scherza, ha un'alta complessità biologica”. Un autodidatta della panificazione, che ha saputo trasformarsi in punto di riferimento per tanti addetti ai lavori sulla piazza napoletana, investendo nella propria formazione personale, perfezionando la tecnica accanto ai maestri, mettendo a punto formulazioni di farine ideali per il lavoro che più gli interessava, ricercando i molini migliori sul territorio. Raffaele Rega, anche lui napoletano, ha vissuto a lungo a Oslo, lavorando come chef a domicilio, avvicinandosi alla realtà gastronomica locale, sviluppando un concetto molto personale di cucina sostenibile, creativa, legata al mondo vegetale e alla selezione sapiente degli ingredienti (come alla loro trasformazione), tanto debitrice alle influenze straniere come alla tradizione mediterranea di casa propria. Insieme, i due, si sono ritrovati a Napoli circa un anno fa, insieme hanno studiato la formula che qualcuno ha conosciuto al Centro di Alimentazione Consapevole di Piazza Bellini, durante un ciclo di Saturday Brunch che sfidava l'idea del classico pranzo napoletano: un pasto frugale nel senso più genuino e goloso del termine, in tavola pane a lievito madre da farine integrali, il rugbrod (il pane di segale dei Paesi Scandinavi) che Carlo realizza artigianalmente, buon cibo, caffé e vini naturali.

SoulCrumbs: la mattina. Panetteria con caffè

Tutto quello che oggi attende chi varca l'uscio di SoulCrumbs, un progetto itinerante che ha appena trovato la propria dimensione stabile. Si apre alle 8.30, con formula caffetteria: le miscele sono quelle di Gardelli, torrefazione di Forlì di cui abbiamo già avuto modo di parlare: “A Napoli il rito del caffè non si tocca, noi cerchiamo di portare avanti un'altra idea” afferma convinto Raffaele “Sarà difficile, ma è il gusto che deve parlare. E presto proporremo una linea di specialty coffee, a caduta, caffè filtro, v60”. Dal banco si scelgono gli sfogliati in stile francese, croissant, pain au chocolat, brioche di segale. Tutte realizzate in laboratorio dalla squadra di Carlo. E poi c'è il rugbrod, il pane di segale venduto in cassetta, ottimo per la colazione, “da provare con la marmellata di mandarancio al cardamomo e magari un po' di stracchinato per dare acidità. È la fortuna di conoscere tanti produttori che ci fanno scoprire prodotti speciali”. Il pane c'è sempre, in arrivo ogni mattina dal laboratorio: “Lavoriamo da outsider su una piazza ancora legata al pane tradizionale, ricco di sale, crosta croccante, mollica umida. Molti all'inizio mi criticavano l'alveolatura eccessiva, che per me è una nota di merito”.

Del resto Carlo è poco interessato alle farine bianche, in cerca di stimolazioni aromatiche più complesse, che interagiscano col lievito madre, “dal semintegrale in su, per grano tenero, duro, farro, segale”; e da molini selezionati, come l'azienda beneventana di Gasperino Mirra, molitura a pietra e farine che spaziano dal  grano saragolla al Senatore Cappelli, dalla rosciola al farro dicocco. O il Molino Grassi, nel parmense, per il blend multicereali, che Carlo arricchisce con orzo tostato per conferirgli una bella colorazione scura. La segale, invece, è quella del Molino Marino. In negozio sono quattro le tipologie disponibili: il multicereali 2.0 Mediterranera, il pane misto (50% integrale e 50% semintegrale tipo 1), il Tutto semola, e il Rugbrod, impastato con birra stout, e presto disponibile anche con frutta secca e fichi.

Pranzo e cena. La proposta di Raffaele

Poi c'è la cucina di Raffaele, per pranzo e cena: “Al 90% verdure e pesce povero, con il pane e i cereali direttamente coinvolti nel processo creativo, e zero scarti”. A pranzo la sfida è quella di proporre soluzioni accattivanti per gli uffici: ci sono la marenna con provolone dei Monti Lattari, pomodorini del Vesuvio e scorza di limone, la selezione di smorrebrod, le insalate, la zuppa fredda, la panzanella multicereali. A cena (dal giovedì al sabato) esce fuori la vera anima di Raffaele, un menu breve – con possibilità di percorso degustazione, 4 portate a 28 euro – ricco di spunti, informale quanto basta per conquistare un pubblico giovane che vuole mangiare bene: il Bun con hamburger di palamita, la Cipolla con arancia arrostita, yogurt di melograno e capperi, la Passatina di ceci con torzelle e sashimi di coroniello (lo stoccafisso), la Fava con tonnetto stagionato e pecorino, i Carciofi finti arrostiti con yogurt, menta e limone, la Purea di patate con cicoria e pecorino.

Al vaglio una linea di dessert con verdura, frutta, cereali, come la proposta aperitivo, con tapas in stile e un buon calice di vino, “tutti naturali, una piccola carta che varierà spesso, per ora solo sei proposte a mescita e bottiglia, arriveremo a una decina”. Banco stile giapponese a vista per impiattamento e ultime finiture, con 8 posti a sedere, poltroncine per la colazione, e 25 coperti al piano interrato, per la cena. La sfida di SoulCrumbs è appena all'inizio, “non vogliamo essere un fenomeno, crediamo in quello che facciamo”. Le idee sono molte, come risponderà la piazza napoletana?

 

SoulCrumbs | Napoli | via del Chiostro, 11 | tel.392 0649045 | www.soulcrumbs.it 

 

a cura di Livia Montagnoli

Libri sul cibo per bambini. 10 imperdibili volumi sull'alimentazione

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L'educazione alimentare comincia in età infantile ma parlare di cibo, delle abitudini di consumo e dell'importanza di una dieta corretta con i più piccoli alle volte può diventare un'impresa ardua. E allora vengono in soccorso i libri per l'infanzia dedicati a questo tema tanto delicato quanto complesso. 

Educazione alimentare: il ruolo della cucina

A che età si può iniziare a parlare di dieta corretta e nutrizione con i bambini? Da subito, coinvolgendoli direttamente nelle scelte alimentari, a cominciare dalla spesa. Questa la risposta dei professionisti, che sottolineano l'importanza di una comunicazione chiara e diretta con i più piccoli, ponendo l'accento sulla centralità del ruolo di genitori e insegnanti nella formazione dei ragazzi. Perché non è mai troppo presto per iniziare a mangiare consapevolmente, e se trovare le parole giuste per affrontare il tema può risultare difficile, gli adulti possono fare affidamento su una ricca collezione di testi, italiani e stranieri, scritti appositamente per i bambini. “I volumi che si rivolgono direttamente ai ragazzi come lettori sono fondamentali per la loro consapevolezza alimentare”, spiega Giorgio Donegani della Fondazione Italiana Educazione Alimentare (Foodedu), e aggiunge: “Acquisire coscienza di ciò che si sta mangiando è un passo determinante per la crescita di un bambino”. Soprattutto oggi che i più piccoli stanno gradualmente perdendo il contatto con la realtà, la campagna e la cucina: “Spesso molti bambini non riescono a capire che il pollo comprato al supermercato è lo stesso che hanno visto nella fattoria, o ancora non vedono il nesso fra formaggio e latte. Fino a una ventina di anni fa questo non accadeva, perché si faceva esperienza diretta con gli alimenti assistendo la mamma in cucina, oppure, per i più fortunati, direttamente in campagna”. Perché in passato la cucina rappresentava “un luogo dove venivano tramandate ricette, tradizioni e la cultura del cibo”, un'usanza che si è andata gradualmente a perdere col tempo, “basti pensare anche alle architetture moderne, che spesso riservano alla preparazione dei pasti solo un 'angolo cottura'”.

I programmi tv e i libri

Un vero paradosso se si pensa alla sempre più frequente divulgazione della cultura gastronomica che avviene attraverso i media, televisione in primis. O no? “In realtà i programmi tv parlano della figura dello chef e mettono in luce l'aspetto più negativo della cucina, quello competitivo. Per insegnare ai bambini a mangiare bene e sano occorre eliminare qualsiasi fattore di ansia”. Vietato, dunque, far vivere allergie e intolleranze come un limite, e lo stesso vale per le scelte etiche come il vegetarianismo: “La diversità è una risorsa ed è bene iniziare a trasmettere questo messaggio ai nostri figli, a cominciare dalla tavola”. E i libri sono un ottimo mezzo per comunicarlo: “I testi sono in grado di stimolare la curiosità dei bambini e spingerli a informarsi di più sugli ingredienti che mangiano quotidianamente e quelli che invece non conoscono”. Un consiglio per i genitori? “Mai snaturare il cibo dal suo ruolo di sano piacere. Mangiare deve essere prima di tutto una gioia e la cucina deve essere un luogo di convivialità e familiarità. Basta gare e basta anche con questo rapporto morboso tra chef e brigata”.

Dieta corretta, cibi biologici, esotici, buone maniera a tavola: gli argomenti da affrontare con i bambini sono molteplici e tutti fondamentali alla costruzione della loro consapevolezza alimentare, e per ognuno di questi esistono uno o più volumi dedicati. Qui, abbiamo cercato di raccoglierne una decina, ma la lista è destinata ad aumentare nel prossimo articolo.

Aggiungi un gioco a tavola

Dal lavoro corale di psicologi, educatori, nutrizionisti, gastronomi e formatori nasce Aggiungi un gioco a tavola, libro suddiviso in due volumi, “Educare mangiando e crescendo insieme” e “Il mondo dei Govut”. Dedicato ai bambini ma anche agli adulti, affronta gli stessi argomenti con linguaggi paralleli in un percorso formativo per genitori e figli con un unico scopo: rendere i più piccoli protagonisti delle proprie scelte alimentari. Il punto di partenza di questo progetto è semplice: dire ai bambini di mangiare le verdure perché fanno bene significa creare, per sempre, acerrimi nemici delle verdure, mentre coinvolgerli giocando a riconoscerle, insegnando loro a toccarle, annusarle, tagliarle, abbinarle, cuocerle e degustarle insieme agli adulti, vuol dire trasmettere un'idea nuova del cibo come conoscenza e condivisione. E trasformare così le verdure, e più in generale una dieta sana, varia ed equilibrata, da antipatico obbligo a emozione e piacere.

Aggiungi un gioco a tavola | ed. Edueat | Euro 24,90

Frigorillo. Piccoli suggerimenti per una corretta alimentazione

Indicato per i bambini di prima e seconda elementare, Frigorillo è un racconto divertente nato dalla creatività di Sandro Barbalarga, che affronta in maniera semplice e delicata il tema della dieta. Frigorillo è un grande goloso che non riesce a gestire la fame e continua a ingrassare: i compagni di scuola iniziano a prendersi gioco di lui, tanto da spingerlo a iniziare una dieta. Con i consigli del Signor Melo, Frigorillo impara a mangiare meglio, scegliendo e abbinando gli ingredienti in modo corretto e soprattutto capendo che si può mangiare bene e sano senza rinunciare al gusto. Una storia adatta ai bambini di tutte le età che spiega in modo chiaro e diretto le conseguenze di un'alimentazione sbilanciata. Della stessa edizione, esistono anche altri due volumi, dedicati all'attività fisica (Frigorillo ama lo sport) e al riciclo (Bravo Frigorillo!).

Frigorillo | Emme Edizioni | Euro 12,33

Siamo quello che mangiamo

Una tazza di insetti potrebbe essere uno snack appetitoso? I succhi gastrici sono abbastanza acidi da dissolvere un chiodo di ferro? È vero che l'80% del sapore è dato dall'odore? A queste e altre domande si propone di rispondere Siamo quello che mangiamo, libro pensato per spiegare il funzionamento della macchina del corpo umano e ideato da più autori. Quale cibo ci fa crescere sani? Quale ci fa ammalare? Con un percorso didattico studiato su misura, il volume aiuta i bambini a capire come gestire i pasti, selezionare gli alimenti evitare o contenere e quelli da assumere quotidianamente per avere un apporto nutrizionale sufficiente.

Siamo quello che mangiamo | Ed. Giribaudo | Euro 12,90

Piccole Olive

Dalla raccolta al frantoio e dal frantoio all'imbottigliamento, passando per tutte le fasi di lavorazione, dalla frangitura alla gramola fino al filtraggio: Piccole Olive fa luce sul complesso universo dell'olio extravergine di oliva attraverso un racconto simpatico e alla portata di tutti, con un linguaggio semplice e diretto. Protagoniste di questa insolita storia sono proprio le olive, quelle buone e sane destinate a diventare dell'ottimo olio, ma anche quelle meno belle, non adatte alla frangitura. E sono le stesse olive animate a descrivere ai bambini tutta la filiera produttiva e le differenze fra le diverse varietà del frutto. A ideare il libro, le sorelle Monica e Simona Cognoli e Gianluca R. Mastronardi. Simona è proprietaria di un'oleoteca, Oleonauta, nel quartiere di Ostia Lido (Roma) ed è anche assaggiatrice e sommelier di olio extravergine di oliva.

 

Piccole Olive

Piccole Olive | ed. Libreria Efesto | Euro 15,00

Yum! Il cibo in tutti i sensi

Quando viene da lontano si dice che è esotico, quando viene da vicino è a chilometro zero, ma il cibo ha mille sfaccettature, colori e sapori, storie e tradizioni. Giancarlo Ascari e Pia Valentinis hanno cercato di radunare tutte le declinazioni del cibo in un unico volume che racconta curiosità e aneddoti legati al mondo della gastronomia, a partire dai cinque sensi. Valore aggiunto del libro sono le immagini dettagliate e curate da Pia Valentinis, illustratrice vincitrice del premio Andersen (più ambito riconoscimento attribuito ai libri per ragazzi) 2015. Origine e caratteristiche delle pietanze, storie delle ricette e dei luoghi che danno vita agli ingredienti: questi e molti altri i temi affrontati dagli autori per mostrare ai più piccoli quanto è ampio l'universo del cibo.

Yum! Il cibo in tutti i sensi | Ed. Franco Cosimo Panini | Euro 14,00

Ravanello cosa fai?

Per un bambino l’orto è l’ambiente ideale per apprendere non solo forme, colori, sapori e odori, ma anche per imparare la pazienza. È questo il concetto di base da cui Emanuela Bussolati è partita per scrivere il suo libro, che parla sì di coltivazione, ma abbracciando anche tempi più ampi come quello dell'attesa, la cura, la costanza e la pazienza. Perché seminare, curare i germogli, aspettare la nascita di una piantina significa imparare a rispettare i tempi della natura ed è proprio questo il messaggio che il volume si propone di diffondere: quanti giorni devono passare prima che un ravanello possa essere colto? Per scoprirlo, i più piccoli possono piantare i semi seguendo le istruzioni del libro e, nell'attesa, leggere le storie. Un racconto al giorno, ambientato nella campagna, accompagna il corso della natura, oltre a una serie di ricette a base di ravanello.

 

Ravanello cosa fai?

Ravanello cosa fai? | Editoriale Scienza | Euro 9,90

Mi piace piacermi

Si rivolge ai bambini ma coinvolge direttamente anche gli adulti: Mi piace piacermi è un volume pensato per rendere i più piccoli autonomi nelle loro scelte alimentari attraverso degli spunti originali e interessanti per favorire l'acquisizione di sane abitudini alimentari. Un testo ampio, articolato in nove unità, ognuna dedicata a una tematica specifica, dalla distinzione tra fame e “voglia” all'importanza dell'attività fisica, dal ruolo della frutta e verdura al bilanciamento dei vari ingredienti. Nessun conteggio delle calorie o dei grammi e soprattutto niente divieti: si possono mangiare i gelati e i dolci, ma con consapevolezza, decidendo se, quando e come fare determinate scelte alimentari in un percorso formativo e cognitivo rivolto a genitori e figli.

Mi piace piacermi | ed. Franco Angeli | Euro 41,00

A tavola con Verdeconiglio. Per scoprire l'alimentazione biologica

Nella fattoria di Verdeconiglio ci sono frutti profumati e dal sapore intenso, animali allevati con amore e insetti, piante, alberi che convivono in armonia nei campi, dove nascono prodotti sani e naturali. Il libro illustrato di Luca Novelli pone l'accento sull'agricoltura biologica e, ancor prima, sul rispetto della natura e l'ambiente che ci circonda. Invita bambini e adulti a scegliere materie prime coltivate secondo parametri che rispettano il territorio, attraverso filastrocche e immagini semplici e immediate in grado di coinvolgere i più piccoli. L'autore è laureato in agraria e si occupa da anni di libri educativi a tema scientifico per bambini.

A tavola con Verdeconiglio. Per scoprire l'alimentazione biologica | ed. Giunti | Euro 4,50

È ora di... mangiare sano!

Il topolino più amato della letteratura infantile questa volta sceglie di affrontare il tema della corretta alimentazione: Geronimo Stilton, noto personaggio fantastico nato dalla penna di Elisabetta Dami, ha appassionato ragazzi di età diverse con i suoi racconti avventurosi. In questo, il topolino non riesce più a indossare i suoi pantaloni e capisce così di doversi rimettere in forma. A scuola di Benjamin, il suo nipote prediletto, incontra la dottoressa Bilancina Pesogiusto, che gli dà qualche consiglio su come perdere peso in modo giusto. Calorie, cibi sani e non, quantità di grassi necessaria, acqua e attività fisica: con le dritte del medico, Geronimo Stilton riesce a eliminare i chili di troppo e tornare in forma, vivendo un'esperienza formativa e “stratopica”.

 

Geronimo Stilton

È ora di...Mangiare Sano! | ed. Piemme | Euro 6,50

Cosa fanno i dinosauri quando è ora di mangiare?

Una collezione di libri pensata per insegnare in maniera originale e semplice le buone maniere ai bambini. Come comportarsi prima di andare a dormire, come gestire i capricci e, naturalmente, come stare a tavola: questi i temi affrontati dai tre volumi della collezione Cosa fanno i dinosauri? Il libro dedicato all'atto del mangiare descrive l'ora dei pasti nelle case di 10 diversi dinosauri: mangiano con le mani? Poggiano i gomiti sul tavolo? Si puliscono la bocca dopo ogni morso? Attraverso 10 situazioni immaginarie e divertenti, Jane Yolen e Mark Teague spiegano ai più piccoli quali sono i comportamenti corretti da tenere nelle situazioni di convivialità e qual è l'approccio migliore al cibo. Consigliato per bambini dell'asilo, dai 3 ai 5 anni.

Cosa fanno i dinosauri quando è ora di mangiare? | ed. Il Castoro | Euro 11,00

a cura di Michela Becchi

 

Gusto in Scena 2017 a Venezia. Tanti chef per la Cucina del Senza

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Sono le spezie le protagoniste della nona edizione di Gusto in Scena, in programma il 23 e il 24 aprile a Venezia. Con un parterre di chef di livello a spiegare cosa vuole dire e come si fa la Cucina del Senza. 

La Cucina del Senza a Gusto in Scena

Togliere ingredienti per dare al piatto un tocco in più. Può sembrare un paradosso, ma la Cucina del Senza di Marcello Coronini è un’idea che fa il paio con i trend degli ultimi anni, oltre che con gli ultimi orientamenti dell’alta gastronomia. Sottrarre per rendere tutto più netto, pulito e soprattutto più salutare: come ogni anno la Cucina del Senza è al centro di Gusto in Scena, il festival organizzato dallo chef mantovano naturalizzato milanese, giunto ormai alla nona edizione.

Ma quest’anno, oltre a togliere una serie di elementi come il sale, i grassi e gli zuccheri, c'è qualcosa in più nel piatto, a rendere tutto più divertente: le spezie. È questo il tema centrale di questa edizione di Gusto in Scena, che si protrarrà dal 23 al 24 aprile a Venezia, alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista.

I protagonisti: chef e produttori

Saranno gli stessi chef e i pasticceri a svelare i migliori abbinamenti tra erbe e spezie, le scelte migliori in funzione della temperatura e della tecnica di cottura utilizzata. Fra i protagonisti Stefano Ciotti, Felice Lo Basso, Alfio Ghezzi, Herbert Hintner, Alessandro Gilmozzi, Denis Dianin, Paolo Teverini, Mara Martin e Luca Veritti, Luca Marchini, Maurizio Serva, Ilenia Bazzacco, Luigi Taglienti, Luca Marchini. Ma a Gusto in scena al centro dell’attenzione sono anche i piccoli produttori italiani, riuniti sotto i marchi “I Magnifici Vini" e “Seduzioni di Gola”, selezionati per l'alta qualità e perché seguono la filosofia del “meno e meglio”, eliminando dal processo produttivo ciò che non è indispensabile e magari anche dannoso per la nostra alla salute.

Fra le cantine e i produttori presenti al festival Arunda, Corte Capitelli, Doria di Montalto, Giorgi Wines, Maeli, Nino Negri, Acetaia Giusti, Benedetto Cavalieri, panificio San Francesco e molti altri ancora.

 

Gusto in Scena | Venezia | Scuola Grande San Giovanni Evangelista | Sestiere di San Polo, 2454 | tel. 041 718234 | www.gustoinscena.it

 

 a cura di Francesca Fiore

 

La Sardegna in 11 biscotti tradizionali e la ricetta delle pardulas della pasticceria La Dolce Vita

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Biscotti semplici ma dal sapore intenso, spesso vere e proprie opere d’arte, grazie ai decori delle sapienti mani di pasticcere e pasticceri locali. Sono le specialità sarde, alcune influenzate dai legami storici di questa terra con altre regioni d’Italia, altre uniche nel loro genere.

Per la rubrica sui biscotti regionali vi portiamo in Sardegna, con 11 preparazioni locali e la ricetta delle pardulas della pasticceria La Dolce Vita di Ghilarza, in provincia di Oristano, Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Amarettos de mendula

In questo viaggio fra le specialità locali è impossibile non partire dagli amaretti in stile sardo, una ricetta praticamente identica a quella piemontese, fatta eccezione per le armelline, assenti in questa versione e sostituite da un’aromatizzazione all’arancia. I legami storici fra Piemonte e Sardegna sono ben noti e si riflettono nelle tradizioni culinarie isolane, soprattutto per quanto riguarda le zone più a nord. Così, molte specialità della pasticceria piemontese sono arrivate in terra sarda, alcune legate alla ricetta originale, altre rivisitate. È il caso degli amaretti di mandorla, che si preparano con mandorle dolci e amare, zucchero, albumi d’uovo montati a neve e acqua di fiori d’arancio. In alcune zone del Nord Sardegna c’è una versione un po’ diversa, chiamata amarettos is pabassinase che prevede l’aggiunta all’impasto di uvetta passa e sapa. Sono biscotti facili da preparare: si riducono le mandorle a farina insieme allo zucchero e a parte si montano gli albumi. Si uniscono i due composti facendo attenzione a non smontare gli albumi e si ricavano delle palline da schiacciare leggermente e passare prima nell’acqua di fiori d’arancio e poi nello zucchero. Infine, si infornano a 170 gradi per 20 minuti.

 

Amarettos de mendulaAmarettos de mendula

 

Anicini

Il Piemonte non è l’unica regione a vantare legami storici con la Sardegna: altrettanto avviene con la Liguria, in questo caso nelle zone più a Sud dell’isola. Qui, nela metà del XVIII secolo, l'arrivo all’isola di Carloforte da parte di coloni genovesi provenienti dall'isola di Tabarca, vicino Tunisi, portò una a una mescolanza unica, risultato dell’apporto di tre differenti culture. Sono tante le specialità qui importate dai genovesi (un piatto tipico, ad esempio, è la pasta alla carlofortina, con sugo di pomodoro, tonno e pesto di basilico) fra cui anche gli anicini, di cui abbiamo già parlato nella puntata sui biscotti liguri. Gli ingredienti sono gli stessi, con l’eccezione del vermouth, presente solo nella ricetta sarda, e dell’olio, che in questa versione sostituisce il burro.

 

AniciniAnicini

 

Biscotti di Fonni

Biscotti di Fonni o savoiardi? In pratica sono la stessa cosa, in virtù del già citato legame fra Sardegna e Piemonte. Questi dolcetti - utilizzati anche qui sia per il tiramisù che per la colazione - sono molto diffusi in Barbagia, una vasta zona montuosa che si estende sui fianchi del massiccio del Gennargentu e comprende la provincia di Nuoro e la nuovissima provincia del Sud Sardegna (che a sua volta riunisce le ex province del Medio Campidano e Carbonia-Iglesias). In particolare sono molto celebri quelli di Fonni, nella Barbagia di Ollolai, la subregione più settentrionale: qui sono chiamati anche pistoccus. Per riprodurli a casa servono solo tre ingredienti: uova in grandi quantità, e due parti uguali di zucchero e farina.

Si inizia montando tuorli e zucchero e, a parte, montando anche gli albumi a neve fermissima. Si mettono insieme i due composti, mescolando dall’alto verso il basso. Infine si aggiunge la farina ben setacciata, facendo attenzione a lasciare l’impasto abbastanza liquido. Si mette il tutto in un sac à poche e si creano delle lunghe strisce di impasto, abbastanza distanziate fra loro. Si infornano su una placca rivestita di carta da forno per 15-20 minuti a 180 gradi.

 

Biscotti di Fonni o pistoccusBiscotti di Fonni o pistoccus

 

Copulettas

Biscotti ripieni molto diffusi in Gallura, la parte nord-orientale dell'isola, famosa per le coste selvagge e per lo splendido mare: un territorio che fa parte della provincia di Sassari e ogni anno richiama turisti da tutto il mondo.

Le copulettas sono dolcetti a forma di mezzaluna, farciti con ingredienti che variano di paese in paese, ma i prodotti di base della farcia sono mandorle, marmellata, miele e sapa (o saba, ingrediente che vi abbiamo già raccontato nell’articolo sui biscotti emiliani), a cui si possono aggiungere anche scorze di arancia o limone, vaniglia, albumi d’uovo montati a neve. La pasta è realizzata invece con farina, zucchero, uova, strutto, latte intero e lievito.

Una volta create le mezzelune, è tradizionale il taglio con la rotella tagliapasta, in modo che i bordi vengano arricciati, e la copertura con una glassa fatta di acqua e zucchero.

L’origine delle copulettas è legata ai matrimoni e ai battesimi: sulla parte superiore dei dolcetti, ancora oggi si incidono le iniziali dei futuri sposi o del bambino che riceverà il sacramento. Nel caso in cui siano preparate per queste celebrazioni, si usa aggiungere in cima ai biscottini delle palline di zucchero argentate.

 

CapulettasCapulettas

 

Gallettinas o pistoccheddus grussus

Biscotti originari del Monte Linas, nella Sardegna sud occidentale, dove vengono chiamati gallettinas, mentre in altre zone sono più conosciuti come pistoccheddus grussus. Sono i classici dolcetti da colazione, molto friabili e leggeri, con un deciso gusto di limone. Per riprodurli a casa servono farina, zucchero, uova, strutto, latte, lievito e scorza di limone.

Si parte lavorando le uova con lo zucchero in una ciotola e mettendo a scaldare il latte in un tegamino, senza farlo bollire. In un altro tegame si fa sciogliere lo strutto molto lentamente, tenendo la fiamma al minimo. Si aggiunge la scorza di limone al composto di zucchero e uova e si versa anche lo strutto, poco per volta. Nel frattempo si mette il lievito nel latte, badando che non sia troppo caldo, per evitare di inficiarne l’azione. Infine, si versa anche il latte nella ciotola con il composto e - anche questa poco per volta - la farina. L’ordine degli ingredienti è molto importante: solo così sarete sicuri di ottenere la giusta morbidezza.

Quando il tutto è ben amalgamato si stende su una piano di lavoro creando una sfoglia da 1 centimetro circa e si taglia nelle forme desiderate, solitamente a rombi. Come ultimo passaggio, si spennellano i biscotti con del liquore, quasi sempre maraschino, e si infornano a 200 gradi per 15 minuti.

 

Gallettinas o pistoccheddus grussusGallettinas o pistoccheddus grussus

 

Mustazzolos di Oristano

Anche in questo caso una versione locale dei mostaccioli, biscotti diffusi con le dovute varianti in tutto il centro-sud Italia, in particolare in CampaniaPuglia, Molise, Umbria e Abruzzo. La caratteristica di questa versione sarda risiede nella tecnica di preparazione, e in particolare nella fase di lievitazione, che una volta durava ben due settimane, mentre oggi si riduce a “soli” due giorni. Gli ingredienti sono in parte simili a quelli dei mostaccioli di San Francesco (Umbria): differiscono per l’assenza di uova e del mosto d’uva, non presenti nella ricetta sarda, che in compenso prevede la glassa sulla parte superiore dei biscotti. Gli ingredienti sono farina, zucchero, lievito, cannella e scorza di limone, mentre per la glassa servono zucchero, acqua e liquore (ancora una volta il maraschino) oppure acqua di fiori d’arancio, se si preferisce un gusto più delicato.

 

Mostazzolus di OristanoMostazzolus di Oristano

 

Papassini

Niente ossa o fave dei morti in Sardegna per il due novembre, piuttosto tanti fragranti papassini. Sono biscotti di pasta frolla decorati con la glassa e arricchiti con uva passa: papassa, opabassa,è appunto il nome sardo di questo ingrediente. La ricetta di base è già ricca, inoltre ci sono piccole varianti secondo la specifica zona di provenienza: alcuni aggiungono nell’impasto la sapa, altri la cannella, il finocchietto selvatico o il liquore all’anice, oppure si fanno variazioni della glassa, che può essere a base di albume d’uovo oppure di acqua.

 

PapassiniPapassini

 

Ad ogni modo, quello che non deve mancare perché siano dei veri papassini sono farina, mandorle, gherigli di noce, uva passa, zucchero, lievito, strutto (nelle versioni più moderne sostituito dal burro), uova intere più tuorli, scorza di limone e arancia, un pizzico di sale. Si parte lasciando rinvenire nell’acqua l’uva passa e tritandola insieme al resto della frutta secca. Poi si impastano insieme uova, tuorli, farina, zucchero, lievito, strutto ammorbidito e il pizzico di sale. Infine si aggiunge il trito di frutta secca e le scorze di arancia e limone. Si avvolge la massa in una pellicola e si fa riposare in frigorifero per una mezz’ora. Trascorso il tempo di riposo, si riprende l’impasto per qualche minuto e si stende in una sfoglia alta due centimetri circa, da cui si ricaveranno dei biscotti a forma di rombo. Infine si infornano a 180 gradi per 20 minuti circa.

 

Pardulas

Tipici dolcetti pasquali chiamati pardulasnelle zone del Sulcis, nel cagliaritano e nell’oristanese, casadinasin Barbagia e nel Logudoro, formaggellenel resto dell’isola. A metà fra il biscotto ripieno e la tartelletta farcita, le pardulas esistono sia in versione dolce che salata, e assumono diverse forme secondo la zona di produzione. La base è una frolla mentre il ripieno può essere di ricotta, che darà ai dolcetti un sapore particolarmente delicato, oppure di formaggio fresco, che invece conferirà loro un gusto più deciso.

 

PardulasPardulas

 

Per i dettagli sulla preparazione delle pardulas vi rimandiamo alla fine di questo articolo: è questa la ricetta che ci siamo fatti regalare dalla pasticceria La Dolce Vita di Ghilarza, in provincia di Oristano, Due Torte nell’edizione 2017 della guida Pasticceri&Pasticcerie.

 

Pastissus o pastine reali

Spesso in Sardegna i dolci e i biscotti destinati alle cerimonie sono vere e proprie opere d’arte, decorati dalle abili mani delle is drucceras, le casalinghe-pasticcere chiamate appositamente per queste ricorrenze. È il caso della pastissus, conosciute così nella zona di Cagliari, chiamatepastine realinel Campidano, capigliettasnella zona di Borore (Nuoro) e timballinasnell’alto Oristanese. Sono biscotti composti da un cestino di pasta sfoglia, con un ripieno morbido alle mandorle, ricoperti con sa cappa, la glassa di zucchero aromatizzata ai fiori d’arancio. Nella parte superiore una serie di decori di glassa, arricchiti da s’indoru, la foglia d’oro. Riprodurre a casa la maestria delle donne sarde è davvero difficile, ma si può ricreare una versione base delle pastissus, con pochi semplici ingredienti. Per la pasta, che i sardi chiamano pasta violata, occorrono farina (00 o rimacinato di semola, secondo le zone), strutto, zucchero e un po’ d’acqua. Mentre per il ripieno farina di mandorle, zucchero, uova, lievito, scorza di limone e liquore all’anice.

 

Pastissus o pastine realiPastissus o pastine reali

 

Pistoccheddus di Serrenti

I biscotti dalla pasta croccante ricoperti di glassa decorata tipici del territorio di Serrenti, Sud Sardegna, vengono chiamati anche pistoccheddus de cappa. Sono modellati dai pasticceri locali a forma di animali oppure a forma di esse. Sono impastati con due farine, semola e grano tenero, a cui si aggiungono uova intere e tuorli, strutto, zucchero e scorza di limone in abbondanza. Una volta data la forma ai biscotti, si infornano a 180 gradi per 15-20 minuti. Nel frattempo si prepara la glassa a base di albumi montati a neve, zucchero e succo di limone, che verrà spalmata sui biscotti tiepidi, mettendoli nuovamente in forno a 50 gradi per qualche minuto, in modo da far rassodare il tutto.

 

Pistoccheddus di SerrentiPistoccheddus di Serrenti

 

Tiriccas

Tiriccas, tiliccas, tericcas, tziliccas, cucciulendi e meli, caschettas, cotzuli, fraones, seddines, panigheddose cosi via: si tratta – ancora una volta - di biscotti tipici del periodo dei morti, il cui nome varia secondo la specifica zona di produzione. Originari delle zone centrali della Sardegna, sono diffusi in tutta l’isola. Si preparano con la pasta violata e con un ripieno chiamato pistiddu. Per la pasta gli ingredienti sono sempre gli stessi: farina di semola, strutto, acqua tiepida e, a piacere, un po’ di zucchero. La farcia invece è composta da farina di semola, mandorle dolci sgusciate e tritate, sapa, scorza di arance e cannella. Una volta creato. l’impasto può essere suddiviso in tanti pezzettini e messo negli stampi, oppure si possono tagliare dalla massa delle striscioline di pasta lunghe circa 12-14 centimetri, da arrotolare insieme al ripieno, ricreando così la forma originale, “a goccia”. Infine, si possono decorare nella parte superiore con glassa realizzata con albume d’uovo, zucchero e succo di limone.

 

TiliccasTiliccas

 

Ricetta delle pardulas della pasticceria La Dolce Vita di Ghilarza, Oristano

 

Ingredienti:

per la pasta

1 kg di farina di semola rimacinata

150 g di strutto

100 g di zucchero

sale q.b.

acqua q.b.

 

per il ripieno

100 g di farina 00

150 g di lievito

1 kg di ricotta (in alternativa formaggio fresco)

200 g di zucchero

160 g di tuorli d’uovo

1 limone

scorza di 2 arance

zafferano e latte a piacere

 

Procedimento

Mettere la farina di semola a fontana su un piano di lavoro e versarvi al centro l’acqua calda dove precedentemente si è fatto sciogliere lo strutto. Aggiungere lo zucchero, il pizzico di sale e impastare fino ad ottenere una masso soda e liscia, abbastanza consistente. Se necessario, aggiungere altra acqua tiepida. Avvolgerla con della pellicola e lasciarla riposare in frigorifero per almeno un’ora.

Per il ripieno spurgare la ricotta il più possibile dal siero, mettendola in un canovaccio su un colapasta (passaggio da saltare se si utilizza il formaggio fresco). Una volta scolata la ricotta, lavorarla insieme alla farina, ai tuorli d’uovo, al lievito, allo zucchero, alla scorza e al succo degli agrumi. In alcune zone della Sardegna a questo punto si aggiunge anche un po’ di zafferano sciolto in un goccio di latte caldo. La farcia deve essere piuttosto densa: una volta raggiunta la consistenza giusta suddividerla in tanta piccole palline.

Tirare fuori la sfoglia dal frigo, stenderla e ricavare dei dischetti di circa 8 centimetri di diametro. Posizionare al centro di ogni dischetto una pallina di ripieno e pizzicare i bordi della sfoglia, in modo da formare un cestino. Infornare in forno già caldo a 170 gradi circa per 30-40 minuti. Spolverarle con zucchero a velo e servire.

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

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Du's Donuts and Coffee a New York. Wylie Dufresne si rimette in gioco... Con le ciambelle fritte

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Il guru della cucina molecolare americana, dopo la chiusura del Wd-50 alla fine del 2014, sembra lontano dai fasti di un tempo. Ma tra pochi giorni torna sulla piazza newyorkese con un nuovo format di caffetteria, dedicato alla ciambella più famosa d'America: il donut. 

Il ritorno di Dufresne

Mentre in città tutti aspettano di vedere Mark Ladner (ex Del Posto) alle prese con il fast food dedicato alla pasta che lo chef ha ideato e perfezionato negli ultimi mesi per mettersi alla prova al Greenwich Village con un pubblico più eterogeneo, e una proposta informale, veloce, a piccoli prezzi, è l'imminente ritorno di Wylie Dufresne a catalizzare l'attenzione della scena gastronomica newyorkese. Anche perché pure il maestro della cucina sperimentale – lo chef genio e sregolatezza del Wd-50, ormai lontano dai fasti di un tempo – ha deciso di cimentarsi  con un'insegna piuttosto distante dall'allure gourmet che l'ha reso celebre nel mondo della ristorazione d'autore. E così, a partire dal 26 aprile, il suo rilancio sulla piazza di New York dipenderà dall'accoglienza che la città saprà riservare alle ciambelle fritte di Du's Donuts and Coffee, caffetteria devota all'arte del doughnut (meglio conosciuto come donut), il dolce ipercalorico, ripieno o semplice, con glassa o confettini, che l'America ha saputo esportare nel mondo. Solitamente associato all'immaginario del fast food senza troppe pretese. Il corner di Dufresne -  ospitato all'interno del William Vale Hotel in una zona di Williamsburg un tempo solo polvere e magazzini e oggi affollata di ambiziose strutture alberghiere – invece, è frutto di una sperimentazione laboriosa, condotta negli ultimi mesi nelle cucine del Nomad Bar  di Daniel Humm insieme a Colin Kull, pastry chef e panificatore d'esperienza, per soddisfare un pallino che lo chef (da sempre noto per le sue stravaganze gastronomiche) matura da molto: aprire un donut shop diverso da tutti gli altri.

 

Le ciambelle di Du's

Così, dopo la chiusura repentina dell'insegna di Clinton street per turbolenze immobiliari nell'autunno 2014 e la conclusione della parentesi Alder l'anno seguente, Dufresne sembra aver scelto di rinviare ancora un ritorno incisivo nella ristorazione che conta, per dedicarsi a concretizzare un sogno nel cassetto piuttosto curioso. Du's servirà dieci varianti di donut, per l'asporto o da consumare al banco, sbirciando attraverso la vetrata nel bel laboratorio a vista. Tra le proposte, oltre ai classici della tradizione americana (mela e cannella, al caffè, con cioccolato, ma piccante), anche la ciambella all'arancia e passion fruit, quella con banana e briciole di cereali, con burro d'arachidi e yuzu, al sesamo e melograno o con fragole disidratate e panna. Mentre le miscele di caffè arriveranno dalla vicina torrefazione cittadina Brooklyn Roasting Company. E se qualche fan di Wylie Dufresne (e dei bei tempi andati) non volesse rassegnarsi a ordinare un donut, il menu potrebbe ampliarsi presto con proposte più varie per colazioni salate (a questo proposito merita una visita Atlail nuovo concept del messicano Enrique Olvera a New York, già destinato a diventare una “catena”) e pausa pranzo: sandwich con uova e formaggio, piatti studiati in collaborazione con altri chef, vino, birra e cocktail d'accompagnamento (con l'idea di un pairing inedito tra un donut Old Fashioned e l'omonimo classico della miscelazione). Per ora, però, le indimenticate uova alla Benedict del Wd-50 restano un miraggio.

 

Du's Donuts and Coffee | New York | William Vale Hotel, 107 12th street Brooklyn | http://www.dusdonuts.com/

 

a cura di Livia Montagnoli


LùBar, la nuova caffetteria della Galleria d’arte moderna di Milano

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La vista spazia sulla Villa Reale, che per molto tempo ha rappresentato l’ingresso fisico e simbolico per chi arrivava in città da Vienna. E il contesto signorile in cui è immersa, circondata dal Parco Indro Montanelli, non troppo distante dalla casa-museo Villa Necchi Campiglio, è piacevole alla mente e al corpo. Sarà anche per questo che a Milano l'inaugurazione della nuova caffetteria della Galleria d’arte moderna è stata accolta con grande piacere dai milanesi e non.  

La GAM Milano si arricchisce della caffetteria LùBar

Il bar occupa il portico sud della Villa Reale, un tempo porticato di transito per le carrozze e limonaia, e ora recuperato come giardino d'inverno che gioca sulle trasparenze delle grande vetrate e sui materiali originali del '700. Il porticato ospita, insieme al bellissimo monumento Lambertenghi di Berthel Thorvaldsen, i tavolini del nuovo locale in un'ambientazione che, nel rispetto dell’antica struttura, rievoca l’atmosfera di un'orangerie. Immancabili le piante (e le palme). A completare la scenografia un piccolo parco dedicato ai bambini e arredato con sedie personalizzate firmate Kartell. Aperta da martedì a domenica, dalle ore 8 alle 24, la caffetteria è stata data in concessione per 10 anni (più 5) a LùBar, il progetto di street food nato in Sicilia nel 2013 da Lucilla, Lucrezia Ludovico Bonaccorsi.

La proposta gastronomica

I tre fratelli hanno infatti coniato lo slow street food partendo dalla Sicilia e coinvolgendo tutta l'Italia e parte dell'Europa. A Milano, però, hanno trovato una sosta fissa per la loro ape Piaggio color beige. Prima su un mezzanino della fascinosa Stazione Centrale, tra marmi e sculture liberty, facendo assaporare a cittadini e turisti di passaggio le specialità della Trinacria. E da pochi giorni anche nel portico della villa settecentesca. Alla GAM la proposta è coerente alla loro filosofia, dello slow street food dicevamo, con prodotti tipici siciliani, come cannoli di ricotta, granite alla frutta e latte di mandorla (cosa c'è di più rinfrescante in previsione dei caldi pomeriggi d'estate milanesi?). E ovviamente gli arancini, proposti al ragù, ma anche rivisitati con carciofi e speck, gamberetti e pistacchio o alla norma. Si bevono, ovviamente, birre e vini dell'isola.

 

Caffetteria della Galleria d'Arte Moderna di Milano LùBar | Milano | via Palestro, 16 | tel. 02 83527769 | aperto da martedì a domenica, dalle ore 8 alle 24

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

Molo5 sul Lungarno. L’estate fiorentina in 4 tappe street food, da Koto Ramen al lampredotto di Nigro

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Più di tre mesi lungo l’Arno per trascorrere una serata all’aria aperta all’insegna di musica, cocktail e buon cibo di strada. Molo5 esordisce tra gli appuntamenti dell’estate fiorentina con un team di truck e stand d’eccellenza, dal lampredotto di Nigro agli yakitori di Koto Ramen, dalla pizza bio di Simbiosi al polpanino del Polpaio. 

Sul Lungarno con lo street food d’autore

Quando arriva l’estate, a Firenze, l’alternativa a una scampagnata sulle colline che circondano la città può essere un rilassato pomeriggio al tramonto sul Lungarno, ancor più piacevole con il conforto di buon cibo, cocktail e musica. Non a caso, da qualche anno a questa parte sono diverse le iniziative che popolano gli argini del fiume che taglia in due il capoluogo toscano, richiamando un gran numero di fiorentini e turisti a poca distanza dalle principali attrattive della città. E il 2017 segna l’esordio di Molo5, street food & music nel “porto” di Lungarno Colombo, allestito per l’occasione per ricordare la suggestione di uno storico Lido, che dai primi giorni di maggio fino a settembre proporrà l’offerta gastronomica di quattro realtà fiorentine e toscane in “libera uscita” insieme ai cocktail del Rex, noto locale notturno di via Fiesolana, che sull’Arno presenterà una drink list ispirata ai classici della miscelazione, ma pure alle specialità delle insegne coinvolte. Quali sono, dunque, le botteghe che animeranno la prima edizione di Molo5 già tra qualche giorno?

La proposta gastronomica

Sulla tradizione locale punta il food truck di Lorenzo Nigro (il lampredottaio del Mercato Centrale, quinto quarto di terza generazione), che proporrà il panino col lampredotto di stretta osservanza fiorentina; dall’isola d’Elba, invece, arriva la proposta di mare del Polpaio, l’apina che serve stoccafisso all’elbana, frittura di paranza, polpanino con polpo grigliato, rapini salati e maionese homemade, granfia in forchetta (polpo lessato e servito con poco peperoncino in punta di forchetta). Mentre la proposta dedicata alla pizza sarà affidata agli impasti biologici di Simbiosi -  da farine semintegrali macinate a pietra, mozzarella biodinamica, pomodoro bio toscano -  e alla quota esotica provvederà Koto Ramen (recente il raddoppio a Prato del ramen bar che ha conquistato Firenze), che per la sua prima uscita ufficiale ha ideato un menu ispirato allo street food giapponese, con la collaborazione dell’ultimo arrivato nel team, chef Hideki Nakagawa, originario di Kyoto. In arrivo da esperienze importanti in ristoranti italiani (come La Locanda di Piero), lo chef giapponese si è unito alla squadra per portare nuovi stimoli alla cucina del ramen bar fiorentino, contaminandola con specialità della tradizione popolare nipponica, che la bottega di Koto battezzerà proprio in occasione della sua partecipazione a Molo5. Tornano i gyoza – vegetariani e di carne – ma il menu si arricchisce con yakitori di carne toscana e bao bun cotti al vapore ripieni di salmone in salsa teriyaki. Oltre a proposte più insolite che cambieranno quotidianamente in base alla disponibilità degli ingredienti.

L’oasi de La Toraia sull’Arno

Avanzando in direzione del centro, invece, in Lungarno del Tempio, La Toraia è pronta a bissare (e già operativa dal pranzo fino alla mezzanotte) il successo della scorsa stagione: hamburger di chianina a birra artigianale sotto le stelle, in compagnia di Panino Tondo, Pesce Pane e i gelati di Carapina. Che street food sia.

 

Molo5 | Firenze | Lungarno Colombo, 27 | da maggio a metà settembre | www.molo5firenze.it

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Street Food d’Italia 2017. Mama Pasta a Roma

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Un format che sfrutta la passione per la pasta e la tecnologia, proponendo pasti veloci ma di qualità. È Mama Pasta a Roma, il miglior indirizzo per il cibo di strada del Lazio, secondo la nostra guida Street Food d’Italia 2017. Ecco come nasce l’idea della pasta shakerata da asporto.

“You choose, we shake”, recita il claim di Mama Pasta a Roma. Ed è proprio così che funziona: si sceglie il tipo di pasta e il condimento, si ordina e si attende che lo chef la shakeri, per poi portarla via in comode confezioni da passeggio o consumarla in loco. E per bere basta spillarsi una birra in autonomia, o scegliere un vino alla mescita dalle comode macchine refrigeranti. Un locale premiato dall’edizione 2017 della guida Street Food d’Italia come miglior cibo di strada del Lazio: abbiamo chiesto al general manager Alessio Bosi come è nata l’idea.

 

Come nasce l'attività?

L’idea è nata quando vivevo all’estero, ispirandomi al format di Wok to Walk, un locale con la cucina a vista, che serve pasti veloci per una clientela giovane e che ha poco tempo. Abbiamo cercato di creare un format semplice e, grazie all’aiuto della Laurenzi Consulting, abbiamo sviluppato il progetto. Non volevamo essere solo un locale che cucina pasta, volevamo dare un tocco innovativo.

 

Da dove viene l’idea dello shaker?

Qui l’ispirazione viene da Davide Scabin, per me noi il numero uno della pasta al mondo. Lui aveva testato l’idea già nel 2012 con il piatto Ravioli Shake, ci è sembrata una valida opzione non solo per l'effetto scenografico, ma per la funzionalità dello shaker stesso. Spadellando con il metodo tradizionale spesso il condimento della pasta si addensa troppo, invece mantecandola con lo shaker - che diventa incandescente - il sugo si lega perfettamente grazie all’amido rilasciato dalla pasta.

 

Come si struttura l’offerta gastronomica?

Abbiamo un menu del giorno con i nostri consigli, ma anche la carta classica che contiene 10 tipologie di pasta e 10 sughi diversi che ognuno può combinare come vuole. Il cliente sceglie la combinazione, fa l’ordine e poi va a prendere da bere in autonomia.

 

Che tipo di clientela avete?

Una clientela giovane, grazie anche al fatto che il locale si basa sulla formula self service, che ci permette di coniugare la qualità con dei tempi molto stretti. Quindi studenti, giovani lavoratori, persone abituate a provare delle novità in ambito gastronomico.

 

Come è stato recepito il nuovo format?

All’inizio è stato difficile convincere soprattutto la clientela locale: siamo a Trastevere, dove sono in molti a fare la pasta e quasi tutti sono legati ad un’idea molto tradizionale di questo prodotto. Ma dopo le iniziali resistenze e anche grazie alla curiosità dei più giovani, il format ha avuto successo. Abbiamo molti clienti che tornano spesso e anche quelli di passaggio sembrano soddisfatti.

 

Come selezionate le materie prime?

Abbiamo scelto un produttore di pasta locale, Aldo Manzo, che produce un tipo di pasta particolare, non pastorizzata. Il prodotto dura meno - e questo ci costringe a rifornirci in maniera frequente - ma ci garantisce una qualità elevata sia in termini di consistenza che di sapore. Sughi e condimenti li facciamo noi, rifornendoci quando possibile da produttori locali.

 

E da bere? Che tipo di tecnologia usate per la mescita?

Per le bevande abbiamo due tipi di tecnologie. Per il vino usiamo l’Enomatic Wine Servings System, delle macchine che permettono di avere vino alla mescita conservando la bottiglia in ottime condizioni anche per sei mesi, grazie all’azoto. Per la birra, abbiamo optato per un macchinario svedese, il Reverse tap, con un bicchiere direttamente poggiato sul dispenser che si riempie dal basso. Questo permette ad ogni cliente di spillare una birra in autonomia e in maniera veloce.

 

Quanti siete nel team?

Siamo in 5, oltre a me un cuoco e un aiuto cuoco ,e poi due ragazze addette alle pubbliche relazioni che si alternano.

 

Qual è il vostro punto di forza?

Secondo noi il successo del format è dovuto al fatto che riusciamo a contenere i tempi del pasto, snellendo le procedure che ci sarebbero in un locale più classico, ma continuando a mantenere intatta la qualità dell’offerta, grazie agli standard elevati che ci siamo prefissati.

 

Mama Pasta | Roma | via del Moro 37d | tel. 06 580 3636 | www.facebook.com/pg/mamapastaroma/about/?ref=page_internal

 

a cura di Francesca Fiore

 

Guida Street Food 2017 del Gambero Rosso | Euro 6,50 | acquistabile in edicola, libreria eon line

Guida Street Food 2017 del Gambero Rosso. Ecco i risultati

Street Food d'Italia 2017. Valle d'Aosta: Sushiball di Courmayeur

Street Food d'Italia 2017. Veneto: Gourmetteria di Padova

Street Food d'Italia 2017. Friuli-Venezia Giulia: Mamm Ciclofocacceria di Udine

Street Food d'Italia 2017. Lombardia: La ravioleria Sarpi di Milano

Street Food d'Italia 2017. Emilia Romagna: Punto G di Piacenza

Street Food d'Italia 2017. Trentino Alto Adige: Briciole Food and Drink di Rovereto

Street Food d'Italia 2017. Marche: Il Furgoncino di Pesaro

Street Food d'Italia 2017. Umbria: Bacalino di Perugia

Street Food d'Italia 2017. Puglia: Piadina Salentina di Lecce

Street Food d'Italia 2017. Liguria: Moltedo di Recco

Street Food d’italia 2017. Abruzzo: Alla Chitarra Antica di Pescara

Street Food d'Italia 2017. Sardegna: Sebaderia Dulcinea di Nuoro

Street Food d'Italia 2017. Sicilia: Nino U' Ballerino di Palermo

Street Food d'Italia 2017. Molise: Maramimmo di Termoli

Street Food d'Italia 2017. Campania: Da Gigione di Pomigliano d'Arco

 

 

 

 

 

 

Vino italiano sempre più virtuale. Ultime notizie dall'e-commerce

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Dalla WinePlatform di Tannico al portale dedicato all'Horeca di Vino75, passando per i grandi accordi internazionali: le start-up dell'e-commerce presentano i loro nuovi progetti. E anche il Movimento Turismo Vino entra nel business

Non si può certo dire che l'e-commerce italiano stia a guardare. Da quando, quattro anni fa, diverse start-up virtuali fecero la loro comparsa nel mondo del commercio di vino, le cose sono cambiate in fretta: incremento esponenziale delle aziende clienti, moltiplicazione dei servizi, accordi internazionali. Di fatto le enoteche online hanno cercato di dare risposte alternative alle vendite tradizionali, colmando i vuoti del settore e occupando nuovi spazi. E non è finita. Vediamo cosa, i maggiori protagonisti di questa rivoluzione, hanno in programma per i prossimi mesi.

 

Spedire vino all'estero? Ci pensa Tannico

Partiamo da una delle realtà più affermate: 50 mila clienti, 9 mila etichette provenienti da 1500 cantine, 11 milioni di fatturato (previsto per il 2017). In poche parole Tannico. L'ultima soluzione messa in campo si chiama WinePlatform e prevede la vendita diretta dalla cantina al consumatore finale, tramite un servizio di delivery. Detta così potrebbe sembrare quasi banale, ma non lo è per nulla, perché oggi - anzi, ancora oggi - spedire vino all'estero rappresenta una delle maggiori difficoltà delle cantine. Vedi alla voce burocrazia e accise, come ricorda lo stesso ceo Marco Magnocavallo: “Uno dei maggiori problemi con cui bisogna fare i conti è quello delle spedizioni dopo le visite, soprattutto per chi viaggia in aereo e vive all'estero. C'è chi per spedire tre bottiglie in Usa denuncia di dover preventivare una spesa di 550 euro, chi non riesce a fornire soluzioni efficaci al cliente, chi deve fare i conti con bottiglie che arrivano a destinazione in frantumi. E poi c'è la gestione burocratica”. Opinione diffusa è che rispetto alle tante visite in cantina, le vendite finali rappresentino una percentuale bassissima, legata proprio alle difficoltà di cui sopra.

Per questo Tannico ha ben pensato di lanciare WinePlatform, aprendo delle proprie posizioni fiscali anche nei maggiori Paesi di destinazione. Il servizio comprende, quindi, ricezione degli ordini e dei pagamenti con carte di credito e contrassegno; picking, packing, emissione dei documenti di trasporto e fiscali; gestione delle accise e delle pratiche doganali nei Paesi europei (Francia, Svizzera, Germania, Austria, Spagna, Uk, Olanda, Belgio) ed extraCEE (Usa, Hong Kong, Giappone); customer care. In pratica Tannico attraverso un mini-sito dà la possibilità alle cantine di scegliere quali vini proporre e a quale prezzo. “Al resto pensiamo noi” dice Magnocavallo “garantendo una sorta di magazzino dislocato. All'inizio pensavamo che il nostro target fosse rappresentato dalle aziende più piccole e meno strutturate, invece, ci siamo subito resi conto che anche i grandi brand hanno le stesse difficoltà nello spedire vini all'estero e, quindi, hanno accolto la proposta positivamente”. Ad oggi sono già 50 le cantine che hanno aderito al servizio, tra cui cinque tra le prime 20 per fatturato in Italia. Tra l'altro l'esperienza estera faceva già parte del curriculum di Tannico: nel 2016 la società aveva già aperto un proprio sito in Gran Bretagna: www.tannico.co.uk, modello che conta di esportare entro l'anno in almeno altri sei mercati tra Usa, Hong Kong e Giappone.

E non è tutto. All'orizzonte si profilano anche nuovi progetti in Italia, prima tra tutte l'apertura di un'enoteca fisica a Milano, che punterà soprattutto alla vendita di vino alla mescita.

 

Vino e pacchetti enoturistici. Il nuovo servizio MTV

Sempre nell'ottica di superare l'ostacolo spedizione post-visita in cantina, è nata l'alleanza tra Movimento Turismo del Vino e Intesa San Paolo. L’accordo, annunciato in occasione di Vinitaly, prevede che l'associazione enoturistica – che rappresenta circa 900 cantine in tutta Italia – realizzi il catalogo enologico del negozio virtuale Destination Gusto, mentre la gestione tecnica è affidata a B2X di Roma. Il target di riferimento è quello di enoturisti sia italiani sia stranieri che arrivano in cantina e spesso devono andar via a mani (e valigie) vuote. Sul fronte prodotti, oltre al vino, Mtv dedica un’attenzione particolare all’olio di qualità, grazie alla recente costituzione all’interno dell'associazione del Movimento Turismo dell’Olio. “In questo modo” dice il presidente Mtv Carlo Pietrasanta “proponiamo ai nostri associati una soluzione per superare l'ostacolo doppia iva e accise che al momento sono richieste per spedire vino all'estero”. Tre anni fa, per far fronte al solito problema-burocrazia, si parlava di soluzioni condivise, come l'istituzione di un one-stop-shop per assolvere al pagamento di Iva e accise nel Paese di origine ed evitare il doppio canale ma, come si dice, chi fa per sé fa per tre. Così, Mtv si è rimboccato le maniche: “Questo tipo di spedizione” continua il presidente “riesce a raggirare l'ostacolo perché di fatto è un'auto-spedizione da parte dello stesso cliente che, dopo la visita in cantina, vuole portarsi un determinato prodotto a casa”. Il portale, attualmente in fase di aggiornamento, sarà pronto entro maggio, ma non è l'unica novità con cui il Movimento Turismo del Vino si presenterà all'appuntamento annuale con in Cantine Aperte del prossimo 28 maggio. “Contemporaneamente” annuncia Pietrasanta “stiamo lavorando al portale Destination Italia, nato da una joint venture tra lastminute.com e Intesa San Paolo. L'obiettivo è offrire dei pacchetti di viaggio nelle cantine di tutta Italia che prevedono soluzioni di pernottamento e soggiorno”. Una risposta pratica, che viaggia sempre online, rivolta agli enonauti italiani, ma soprattutto stranieri, che vogliono conoscere più da vicino le realtà vitivinicole del Belpaese.

 

Vino75, nuova piattaforma per l'Horeca

Sempre guardando all'estero, ma ben oltre l'Unione Europea, arriva il nuovo accordo tra l'altra grande enoteca virtuale, Vino75, e il colosso cinese dell'e-commerce, Alibaba. Dopo una prima collaborazione lo scorso anno, in occasione della prima edizione del Wine&Spirits Festival Day, celebrato in rete il 9/9, quando Vino75 selezionò 10 etichette da portare in rete, adesso a Vinitaly si è rinnovato l'accordo: entro poche settimane Vino75 aprirà un proprio flag shop su Tmall Global selezionando, inizialmente, un centinaio di etichette, ma con l'obiettivo di arrivare in poco tempo a qualche migliaio. D'altronde il gruppo fiorentino, che oggi conta un catalogo di 1800 vini da 600 produttori, ha già ad Hong Kong un proprio magazzino e conta di aprirne altri sia in Asia sia in Europa. L'altra novità, invece, riguarda, l'Italia ed in particolare il segmento Horeca, a cui è dedicata la prossima piattaforma che Vino75 ha intenzione di lanciare sul mercato, forte dell'ultimo round di investimenti serie A da 1,5 milioni di euro da Invitalia Ventures e Sici Sgr: “Sarà una prima assoluta in Italia” ci dice il ceo Andrea Nardi Deiun progetto B2B online rivolto, non ai consumatori, ma esclusivamente a enoteche, ristoranti e hotel. Contiamo di aprire entro l'autunno”.

 

 

a cura di Loredana Sottile

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 20 aprile 2017

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Top 100 Classical&Heritage 2017. I migliori ristoranti classici d’Europa secondo OAD: 15 per l’Italia

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La classifica stilata dal blog Opinionated About Dining raccoglie il parere degli utenti sulle insegne che tengono alta la bandiera dell’alta ristorazione da almeno 25 anni. Egemonia francese, l’Italia si attesta con 15 tavole, Nadia Santini in testa, al numero 12. Ma l’oro è della Svizzera.

La classifica dei grandi classici

Il prossimo 15 maggio sarà la volta della Top 100 dei ristoranti europei, che nel 2016 ha incoronato L’Arpege, nell’anno più fortunato di Alain Passard. Ma le classifiche stilate dal sito Opinionated About Dining sono molteplici, e da qualche anno a questa parte riscuotono il seguito della comunità gastronomica internazionale. Dietro c’è l’impegno di Steve Plotnicki, che sul suo blog raccoglie il parere di appassionati gourmande da tutto il mondo, e annualmente stila le consuete Top 100 e Top 50 sulla base delle recensioni dei mesi precedenti (tenendo conto del giudizio in funzione della qualità e della quantità dei ristoranti visitati da ciascuno). E se la lista dedicata all’Europa – che si appresta a celebrare la sesta edizione – resta la più attesa dagli chef di casa nostra, dall’anno scorso la Top 100 Classical&Heritage, che proprio nel 2016 ha esordito, offre una spigolatura in più alla ricognizione delle migliori tavole d’autore. In particolar modo, la classifica si concentra sulla ristorazione “classica”, considerando le insegne con almeno 25 anni di esperienza all’attivo, molte a gestione familiare, votate dai clienti gourmet. Si premia, dunque, non solo la qualità della proposta gastronomica e del servizio, ma anche la coerenza e la longevità della formula, oltre al fascino senza tempo di tante glorie dell’alta ristorazione. Accantonando, per una volta, la rincorsa alle ultime tendenze di grido.

 

Egemonia Francia. Prima la Svizzera del compianto Benoit Violier

La Top 100 2017 – che rispetto all’anno passato si concentra solo sull’Europa -  incorona Franck Giovannini, successore di Benoit Violier al Restaurant de l’Hotel de Ville di Crissier: un premio che sembra riconoscere il lavoro dello chef scomparso prematuramente poco più di un anno fa, quando si tolse la vita lasciando scioccata la comunità internazionale. E dunque la medaglia d’oro finisce in Svizzera, dopo il lungo viaggio che l’anno scorso l’aveva portata in Giappone, ma per premiare un nume tutelare della cucina francese, Michel Bras e il suo ristorante Toya di Hokkaido. Secondo e terzo gradino del podio invece si confermano francesi, con Regis et Jacques Marcon al numero due, Troisgros (fresco di trasloco, ma in ballo dal 1957) per la medaglia di bronzo. Ma è l’intera top 10 a gridare il predominio francese, con – tra gli altri – L’Ambroise di Bernard Pacaud (6) e Le Cinq di Christian La Squer (7) a Parigi, e il Louis XV di Alain Ducasse (8) a Montecarlo. Rompe l’egemonia l’asador Ibai di Alicio Barro a San Sebastian, che strappa il nono piazzamento.

L’Italia in classifica

La prima degli italiani è Nadia Santini: per la signora della ristorazione di Canneto sull’Oglio nel 2016 era arrivato il sesto posto, quest’anno Dal Pescatore scivola al numero 12. Seguono, nell’elenco dei 100, altre 14 insegne tricolore: Da Vittorio (25),La Pergola (33),Al Sorriso (37),il Luogo di Aimo e Nadia (41),L’Enoteca Pinchiorri (43),Don Alfonso 1890 (44),Antica Corte Pallavicina (63),Antica Corte Reale (64),Trattoria della Posta (90),Ciau del Tornavento (91),da Romano (94),Villa Feltrinelli (96),Casa Vissani a Baschi (98),Lorenzo che chiude la classifica al numero 100. Numero stabile rispetto al 2016, con la soddisfazione di veder esordire i fratelli Cerea (Da Vittorio) e la famiglia Iaccarino (Don Alfonso), l’anno scorso inspiegabilmente assenti.

 

La Top 100 completa

 

a cura di Livia Montagnoli

Gli italiani e la cucina etnica: il pollo al curry batte tutti secondo Doxa

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Secondo una ricerca condotta da Doxa Advice/Unaitalia, il pollo al curry è il piatto etnico preferito dagli italiani tra quelli a base di pollo, seguito da quello alle mandorle e all’agrodolce. E un sito spiega come cucinarli a casa con l'aiuto di celebri chef. 

La vittoria del pollo al curry

Gli italiani amano il pollo. Non solo il classico pollo al forno con patate, ma anche i piatti una volta considerati “esotici”, ormai entrati nel novero delle abitudini alimentari degli italiani, come il pollo al curry, alle mandorle, in agrodolce.

A confermarlo è una ricerca condotta da Doxa Advice/Unaitalia che spiega come, fra i diversi piatti etnici a base di pollo, è proprio la versione al curry, tradizionale nella cucina indiana, a vincere con il 35,1% delle preferenze. Secondo posto del podio per il pollo alle mandorle, tipico della cucina cinese con il 31,7%, mentre sul terzo gradino troviamo il pollo in agrodolce, con il 26,5% delle preferenze, un classico nelle cucine orientali, dalla Malesia al Vietnam. Medaglia di legno al messicano tacos di pollo, con il 16,9% delle risposte.

Che agli italiani piaccia il cibo etnico non è una novità: a testimoniarlo ci aveva pensato il rapporto  Coop 2016. Secondo i dati, infatti, l'85% degli italiani sperimenta regolarmente cibo esotico, il 30% frequenta spesso ristoranti etnici o take away, mentre il 75% acquista prodotti alimentari etnici per cucinarli a casa.

 

Tutti i segreti del pollo in versione etnica con i consigli degli chef

Ma come preparare un ottimo pollo al curry puntando all’equilibrio delle spezie (il suo vero nome è Chicken Tikka Masala, proprio in riferimento al mix di spezie che lo insaporiscono), o uno squisito pollo alle mandorle, dove il trucco fondamentale è prestare attenzione alle cotture per non stracuocere una carne delicata? A spiegarlo sono gli stessi chef – la quota “straniera” della nostra ristorazione d'autore, ormai perfettamente inserita nel tessuto gastronomico italiano - sul blog  vivailpollo.it. Da Anthony Genovese, che la sua filosofia fusion la applica tanto al Pagliaccio che nell'elaborazione del menu creativo di Yugo a Roma, agli chef del ristorante messicano Besame Mucho di Milano, passando per la cucina indiana di Guru (a Roma da 25 anni, nel suo mix di spezie per il masala finiscono peperoncino, cannella, chiodi di garofano, pepe nero, cumino e, chiaramente, il curry) e i consigli di Zhou Fenxia, in arte Sonia, proprietaria di Hang Zou, insegna diventata da anni una vera e propria istituzione di cucina cinese nella Capitale.

 

www.vivailpollo.it

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

 

Mondo blog. Solobellestorie: la magia delle piccole cose

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Quattro mani e due sensibilità: una più razionale, l'altra più emotiva. Entrambe impegnate nel raccontare luoghi e persone scelte secondo l'unico criterio della bellezza nascosta che accende la loro curiosità.

Un blog a quattro mani e due stili

Solobellestorie è una promessa di felicità. Un viaggio su e giù per l'Italia da raccontare, quella della provincia, principalmente, che racchiude facce, storie, professioni, scelte di vita comuni eppure straordinarie, se uno le sa guardare.

Simona Vitali e Luigi Franchi

A sceglierle sono Simona Vitali e Luigi Franchi, entrambi in forza alla testata Sala&Cucina. Ma questa non è la versione digitale della rivista, quanto uno spazio libero dove dare sèguito a delle intuizioni, ognuno con il proprio stile: “più maschile, razionale, giornalistico il suo, più da pasionaria e con un taglio umanistico, il mio” dice Simona. La chiave è sempre la curiosità, quella luce che si accende di fronte a un'immagine o una frase, magari intercettata per caso, qualcosa che spinge a fermarsi e a chiedere. E a innescare così il racconto e dal racconto la vibrazione, “mi infiammo per qualcosa, attacco bottone, domando e mi domando” poi nasce il post: “alcuni di slancio, altri sono nodosetti e richiedono più fatica”.

 

Ogni lunedì una materia diversa

Un post ogni lunedì, a firme alterne, da poco più di un anno. Con un sèguito di qualche migliaio di lettori, “è una creatura che pian piano e naturalmente sta crescendo” spiega “senza fretta, senza sponsor e senza sponsorizzare: crediamo che la vita di questo blog debba andare avanti così, in purezza”, incerti anche sul fare una pagina Facebook: “ci pare troppo fredda”.

Gli articoli si succedono senza altro ordine che non sia quello del caso che li ha fatti conoscere a Simona e Luigi, ma organizzati come in una vecchia pagella: educazione artistica e civica, storia, geografia e alimentazione. Dove convergono storie di cibo e di tavola, sempre selezionate con il criterio unico della loro forza emotiva.

La Trattoria Biasini e la signora Maria

Le belle storie

Come la trattoria Biasini, dove la signora Maria chiede a chi prenota cosa vuole mangiare, replicando, giorno dopo giorno, una tradizione perfetta, elaborata su misura per i suoi ospiti. Un posto da scoprire, certo, ma che ha fatto scoprire un angolo del Piacentino a molti, come il sindaco di un capoluogo lombardo che è tornato dalla signora Maria con tutta la giunta. Poi c'è la piccola enoteca Picchioni, dove ogni sera si crea la magia dell'aggregazione e perfetti sconosciuti, puntualmente, cominciano a parlare tra di loro da un tavolo all'altro. O ancora Anna Sartori di Erba, la pasticcera che sposa ricerca, salute, gusto ed etica nella scelta di materie prime inusuali, quasi dimenticate, lavorando per la tutela della natura, delle persone, delle tradizioni. “Non abbiamo l'ambizione che le nostre siano storie esclusive, anche se a volte càpita, perché si tratta di cose talmente piccole che nessuno le ha raccontate, a volte invece sono storie già sentite, che noi narriamo a modo nostro”. Un esempio è quello Gianni D'Amato, cuoco al Rigoletto di Reggiolo, ora a Reggio Emilia, narrato come artista: “non è solo un cuoco, ma anche un pittore con un incredibile talento per scoprire artigiani e designers e scegliere oggetti da portare nel ristorante”. E continuano, mescolando cucina ad altre storie, come quella del museo dei diari o dell'associazione che vuole tutelare l'artigianato fiorentino, o quella delle piazze d'Italia, con il loro valore sociale e umano.

Pesci fuor d'acqua di Angela Barusi

Ci sono poi gli acquerelli di Angela Barusi, un nome noto per chi si occupa di cibo, artefice di un ponte tra i tesori del nostro agroalimentare e la grande cucina spagnola, qui ritratta come artista capace di un tratto lieve, pieno di grazia ma tutto concreto. Pieno di luce e di sintesi, pieno di quell'intelligenza delle cose e della vita che Angela sa raccontare così bene. Per chi la conosce dal vivo, attraverso le sue parole e i suoi sguardi accesi, per chi la incontra per la prima volta attraverso i suoi quadri, in quei suoi “Pesci fuor d'acqua” ritratti nel momento in cui si affacciano dal mare pur essendone pienamente parte. Un lavoro di astrazione che è, molto di più, un lavoro di sintesi. Pieno di riflessione e bellezza. Di incanto e magia.

 

Solo belle storie

L'impegno di Simona e Luigi, si traduce così in lavoro antropologico sulle storie da salvare che ha il tono della poesia delle piccole cose.

Si dice attratta dagli spazi minimi, Simona, dai luoghi dove infilarsi per ascoltare, senza filtri: “in alcuni casi quando parlo di certe persone o certe situazioni ho la gioia nel cuore perché posso accendere una luce, anche piccola, su storie, lavori e vite che rimangono nell'ombra, faticosi e bellissimi” dice “non lo nego: mi emoziono a sentire i loro racconti, a volte mi controllo a fatica” e se è vero che le storie brutte fanno più notizia, è ancor più vero che di storie belle siamo circondati ma non le vediamo. A volte basta fermarsi un attimo.

 

www.solobellestorie.it

 

a cura di Antonella De Santis


I migliori mieli d'Italia. Adi Apicoltura di Tornareccio

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Un’azienda antica, che produce miele dall’inizio del ‘900, spostando le api alla ricerca del nettare migliore e con una grande attenzione per la biodiversità del territorio. Fabio Iacovanelli, di Adi Apicoltura di Tornareccio, Chieti, ci racconta la sua storia.

Le origini

Un sapere unico, quello della cura delle api, che nella famiglia di Fabio Iacovelli - titolare di Adi Apicoltura di Tornareccio in provincia di Chieti - si tramanda di generazione in generazione. “È stato il mio bisnonno a iniziare l’attività, fra fine ‘800 e inizio ‘900, prevalentemente per autoconsumo, producendo poche casse di miele, l’unico dolcificante disponibile all’epoca”. Una storia che nasce dalla necessità, ma si tramuta subito in passione. “Già mio nonno si era accorto della grande biodiversità che caratterizza il nostro territorio e dello scarsissimo inquinamento presente, e ha aumentato la produzione”. Ma la vera svolta arriva con la generazione successiva, quando la famiglia si rende conto di quanto sia importante per una produzione di qualità la transumanza. “Anche noi, come gli allevatori, abbiamo iniziato a spostare le api alla ricerca della zona migliore, abbiamo iniziato a ‘inseguire’ le fioriture”. Questo metodo ha reso il prodotto migliore,“così abbiamo deciso di dedicarci solo al miele, lasciando da parte altre attività come la produzione di olio e ortaggi, o il mulino ad acqua”.

 

La produzione

Non abbiamo una grande produzione in termini di quantità, preferiamo tenere basso il numero di vasi venduti e preservare così la qualità del miele”, racconta Fabio. “Un prodotto così delicato dipende strettamente dalle condizioni climatiche e dagli sbalzi di temperatura: un esempio su tutti è il miele al rosmarino, che non riusciamo a produrre ormai da 3-4 anni perché durante la fioritura fa troppo freddo”. Così, anche quest’anno, l’azienda non sa a priori la quantità che sarà prodotta“solitamente fra le 500 e le 600 mila vasi di miele per anno, ma tutto dipende dal clima”. Tante le varietà vendute,“circa dieci o undici”, dal miele di ciliegio,“che si lavora fra fine aprile e inizi di maggio”, a quello di agrumi, per poi passare al castagno, al millefiori e a specialità particolari come quello alla lupinella, al girasole e alla sulla, il miele al rosmarino e al coriandolo. “Naturalmente produciamo anche il miele d’acacia e l’eucalipto”. Ma qual è la tipologia più richiesta? “Purtroppo l’acacia, lo dico con un po’ di amarezza perché sono davvero tante le varietà da provare”. L’acacia si vende di più per un motivo molto semplice: “l’occhio vuole la sua parte e i consumatori sono sempre portati ad acquistare il prodotto più limpido e più facile da usare in termini di consistenza. Non pastorizzando il miele, quello di sulla, ad esempio, è molto meno cremoso dell’acacia”. Ma secondo Fabio il vero punto di forza dell’azienda sono proprio prodotti come il miele di sulla, o quello al rosmarino, “dal sapore delicato ma intenso allo stesso tempo”.

 

Il miele e la ciboterapia

Il miele è un alimento che cura, molto di più di quanto possiamo pensare”. Se si può parlare tranquillamente di prodotti terapeutici nel caso di alimenti come propoli o pappa reale,“anche il miele, secondo la specifica tipologia, contiene proprietà benefiche da tenere in considerazione quando lo si compra”. Ad esempio, il miele di rosmarino “è ricco di ferro ed è quindi adatto a coloro che hanno delle carenze di questo tipo”, il miele di girasole contiene “il colesterolo ‘buono’, che viene dal mondo vegetale e si sostituisce nel nostro organismo al così detto colesterolo cattivo”. Altro esempio è il miele di bosco, che ha un livello molto elevato di sali minerali, proteine e ferro, e per questo è “il più usato dagli sportivi”. Naturalmente, spiega Fabio, tutto questo vale solo in zone scarsamente inquinate e preferibilmente su colture biologiche. “Le api sono insetti molto delicati e l’uso indiscriminato di sostanze nocive ne abbatte la popolazione. Negli ultimi anni però la sensibilità verso la cura delle api, non solo per la produzione di miele, è aumentata notevolmente”.

 

La vendita

Vendiamo per il 70% in Italia e per il resto all’estero. Ci rivolgiamo soprattutto alla grande distribuzione di qualità, ad esempio i negozi Natura Sì. Il nostro miele ha un costo elevato e quindi non possiamo permetterci di vendere alla Gdo genericamente intesa, ma solo a quelle catene di qualità che ci garantiscono il giusto prezzo per un prodotto di livello”.

La vendita diretta, invece, per la famiglia Iacovanelli, è un modo per stabilire relazioni con clienti, raccontare il proprio prodotto e la storia della famiglia. “Abbiamo un piccolo punto vendita in azienda che ci permette di fare anche un po’ di formazione”. A differenza della clientela che viene dal Nord Europa, “i clienti italiani non conoscono a fondo il prodotto e scelgono sempre la stessa tipologia per abitudine. Con la vendita diretta possiamo fare anche un po’ di divulgazione”.

 

Il futuro del mestiere, la formazione e i giovani

È sui giovani che bisogna puntare se si immagina un futuro roseo per questo settore: ne è convinto Fabio, che lo ribadisce con forza. “Questo è un mestiere pesante, soggetto al clima e difficile da sostenere dal punto di vista fisico. Spero però che ci siano molti giovani decisi a portare avanti la produzione di miele di qualità, perché sono loro a rappresentare il futuro del settore, anche in termini di innovazione. Lo spazio c’è, il settore è in crescita”. Ma come fare per intraprendere la professione partendo da zero? “Quando la mia famiglia ha iniziato non c’era nulla che permettesse di imparare il mestiere: noi siamo cresciuti per tentativi”. Oggi invece “ci sono diverse possibilità di sapere qualcosa in più sul miele, soprattutto al Nord Italia, dove molte organizzazioni molto impegnate sul fronte della formazione”. Il consiglio di Fabio per un giovane che si appassiona al prodotto è quello di “apprendere questo mestiere facendo: se non si vuole frequentare una scuola si può chiedere a un produttore di imparare direttamente da lui, ne sarà ben felice”.

 

Adi Apicoltura | Tornareccio (CH) | via Alcide De Gasperi, 72 | tel. 0872 868160 |www.adiapicoltura.it

 

 

a cura di Francesca Fiore

 

 

I migliori mieli d'Italia. Mario Bianco di Caluso

 

I migliori mieli d'Italia. Giorgio Poeta di Fabriano

I migliori mieli d'Italia. Carlo Amodeo di Termini Imerese

I migliori mieli d'Italia. Delizie dell'Alveare di Tornareccio

I migliori mieli d'Italia. Apicoltura Bianco di Guardiagrele

I migliori mieli d'Italia. Mariangela Prunotto di Alba

I migliori mieli d'Italia. Mieli Thun di Vigo di Ton

Conoscere e capire il miele: glossario essenziale

 

 

Un’azienda antica, che produce miele dall’inizio del ‘900, spostando le api alla ricerca del nettare migliore e con una grande attenzione per la biodiversità del territorio. Fabio Iacovanelli, di Adi Apicoltura di Tornareccio, Chieti, ci racconta la sua storia.

Eataly apre a Mosca. E aggira l’embargo: formaggi prodotti in loco e mille posti a sedere

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Ancora qualche giorno, poi l’inaugurazione rinviata più volte coronerà un traguardo importante per il gruppo, soprattutto per le difficoltà incontrate negli ultimi tre anni, a seguito dell’embargo. Uno spazio grande, 7500 metri quadri, in posizione strategica, per conquistare Mosca con il cibo italiano, senza snaturare le abitudini alimentari locali. 

Anni di rinvii, e poi l’ultimo slittamento, di un mese sulla data di apertura prevista, per ritardi interni all’organizzazione del centro commerciale che ospiterà il più capiente Eataly mai concepito, dieci anni dopo l’esordio torinese. A Mosca. L’ennesima apertura del team Oscar Farinetti-Andrea Guerra all’estero non fa che confermare il valore del brand su scala internazionale, ma ancor di più, nel caso specifico, testimonia la capacità di adattarsi alle contingenze locali, e questa è probabilmente la dote più lungimirante del massiccio progetto d’espansione pianificato negli ultimi anni, che in futuro porterà anche a Londra, in Canada, e persino in una roccaforte del campanilismo gastronomico come Parigi. Ma tra pochi giorni c’è Mosca, che è un traguardo importante in virtù delle restrizioni ancora in vigore per l’embargo imposto dal Cremlino a molti prodotti in arrivo dall’estero, comprese tante eccellenze gastronomiche made in Italy, che da tre anni a questa parte ha decisamente scombinato i rapporti commerciali legati all’approvvigionamento di specialità alimentari.

Aggirare l’embargo. La cella di stagionatura

Come aggirare l’ostacolo? Juri Tetra, partner russo dell’operazione che presto porterà all’inaugurazione di 7500 metri quadri all’interno del nuovo centro commerciale Kievskiy (non lontano dal centro della capitale russa), aveva già annunciato qualche mese fa la possibilità di avvalersi tanto della produzione in loco – sistema già collaudato in molti punti vendita del gruppo – che di produzioni certificate locali, incentivate a perseguire alti standard qualitativi proprio a seguito dell’embargo. Ora l’anteprima più dettagliata arriva dalle pagine di Repubblica, che per prima entra nel nuovo spazio su tre piani che ospiterà, come di consueto, mercato a scaffale, ristoranti e corner dedicati alle “botteghe” artigiane (la pasta, il pane, la pizza, la birra), facendo pure segnare il record per numero di coperti (954): più delle sedute disponibili nel grande store di Roma Ostiense. E ci si aspetta un’affluenza ingente, anche per la curiosità di scoprire gli assi nella manica sfoderati da Farinetti e soci. Chi varcherà la soglia di Eataly Mosca troverà mozzarelle, burrata, caciotte e formaggi a breve stagionatura prodotti in loco, con latte russo, da un casaro italiano: l’embargo colpisce duramente il comparto, mettendo fuori legge formaggi e salumi (tra le 50 categorie di prodotti d’importazione inibiti), e allora ecco venire in soccorso una cella di stagionatura a vista, che sarà ulteriore elemento d’attrattiva, accanto alle vasche di lavorazione della mozzarella. I formaggi a lunga stagionatura, invece, saranno importati da altri Paesi, come la Svizzera, non sottoposti a embargo. O meglio ricercati sul territorio nazionale, dove oggi si moltiplicano le aziende casearie di qualità.

Made in Italy e specialità locali

Anche perché l’intenzione è proprio quella di coniugare l’eccellenza tricolore (molti sono i partner di sempre, da Venchi a Lait per il gelato, da Lavazza a Vergnano, ai fratelli Maioli per le piadine, non solo a base di strutto, ma anche nella ricetta alternativa con olio d’oliva per i clienti musulmani) con una selezione di materie prime e specialità russe, per promuovere non solo il made in Italy, ma il cibo di alta qualità tout court, dal caviale venduto in pescheria agli infusi molto apprezzati dal costume nazionale. Tra pochi giorni, entro l’inizio di maggio, sapremo se Mosca risponderà con entusiasmo all’operazione, e il bilancio dei primi mesi sarà decisivo per orientare la strategia futura, senza escludere nuove aperture in città e sul territorio nazionale.

 

Eataly Mosca | Mosca | Kievskiy | www.facebook.com/eatalymoscow/

 

a cura di Livia Montagnoli

 

Piccoli produttori e aziende di nicchia: ecco le migliori passate di pomodoro

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Seconda tappa della prova d'assaggio di passata di pomodoro. È il momento di quelle realizzate da piccole e medie aziende, presenti in alte gastronomie, botteghe gourmet, enoteche con specialità gastronomiche.

Continua il nostro assaggio di passate di pomodoro, uno dei prodotti simbolo del made in Italy agroalimentare, in questo secondo turno, dopo aver già preso in esame i grandi marchi della Gdo ci siamo dedicati ai prodotti artigianali. I risultati sono stati sorprendenti e ci hanno regalato un anticipo d'estate.

 

Abbiamo assaggiato decine di passate di pomodoro. Un test alla cieca con prodotti coperti e numerati, sottoposti a un duplice assaggio: crudi e cotti velocemente in tegame, tre minuti senza sale e olio.

Oggi assaggiamo le passate di pomodoro reperibili nel segmento di nicchia, ovvero botteghe di cose buone, alta gastronomia, enoteche con settore dedicato alle specialità alimentari. In genere più fluide di quelle del comparto più industriale, di colore rosso vivace, e hanno caratteristiche di artigianalità: un'acidità naturale, una rustica dolcezza vegetale, aromi freschi e giovanili di pomodoro. Si avvicinano alla passata che una volta si faceva a casa alla fine dell'estate. Prodotti vibranti che esprimono pulizia, vivacità e freschezza, e seguono la generosità o i capricci della stagione: quindi non sono sempre uguali. È in questo ambito che troviamo passate di filiera, con controllo dal campo alla trasformazione, e un numero maggiore di prodotti biologici. Abbiamo provato solo le passate di pomodori cosiddetti convenzionali, rigorosamente rossi, sia lunghi a lampadina che rotondi, e abbiamo riportato i prodotti che si sono classificati ai primi posti. Delle passate fatte con pomodori di varietà particolari, di antiche varietà, autoctoni e territoriali, ci occuperemo in un'altra classifica, mentre dei prodotti presenti nella Gdo abbiamo già parlato.

 

La degustazione

Prima tappa del nostro test sulle passate di pomodoro: all'assaggio i prodotti artigianali, di piccole o medie aziende, presenti nei negozi di specialità di nicchia.

 

I prezzi indicati sono quelli medi al dettaglio

Tranne la prima classificata, le aziende sono in ordine alfabetico

 

primo pari merito

1° ex aequo - Oscar qualità/prezzo

Inserbo BIO 

La mission di Inserbo è la produzione di conserve di pomodoro caserecce e autentiche fatte dal fresco e a poche ore dalla raccolta con le varietà campane e con un occhio di riguardo per il biologico. La passata bio Selezione Manfuso, da pomodori (non di cultivar regionali) coltivati in biologico nella Piana del Sele, lavorati freschi in giornata e a mano con breve cotturaa bagnomaria, è dolce, sontuosa, corposa e compatta. Perfetta e già pronta così, cruda: non ha bisogno di nulla. Odori freschi e fragranti, appena un sentore di cotto. Una bella acidità naturale e una nota di umami accanto alla dolcezza, che aumenta molto dopo la cottura.

680 g prezzo 1,45-2,05 euro

Inserbo BIO | Angri (SA) | trav. Taverna Vecchia 2, s.s 18 area PIP | tel. 081 19257537 | www.inserbo.it

 

1° ex aequo

Orominerva - ND Oil & Food

Un risultato sorprendente per questa giovane azienda molisana nata nel 2011. Sicuramente per “ND”, Nico e Domenico, i soci di Orominerva. Pomodori coltivati nei propri terreni e da agricoltori di fiducia, tra Molise e Puglia, controllo di tutte le fasi di coltivazione, maturazione e raccolta, lavorazione dal fresco con i pomodori scottati in acqua prima di essere passati, pastorizzazione classica a bagnomaria e conoscenza della materia (Nico è tecnologo alimentare). Appena granulosa, compatta e omogenea rosso fiammante, ha il coraggio di essere quella che è: una passata delicata e classicissima, dal gusto pieno, rotondo ed equilibrato e dagli aromi di grande freschezza. Una buona base per qualsiasi piatto.

700 g prezzo 2,30-2,50 euro

Orominerva - ND Oil & Food | Cerro al Volturno (IS) | loc. Valloni | tel. 0865 1946290 - 347 8742977 | www.orominerva.it

 

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Le altre selezionate

Agricola Paglione BIO

Beniamino Faccilongo produce diverse passate di pomodoro bio e di filiera, fatte con pomodori freschi coltivati e trasformati nella propria azienda in agro di Lucera, tra il Tavoliere e l’Appenino Dauno, raccolti a mano, lavorati entro le 24 ore e sottoposti a cottura soft. L’assaggio della passata “rustica”, da pomodori tondi, conferma la buona lavorazione, il rispetto della materia prima, la freschezza dell’ortaggio. Colore rosso aragosta, non troppo densa, ha un buon profumo di pomodoro fresco, una dolcezza pacata, un’acidità giusta, una consistenza tenera, fluida e pulita, aromi delicati e materni, sensazioni che vengono esaltate dalla cottura. Da pasta pomodoro e basilico.

700 g prezzo 5,10 - 6,50 euro

Agricola Paglione BIO | Lucera (FG) | s.da prov.le 116, km 9,800 (c.da Perazzelle s.da per San Giusto) | tel. 366 9907771 | agricolapaglione@genie.it

 

Antonella

L'etichetta è già un manifesto di questa passata figlia di una delle nostre isole maggiori. Le scritte “La Sardegna nel cuore” e “Sardinia” ne indicano orgogliosamente la provenienza, sia dei pomodori che della trasformazione, effettuata da Casar di Serramanna, azienda a 20 minuti da Cagliari specializzata nelle conserve di pomodoro, fondata nei primi anni Sessanta eacquistata nel 1999 da Giovanni Muscas, presidente del Gruppo Isa di Villacidro, con tecnologia all'avanguardia ma con la cernita manuale della materia prima. Due i marchi aziendali, Casar e Antonella, quest'ultimo presente nel circuito Eataly. I pomodori sono100% sardi, del tipo allungato e di filiera certificata, coltivati nell’Oristanese e nel Medio Campidano con metodi che tendono a ridurre l’uso di sostanze chimiche, lavorati freschi nell’arco di 12 ore dalla raccolta, medianteevaporazione di una parte dell’acqua di vegetazione in impianto di concentrazione sottovuoto. Senza sale aggiunto: solo pomodoro, nient'altro. La passata Antonella all'occhio è da manuale: compatta, omogenea e densa, di tonalità rosso intenso, senza un filo di sostanza acquosa. Al naso e in bocca è il classico prodotto industriale ben fatto, con i sentori caratteristici della conserva di pomodoro, il dolce che abbraccia l'acido, e un leggero sentore di cotto che tende a coprire la freschezza dell'ortaggio. Migliora con la cottura.

680 g prezzo1,30 euro

Antonella | Serramanna (VS) | s.s. 196 d, km 7.155 | tel. 070 91341 - 070 91341300 | www.casar1962.com

 

Borgo La Rocca BIO

Filiera, coltivazione in campo aperto, rispetto dei naturali tempi di maturazione, raccolta a mano, selezione in campo e in laboratorio, trasformazione maison dal fresco, cottura in acqua, pastorizzazione a bagnomaria, certificazione bio per una passata con sale e basilico caratteristica, fresca e genuina, ben lavorata nell'azienda di Nicola Mercurio. Consistenza fluida con tracce di semi e bucce, una bella dolcezza in armonia con l'acidità, aromi puliti e coerenti, che si aprono e si valorizzano dopo la la cottura. E con il basilico non invadente. Una buona base per qualsiasi ricetta.

720 g prezzo 2,70-3,50 euro euro

Borgo La Rocca BIO | San Nicola Manfredi (BN) | fraz. Monterocchetta via Elena, 12 | tel. 082 440770 | www.borgolarocca.it

 

Ciro Flagella

Una buona passata di pomodoro fatta con sapienza quella di Ciro Flagella, ottenuta da pomodoro italiano fresco lavorato a mano, con aggiunta di sale. Appaga l’occhio con la sua perfetta, quasi sensuale consistenza fluida compatta e omogenea, pulitissima, senza tracce di semi e bucce, che mantiene la sua natura anche dopo cotta. Pochi i profumi, di contro un buon sapore, delicato, non esuberante ma armonico, preciso e pulito, e con i giusti richiami al pomodoro fresco.

700 g prezzo 4 euro

Ciro Flagella | Castel di Sangro (AQ) | Piana Santa Liberata s.s.17, | km 149,620 | tel. 0864 840351- 348 3819082

 

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Oscar Qualità/Prezzo

Ecor BIO 

La passata “base” Ecor (c'è anche quella a marchio congiunto Ecor-Fattoria di Vaira, di pomodorino ciliegino), prodotta da Coppola di Scafati (SA) con pomodori italiani biologici, raccolti, lavorati e confezionati entro le 24 ore, è molto densa, fine e compatta, di aspetto lucente: velluto fluido rosso fuoco. Un prodotto da manuale, come vuole il consumatore medio, praticamente una salsa pronta. Non esuberante al naso e in bocca, ha un'acidità alta, una dolcezza contenuta e una freschezza non stratosferica, ma nel complesso è caratteristica, pulita, ben fatta: si percepisce il pomodoro lavorato con rispetto.

700 g prezzo 1,35 euro

Ecor BIO | Verona | via L. De Besi, 20c | tel. 045 8918611| www.ecor.it

 

F.lli Andolfo - La Primavera
Con il marchio La Primavera l'azienda F.lli Andolfo, nata nell'immediato dopoguerra e oggi nel nucleo industriale di Napoli, confeziona un ampio ventaglio di conserve per la pummarola. La passata, realizzata con il pomodoro convenzionale tondo e aggiunta di sale (c'è anche la versione di San Marzano), è il classico prodotto industriale, nella norma in tutti i suoi aspetti. All'occhio è la classica purea corposa, fine, fluida e lucente come se l'aspetta il consumatore medio. Al naso e in bocca si avvertono un'acidità alta e il caratteristico sentore di cotto, spesso presente nelle passate “lavorate”.

680 g prezzo non pervenuto

F.lli Andolfo - La Primavera | Napoli | via Luigi Volpicella, 62a | tel. 081 7527481 | www.conservelaprimavera.it

 

La Collina BIO

Un prodotto buono tre volte – per il piacere del palato, l'ambiente e il valore sociale – quello della cooperativa agricola La Collina, nella zona vocata al parmigiano reggiano. Fondata nel 1975 da padre Renzo Braglia, è oggi una grande famiglia allargata che oltre all'attività rurale si occupa del recupero di ragazzi con problemi di dipendenza patologica. I pomodori, così come gli altri prodotti aziendali (cereali, legumi, ortaggi, frutta, uva da vino), sono coltivati in azienda con il metodo biologico/biodinamico. La passata è ottenuta dalla varietà Barone Rosso (Tomato Colors), con aggiunta solo di sale marino. La raccolta, tardiva, e lavorazione avvengono in giornata per preservare la freschezza e le caratteristiche del pomodoro, con lavaggio e cernita manuali, pastorizzazione a bagnomaria. La versi e dal barattolo esce una bella passatona rossa e piuttosto densa, pulita e omogenea. Il naso è molto delicato, prima e dopo la cottura. E anche la prima sensazione al palato è piuttosto pacata, con il tipico sapore dolce acidulo del pomodoro e un lieve sentore di cotto. Ma la cottura concentra il gusto e lascia al palato una sensazione di pulizia e leggerezza. Nessuna traccia di amaro. In vendita presso Eataly e NaturaSì.

680 g prezzo 2,40/3,90 euro

La Collina BIO | Reggio Emilia | via Carlo Teggi, 38 | tel. 0522 306478 | www.cooplacollina.it

 

La Selva BIO

La passata dell’azienda bioagricola di Karl Egger è ottenuta dadiverse varietà di pomodori biologici di propria produzione e di aziende agricole partner nel sud della Toscana. La produzione è effettuata entro 24 ore dalla raccolta (dalla Dispensa di Campagna, stessa proprietà)senza aggiunta di altro: solo pomodoro fresco raccolto al giusto grado di maturazione. Le intenzioni coincidono con quanto emerge all’assaggio. Una passata bella e precisa color rosso fuoco, ben lavorata, pulita, fluida e omogenea. Delicatezza, pulizia e armonia al naso e in bocca sono la sua cifra, sia cruda che dopo la cottura. Non particolarmente esuberante ma senza neanche piacionerie, con i caratteristici profumi di pomodoro fresco e il perfetto equilibrio dolce/acido.

425 g prezzo 1,40-1,80 euro 

La Selva BIO | Orbetello (GR) | loc. Albinia s.da prov.le 81 - Osa, 7 | tel. 0564 88481 | www.laselva-bio.it

 

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Le Lame BIO

Filiera chiusa, dalla terra al vaso di vetro,materia prima coltivata e lavorata secondo gli standard Demeter, complicità del terreno vocato e del clima, rispetto dei naturali tempi di maturazione dei pomodori, trasformazione con metodo delicato ed entro 24/48 ore dalla raccolta, pastorizzazione a bagnomaria. Sono questi i punti di forza delle conserve di pomodoro Le Lame, azienda salentina tra le prime biodinamiche in Italia, che produce a proprio marchio e per terzi (per esempio, Le Masserie del Duca). La passata di pomodoro convenzionale (c'è anche la versione di ciliegino) è prodotta con le varietà Rio Grande e Donald e aggiunta di sale. Si presenta abbastanza compatta, omogenea e densa, appena un rivolo di sostanza liquida che fuoriesce dalla parte fluida. Profumo, gusto e aromi rimandano al buon pomodoro lavorato dal fresco e secondo le migliori intenzioni, anche se al naso si percepiscono sentori estranei che la cottura dirada lasciando il posto a una materna e tenera dolcezza.

700 g prezzo 3,00/4,50 euro

Le Lame BIO | Cutrofiano (LE) | c.da Lame - C.M. 101 | tel. 333 2951641 | www.lelame.it

 

Maida BIO

Passata da podio, di filiera e biologica, lavorata in modo artigianale con un sacro rispetto della materia prima. I pomodori sono coltivati e trasformati nell'azienda agricola di Francesco Vastola, a un tiro di schioppo dai templi di Paestum, raccolti e lavorati in giornata, appena sbollentati quindi passati, invasati e pastorizzati senza ulteriori cotture, infine confezionati con il marchio Maida. La buona pratica si percepisce tutta in questa passata molto fine, fluida e vibrante, di tenera veracità. Tra gli ingredienti ci sono il sale e il basilico, condimento quest'ultimo che in genere non giova al prodotto, anzi, ma qui non disturba la pulizia e la freschezza vivace e giovanile della passata, i suoi meriti insieme a un esemplare equilibrio tra dolcezza e acidità. Un po' acquosa anche dopo la breve cottura. Per sughi di pomodoro sciuè sciuè da mantecare con la sua acqua o per ragù di carne dei giorni migliori: scegliete voi.

680 g prezzo 4,50-6 euro

Maida BIO | Capaccio Paestum (SA) | via Tempa di Lepre, 31/33 | tel. 0828 722 975 - 340 9811553 | www.maidaitaly.com

 

Masseria Dauna

Una bella passatona fresca, naturale e sincera, figlia di filiera chiusa. Nell'azienda, gestita da Saveria Pozzuto, nel Subappenino Dauno, i pomodori vengono coltivati, raccolti a mano, selezionati in campo aperto e lavorati “nature” appena staccati dalla pianta: solo l'ortaggio fresco, null'altro. Color rosso caldo, un po' fluida, profumi delicati, acidità naturale, un'amabile freschezza e un sapore molto pacato dovuto all'assenza di sale: è la sua cifra. Un prodotto che ispira fiducia, un jolly per qualsiasi piatto. Da podio.

700 g prezzo 3,80-4,20 euro

Masseria Dauna | Lucera (FG) | c.da Ripatetta - zona San Giusto | tel. 347 5345907 | www.masseriadauna.com

 

Masseria Mirogallo

Caratteristica e schietta, come deve essere una buona passata artigianale, quella dell'azienda agricola Belfiore, nel Parco delle Chiese Rupestri. Un prodotto di filiera, con coltivazione e trasformazione dei pomodori maison, senza aggiunta di sale o altro. Pulita, fluida e abbastanza omogenea color rosso scuro, ha i classici profumi orticoli e l'acidità tipica del pomodoro, con vaghi sentori di cotto che tuttavia non tolgono freschezza e pulizia. Non esuberante ma corretta e verace, buon comprimario per qualsiasi piatto.

540 g prezzo 2,30-3 euro

Masseria Mirogallo | Matera | c.da Mirogallo | tel. 0835 311532 | www.masseriamirogallo.it

 

Niasca Portofino - Il Fondaco

“Cara mamma, assaggia questa, con foglie di basilico dei nostri terreni che si affacciano sul borgo”. È il claim della passata a marchio Niasca Portofino, società che tra le varie attività si occupa di distribuzione di prodotti territoriali realizzati in collaborazione con aziende specializzate. La passata a proprio marchio è realizzata da Prunotto di Alba (CN) con pomodori italiani trasformati entro 48 ore dalla raccolta e il basilico genovese fresco conferito dalla società portofinese, senza aggiunta di sale. Una buona passata classica, dalla consistenza molto fluida e precisa, la giusta acidità, gli aromi caratteristici di pomodoro cotto e la “zampa” verde del basilico, ma discreta e non fastidiosa.

690 g prezzo 2,80 euro

Niasca Portofino - Il Fondaco | Portofino (GE) | via del Fondaco, 12a | tel. 0185 269069 | www.niascaportofino.it

 

I prezzi sono quelli medi al dettaglio

Tranne le prime classificate, le altre aziende sono in ordine alfabetico

 

a cura di Mara Nocilla

 

Articolo uscito sul mensile di Marzo 2017 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui

 

 

 

Slow Fish 2017 al Porto Antico di Genova. La tutela del mare attraverso l'educazione al gusto

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Ospiti italiani e internazionali, pescatori, produttori, ricercatori, cucine di strada regionali: tutti riuniti a Genova per l'evento dedicato al pesce e alle risorse del mare. Torna, come ogni due anni, Slow Fish al Porto Antico di Genova, dal 18 al 21 maggio.

Il programma

Giunta all'ottava edizione, la manifestazione - organizzata dall’associazione Slow Food Italia e dalla Regione Liguria, in collaborazione con il Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali – è sempre una bella occasione per tornare a parlare di risorse ittiche e salvaguardia dei mari. Tema di quest'anno: “La rete siamo noi”, con l'obiettivo di condividere e sostenere un approccio buono, pulito e giusto alla filiera ittica, alla biodiversità marina e all’equilibrio delle acque dolci. Il punto di riferimento per chi vuole seguire gli incontri e i dibattiti è la Casa Slow Food. Qui è possibile vivere il racconto di piccole comunità della pesca, come quella dei Caraibi che sta portando avanti la lotta contro il pesce leone (una specie aliena proveniente dagli oceani Pacifico e Indiano che a causa della sua voracità ha provocato seri danni all’ecosistema marino dei Caraibi, portando le popolazioni di interesse commerciale, come l’aragosta, al limite dell’estinzione) o quella di Ngaparou, una località costiera del Senegal, che ha dovuto affrontare i danni causati da pratiche diffuse di pesca aggressiva. Per approfondire le questioni di salute e nutrizione, invece, ci si deve spostare nella saletta didattica di Eataly Genova, qui durante gli appuntamenti Master of Food dietisti e nutrizionisti cercheranno di fare chiarezza, sfatando i falsi miti riguardanti il pesce.

La Cucina dell’Alleanza e il Mercato con i Fish-à-porter

Accanto ai pescatori e ai nutrizionisti ci sono i cuochi della Cucina dell’Alleanza, un vero e proprio teatro in cui gli attori cucinano e raccontano gli ingredienti. Tra gli altri, Pasquale e Luca Tarallo del Ristorante Paisà a Montecorice preparano una Zuppetta mediterranea di ceci di Cicerale con alici di Menaica Danilo Antonio Vasta del Ristorante T-Porto di Muggia un Calamaro farcito al formadì frant, pan di sorc e timo marittimo, accompagnato da un bagnetto di fave e cipolla di Cavasso e della Val Cosa brasata in aceto d’uva. Dall’Ecuador, Esteban Tapia porta l’encocado di gamberi, ovvero riso con gamberi in latte di cocco. E per chi vuole vivere l'esperienza autentica del mercato, ci sono le bancarelle di pesce fresco e conservato con i Fish-à-porter. Quest'anno, poi, nella cucina allestita tra i banchi del mercato, cuochi e pescatori si alternano preparando piatti semplici e gustosi e spiegandone la storia, gli ingredienti, le particolarità. Qualche esempio? Dal susci di Moreno Cedroni, preparato con il pesce povero dell’Adriatico, al bacalao, dal court bouillon alle meduse. Oltre alla Cucina dell’Alleanza e al Mercato, sono altri i luoghi conviviali della manifestazione. Come l'Enoteca con 300 etichette italiane, la Piazza delle Feste, che ospita eventi di mixology, e Piazza Caricamento dedicata alle pizze e alle birre.

Gli Appuntamenti a Tavola

Tra gli eventi più classici e attesi di Slow Fish ci sono le cene ospitate all’interno del Palazzo Branca Doria, nel Cavo Ristorante, e nel ristorante Il Marin di Eataly Genova. Molti gli chef coinvolti ma solo uno il filo conduttore: il pesce, che sia di lago, fiume, laguna o mare. Aprono le danze, mercoledì 17 maggio, Maurizio Sandro Serva del ristorante La Trota di Rivodutri, ma la kermesse continua con Giorgio Dal Forno, del ristorante Ai Tre Canai di Marano Lagunare, in provincia di Udine, Corrado Scaglione e Valeria Mosca, che preparano per l'occasione pizze fatte con farine ricavate da fiori e piante edibili unite a quelle di frumento, Luigi Taglienti da Lume a Milano. E ancora il colombiano Roy Caceres alla guida del Metamorfosi di Roma, il giapponese Yoji Tokuyoshi dell'omonimo ristorante di Milano, Elvio Milleri, chef di Era Ora a Copenaghen, Moreno Cedroni de La Madonnina del pescatore di Senigallia e infine Mauro Colagreco del Mirazur di Mentone.

 

Slow Fish 2017 | Porto Antico di Genova, Genova | dal 18 al 21 maggio, dalle 11 alle 23 (domenica fino alle 19) | Ingresso gratuito | slowfish.slowfood.it

 

a cura di Annalisa Zordan

 

 

6 fotografi di cibo per un collettivo: vi presentiamo Zest

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Prendi 6 giovani fotografi appassionati di gastronomia e specializzati nella rappresentazone del cibo, mettili insieme e ottieni Zest, il primo collettivo di food photographer. 

Un'intervista con risposte a a 12 mani, quelle dei 6 fotografi di Zest. Il primo collettivo di food photographer d'Italia. Giovani, col loro progetto interpretano il concetto contemporaneo di “condivisione”. Che è soprattutto condivisione di saperi, contatti, riflessioni.

Sono Ilva Beretta, Alessandra Desole, Andrea Fongo, Raffaele Mariotti, Tatiana Mura, Laura Negrato. E noi li abbiamo intervistati.

 

 

Andrea Fongo

Foto di Andrea Fongo

 

Cosa è Zest?

Zest è il nome che ci siamo dati come collettivo di fotografi di food. Il significato più immediato è scorza di limone o di arancia ma significa anche entusiasmo, interesse e passione. Questi tre aggettivi riassumono quello che per noi rappresenta il food. Zest è formato da sei fotografi: Ilva Beretta, Alessandra Desole, Andrea Fongo, Raffaele Mariotti, Tatiana Mura, Laura Negrato.

 

Come e quando ma soprattutto perché nasce l'idea del collettivo?

Siamo nati a inizio 2017. Ci siamo conosciuti in un altro progetto che abbiamo deciso di abbandonare per creare un collettivo dove siamo rappresentati solo da noi fotografi.

dittico_Ale_DesoleFoto di Alessandra Desole (dittico)

 

Quali sono i vantaggi di consorziarsi?

Molteplici. Vale sempre il detto “l’unione fa la forza”. Poi rappresentiamo il concetto moderno di condivisione: ci si confronta, si discutono aspetti tecnici, idee creative e progettualità. Così facendo diventiamo tutti dei fotografi migliori.

 

Quali sono le cose che condividete?

Tranne due di noi su Milano, gli altri vivono in altre regioni d’Italia, perciò la nostra resta prima di tutto una condivisione di know-how, contatti, idee e progetti.

 

Non temete che le vostre singole identità di fotografi possano essere messe in ombra dall'immagine complessiva del gruppo?
Ognuno di noi ha un suo stile riconoscibile. Comunque abbiamo voluto mantenere un equilibrio, sia nel sito sia nei nostri canali social, dove coesistono l’identità di ogni singolo autore insieme a quella del collettivo.

 

Ilva_Beretta_Foto di Ilva Beretta

 

Le vostre tariffe sono uniformi oppure ognuno ha un prezzario differente? E come si riesce a gestire all'esterno?

Ogni autore del collettivo gestisce il proprio lavoro autonomamente e, di conseguenza, le tariffe che ritiene opportuno applicare. Nel caso in cui, invece, il lavoro venga affidato al collettivo la tariffa viene decisa di comune accordo.

 

Fate solo foto di cibo o anche altri generi?

Per la maggior parte degli autori il lavoro non si esaurisce con la food photography ma copre anche altri ambiti.

 

Amare il (buon) cibo è necessario?

Come in ogni professione anche nella food photography la buona riuscita del lavoro non può prescindere dalla conoscenza del soggetto trattato, ma serve anche una passione per l’arte culinaria e il cibo in ogni suo aspetto.

 

Da quando avete iniziato a occuparvi di fotografia a oggi, come è cambiato il vostro modo di fotografare?

Il lavoro è in continua evoluzione dal momento che la food photography ha tendenze che si modificano nel tempo, quindi anche il modo di fotografare segue di pari passo le richieste del mercato.

 

Laura_NegratoFoto di Laura Negrato

 

Cosa ha portato nel vostro modo di lavorare la creazione di questo collettivo?

La creazione di Zest ha portato soprattutto dialogo ma anche appoggio e sostegno. I fotografi, in generale, lavorano da soli e per se stessi, invece fare parte di un gruppo porta con sé il confronto tra diverse esperienze, professionalità e background. Diciamocelo, anche tanta pazienza per quanto riguarda l'organizzazione visto che siamo dislocati in varie parti d'Italia.

 

Come definisce ognuno di voi le proprie foto?

Raffaele Mariotti: croccanti. Tatiana Mura: alternative. Ilva Beretta: risultato di un'ossessione per la luce. Alessandra Desole: pop e contemporanee. Andrea Fongo: estetizzanti. Laura Negrato: introspettive.

 

Per chi lavorate e come?

Siamo pronti per ogni tipo di collaborazione che abbia a che fare col cibo, che sia una commissione o anche una richiesta di immagini che facciano già parte del nostro repertorio. Il fatto che siamo un collettivo di fotografi con diverse attitudini, stili e modi di lavorare significa che possiamo coprire molteplici richieste, insomma un ampio spettro d’azione a portata di click!

 

Raffaele_MariottiFoto di Raffaele Mariotti

 

Capita mai che ci sia un lavoro che arriva a uno di voi e poi, invece, viene passato a qualcun altro perché ha più affinità con quel che deve fare?

Ancora non è successo ma sicuramente capiterà in futuro, è questo lo spirito che ci accomuna.ù

 

Fate mai dei progetti insieme?

Zest è nato da poco, e non c’è stato ancora modo di partecipare attivamente a più mani su qualche progetto ma una delle idee alla base del collettivo è proprio la condivisione, e ci stiamo infatti muovendo per collaborare insieme a workshop, mostre, e altri progetti in cantiere.

 

Quali sono le novità più interessanti del mondo del cibo degli ultimi anni secondo voi?

A nostro avviso la cosa più interessante è che negli ultimi anni è cresciuto in maniera esponenziale l’interesse per questo mondo, portando l’attenzione mainstream su un settore che in precedenza era riservato agli addetti ai lavori. Questo ha significato un fiorire di nuove figure professionali, nuove opportunità di lavoro e un’attenzione a volte maniacale su tanti aspetti del mondo del food, dal foodblogging agli show in tv, dai libri di qualità ai documentari.

Tatiana MuraFoto di Tatiana Mura

 

I clienti capiscono la differenza tra un professionista e uno improvvisato?

Purtroppo c’è molta improvvisazione e approssimazione. A volte si fatica a far percepire la qualità del proprio lavoro con alcune tipologie di clienti e questo è dovuto sia alla poca preparazione del cliente sia a una saturazione del settore fotografico. Spesso vige il concetto del “good enough”, in cui quello che viene richiesto è alla portata anche di un non professionista, e si innesca un meccanismo da cui è difficile uscire.

 

Ora con le nuove tecnologie alla portata di tutti, dagli smartphone e alle fotocamere amatoriali sempre più sofisticate, come cambia il vostro lavoro?

Ci sono lati sia positivi che negativi: quello positivo è che le persone sono più propense ad avere una visuale estetica e recepiscono l'importanza di usufruire di una buona immagine per presentare il proprio prodotto. D'altra parte, con la democratizzazione del mezzo fotografico, molti "fotoamatori" accettano lavori pagati in visibilità o retribuiti pochissimo e questo va ad incidere sul lavoro del professionista che investe tempo e denaro per fornire un servizio professionale.

 

Andrea FongoFoto di Andrea Fongo

 

Cosa vi piace e cosa non vi piace del mondo del cibo e della food photography?

Per molti versi è un mondo meraviglioso, il cibo oltre che coinvolgere tutti i sensi è anche nutrimento sia per il corpo che per la mente. Oggi, più che nel passato, si lavora per rendere il cibo più sostenibile e di alta qualità e questa è la giusta direzione per il futuro. Il cibo però è diventato anche un bene di consumo e lo spreco alimentare è un tema urgente da affrontare.

La food photography si è evoluta tanto ed è diventata, nel presente, un genere riconosciuto e di spicco e di questo ovviamente noi siamo contenti! Il rovescio della medaglia è che basta dare uno sguardo ai social come Instagram per esempio, e si noterà la tendenza all'uniformazione dell'immagine. È per questo che pensiamo che Zest sia utile per i compratori, art directors e clienti commerciali: perché offriamo una scelta di sei differenti modi di rappresentare il cibo, tutti diversi e distinti e assolutamente in linea con le tendenze.

 

A proposito: come la mettete con le app tipo Istagram?

Instagram è una grandissima risorsa. È vero: nei social in generale domina il foodporn ma usare in maniera intelligente i social permette di farti conoscere da un vasto pubblico senza dover ricorre a spese pubblicitarie.

Laura NegratoFoto di Laura Negrato

 

Cosa manca all'Italia del cibo e soprattutto al racconto per immagini del cibo?

L'Italia sta iniziando ad aprirsi ad influenze esterne, viene usata molta più luce naturale e la "golden light" che ha dominato fino a ieri sembra che stia svanendo, aprendo la strada a delle immagini più naturali. Ovviamente c'è ancora molta strada da fare per uno stile che sia fresco, internazionale ma con un distinto e riconoscibile tocco italiano.

 

A cosa puntate? Carta stampata? Web? Campagne pubblicitarie? Libri? E come cambia i lavoro rispetto a queste variabili?

Ognuno di noi si dedica maggiormente ad un settore rispetto ad un altro ma come collettivo ci muoviamo su differenti generi fotografici. Una foto pubblicitaria può essere molto diversa rispetto a una editoriale. Cambia lo stile, cambia il messaggio talvolta possono cambiare anche gli strumenti. L'importante è non perdere mai di vista cosa si vuole comunicare attraverso la foto.

 

La differenza tra una foto commerciale e quella per un libro o un altro prodotto?

Per una campagna pubblicitaria il prodotto sarà il vero protagonista dell'immagine, per una rivista o un libro di cucina anche la preparazione del piatto è importante e bisogna riuscire a trasmetterla con uno scatto.

 

Foto di Raffaele MariottiFoto di Raffaele Mariotti

 

Il cibo più difficile da fotografare?

Il cibo più difficile da rendere appetibile è sicuramente la carne. Ma gli alimenti più difficoltosi da fotografare sono quelli facilmente deperibili. Il gelato, per esempio, che si scioglie velocemente o le verdure a foglia verde che se non trattate da un food stylist con prodotti ad hoc appassiscono in fretta.

 

Analogico o digitale? Luce naturale o luce artificiale?

Preferiamo il digitale. Per ogni shooting si scattano moltissime foto e il digitale è sicuramente la scelta più appropriata, anche per la postproduzione. Per la luce alcuni di noi preferiscono la luce naturale, altri quella artificiale. Non c'è una regola, dipende dal proprio gusto, stile e soprattutto da cosa vogliamo ottenere.

 

Foto di Tatiana MuraFoto di Tatiana Mura

I trend nella fotografia di cibo secondo voi.

Tra i linguaggi visivi più usati abbiamo quello Pure white, nel quale predomina il bianco molto lineare e pulito. Un altro stile molto in voga al momento è quello Mystic light che a differenza dello stile citato in precedenza vuole un gioco di luci e ombre, qui dominano i contrasti. Potremmo citare anche lo stile pop che si ispira alla pop art ricco di colori, provocatorio e mai banale o lo stile legato ai simboli, alternativo in cui il cibo perde il suo significato originale.

 

Zest | https://www.zestphotocollective.com/

 

a cura di Antonella De Santis

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