Fine d'anno col botto per gli spumanti italiani, ma anche gli altri mesi sono andati alla grande. Li passiamo in rassegna qui, per fare il punto sull'andamento delle nostre bollicine in questo 2015.
Per gli spumanti italiani questo è il periodo più importante dell'anno, ma ormai il loro consumo è spalmato anche sugli altri 11 mesi. E se il Prosecco fa da traino, il metodo classico cerca i suoi spazi all'estero. Mentre l'Asti deve fare i conti con il crollo dell'export in Russia.
L’Italia all’estero è sempre stata conosciuta per i suoi vini, bianchi e rossi, ma quasi sconosciuta come produttrice di grandi spumanti. Da qualche anno a questa parte, la lacuna in parte si sta colmando, grazie soprattutto al successo e alla diffusione sempre più capillare del Prosecco nel mondo, un traino anche per le altre bollicine. E così, ora, i nostri metodo classico, consumati soprattutto nel mercato domestico, hanno sicuramente qualche opportunità in più di attirare l’attenzione in mercati dove Cava e Champagne sono assai conosciuti, ben piazzati e presenti da molto più tempo.
In attesa dei dati ufficiali sul secondo semestre 2015 - se ne parlerà a 2016 inoltrato – abbiamo provato a fare il punto. Già lo scorso novembre l’Ismea scriveva riferendosi al primo semestre che “è sempre boom degli spumanti che hanno sfiorato 1,6 milioni di ettolitri (+16%) per un corrispettivo di 556 milioni di euro (+18%). Ed è sempre la voce 'altri spumanti Dop', quella cioè, che comprende il Prosecco, a trascinare questa domanda con una progressione di oltre il 30% sia a volume, sia valore”. Un avanzamento generale che abbiamo voluto verificare tastando il polso di tutti i principali protagonisti del mondo dello spumante italiano, metodo classico in primis, per capire sia se il trend è destinato a continuare, ma anche qual è lo stato di salute delle diverse denominazioni interessate.
Più brindisi con spumanti che con Champagne
Questo Natale, secondo Coldiretti, sarà record storico di made in Italy sulle tavole estere (3 miliardi di euro), con lo spumante che registra una crescita del +19% nel valore delle esportazioni. Mai così tanti brindisi come quest’anno nel mondo saranno made in Italy, con la domanda che è cresciuta in valore del 50% in Gran Bretagna e del 32% negli Stati Uniti, che si classificano rispettivamente come il primo e il secondo mercato di sbocco delle bollicine italiane. Al terzo posto la Germania. E si registra una crescita del 19% perfino in Francia. Nella classifica dei consumi all'estero ci sono nell’ordine Prosecco, Asti, Trento Doc e Franciacorta. E quest’anno, conclude Coldiretti, all’estero si stapperanno più bottiglie di spumante italiano che di Champagne francese.
Il mondo del metodo classico
Per Enrico Zanoni, presidente dell’Istituto Trento Doc, il “2015 è sicuramente positivo con una crescita per tutte le 43 aziende associate. Anzi è molto probabile che, a conti fatti, i dati si dimostrino superiori al 2014”. Tra le motivazioni del successo delle “bollicine di montagna”, di cui il padre nobile è stato Giulio Ferrari, l’allargamento della presenza anche in altre regioni oltre al Nordest, la progressione nella destagionalizzazione dei consumi su cui da tempo l’Istituto sta lavorando - in particolare con i ristoranti e con gli alberghi - e infine l’incremento dell’export grazie anche alle performance di aziende leader del settore, come Ferrari e Rotari, che ha permesso di innalzare l’asticella sino al 20% del totale. Si tratta, nel mondo del metodo classico, della percentuale più alta. È probabile che nell’arco di qualche tempo sia destinata a salire ulteriormente. Infatti nel 2016, per la prima volta, i fondi per la promozione dell’Ocm Vino, saranno investiti campagne che toccheranno Germania, Nord Europa, Usa e Giappone. “Dobbiamo fare ancora molto strada”continua Zanoni “a partire dall’approccio con cui ci dobbiamo presentare all’estero: non siamo i cugini poveri dei francesi, ma la punta di diamante della produzione italiana di metodo classico”.
Ottimista anche Maurizio Zanella, presidente del Consorzio di tutela della Franciacorta: “Per noi novembre e dicembre sono mesi decisivi, ma niente fa pensare che il trend di crescita, già verificato a giugno e luglio, sia contraddetto da quanto sta succedendo in questi giorni. La proiezione finale per l’anno 2015 regista sicuramente una crescita generale di almeno il 10% in più rispetto al 2014”. Le basi del Franciacorta Docg sono in Italia, soprattutto al Nord dove la richiesta è sempre più importante, mentre la diffusione nel Centro Sud cresce, ma non con lo stesso ritmo. “Per l’estero ci vuole molto lavoro specialmente per noi della Franciacorta che vogliamo competere sulla qualità, e non sui prezzi, andandoci a confrontare con chi è già presente sui mercati almeno da 250 anni (leggi Champagne; ndr). I compratori ci assaggiano, fanno le loro comparazioni e lo ordinano, ma poi non è scontato che il consumatore lo acquisti visto che non ci conosce proprio, oppure molto poco”. Intanto la Franciacorta si appresta a operare la sesta revisione del disciplinare di produzione in vent’anni. L’obiettivo è di renderlo sempre più stringente da un punto di vista qualitativo.
Tra le tante culle del metodo classico italiano, l’Oltrepò Pavese ha un posto di primo piano. Michele Rossetti, presidente del Consorzio di tutela, mantiene un atteggiamento prudente: “È ancora presto per fare dei bilanci, ma tendenzialmente le richieste di certificazioni sono in aumento ma visto che a novembre e dicembre avviene il 40% degli imbottigliamenti, si potrebbe ipotizzare un +8% complessivo. Da registrare l’ottima performance del pinot nero ottenuto con il metodo Martinotti (in autoclave)”. Guardando i dati degli ultimi cinque anni, la produzione di metodo classico dell’Oltrepò Pavese è al di sotto dei 2 milioni di bottiglie, tra Docg e Vsq (Vino spumante di qualità). Quasi il 91% rimane in Italia, soprattutto Lombardia e in genere Nord Italia, mentre solo il 9% va all’estero. Come osserva Emanuele Bottiroli, direttore del Consorzio “La chiave è internazionalizzare, allargando gli sbocchi di mercato e quindi motivando produttori e cantine cooperative a credere di più nella spumantistica, con qualità in quantità”. Già, perché Oltrepò significa 3000 ettari in produzione di pinot nero, un potenziale ancora tutto da sfruttare e di cui il Cruasé è il testimone.
Cresce seppur lentamente anche lo spumante Lessini Durello: “Il nostro è uno spumante fortemente ancorato al territorio che nasce da un vitigno difficile e dall’acidità molto particolare” dice il direttore del Consorzio Aldo Lorenzoni “I nostri produttori sono molto legati alla produzione dell’uva, mentre nella commercializzazione bisogna fare ancora dei passi in avanti”. Ogni anno la denominazione - circa 650.000 bottiglie di spumante - è aumentata percentualmente, ma l’obiettivo è di arrivare a un milione.
Un'altra espressione, piccola ma significativa, è quella raccolta nel Consorzio Alta Langa Docg.“Pur avendo numeri contenuti abbiamo una storia di produzione di metodo classico che non è seconda a nessuno” spiega Giulio Bova, presidente del Consorzio “Siamo nati 15 anni fa con poco più di 100.000 bottiglie, nel 2008 erano diventate 350.000 e ora siamo arrivati a 650.000 bottiglie che vengono esaurite. Contiamo di crescere ancora, però, tanto che abbiamo chiesto di aggiungere ai nostri 110 ettari di vigneto altri 120 ettari. Un buon segno per il futuro”. Alta Langa Docg è un metodo classico definito 'gastronomico' perché viene consumato soprattutto prima dell’estate, come da tutto pasto, nel Nordovest (dove va il 70% delle bottiglie), mentre il 15% è destinato all’esportazione. Alta Langa, insomma, non risente di quei picchi di consumo legati alle festività di altri spumanti.
Lorenz Martini dell’Associazione Produttori SpumantiMetodo ClassicoAlto Adige, racconta che la piccola pattuglia di spumantisti sudtirolesi è in leggera salita. “Prossimamente tre cantine sociali altoatesine presenteranno il loro metodo classico, ampliando la gamma in offerta”. Nonostante a Cornaiano i primi esempi di produzione risalgono al 1909, l’Alto Adige è poco conosciuto per lo spumante, ma la situazione, seppur favorevole, con vigneti sino a mille metri, si scontra con i prezzi elevati anche delle basi spumante, però la mancanza di una massa critica - appena 250 mila bottiglie - limita le possibilità. Compensa la buona qualità e il radicamento dei consumi nel territorio.
L’universo del Prosecco
Per il mondo del Prosecco il 24 novembre è una data da ricordare perché è il giorno in cui sono state pubblicate su Decanter le degustazioni di Susie Barrie MW,intitolate “Top Prosecco for Christmas” che hanno riguardato Doc e Docg. E sui punteggi, Susie, non ha certo lesinato: primo il Cartizze Docg di Adami con 94/100, seguito da altri con 91/100 tra cui il Frizzante di De Faveri. Il più basso 87/100. Un bell’inizio delle feste e qualche mal di testa per i nostri critici più snob.
Quanto alla situazione sul terreno secondo Stefano Zanette, presidente del Consorzio Prosecco Doc, un vero colosso del settore che raccoglie 21 mila ettari di vigneto: “In un quadro largamente positivo registriamo una flessione nelle certificazioni nel mese di novembre (Parigi ha avuto il suo peso; ndr), ma comunque contiamo di migliorare i risultati anche nel 2015. Ci stiamo avviando verso un riposizionamento del prodotto dovuto alla crescita del prezzo delle basi spumante: siamo quasi all’equilibrio della domanda e dell’offerta. Bisognerà vedere come il mercato reagirà all’aumento, anche perché è necessario consolidare le posizioni raggiunte. È giusto che con la Docg ci sia un una forbice di prezzo che aiuti a riconoscere il prodotto”. Innocente Nardi, presidente del Consorzio Tutela del Vino Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore Docg, parla di un generale “andamento positivo delle certificazioni con una flessione a novembre in via di recupero. Pensiamo di ipotizzare una crescita del 5% della nostra denominazione ma le somme si tireranno a metà del 2016. Bisogna affinare sempre più le nostre capacità per gestire la crescita in modo di assicurare anche in futuro coerenza e credibilità delle scelte. Per fare questo è, altresì, necessario assicurare chiarezza nella comunicazione”.
L’Asolo Prosecco Superiore Docg -appena 100 ettari - si comporta come un 'passista'. Osserva Armando Serena, presidente del Consorzio “Ai primi di dicembre eravamo arrivati a 4,8 milioni di bottiglie. Stiamo crescendo e siamo in linea con l’obiettivo di raggiungere i 5 milioni che ci eravamo prefissati - ma è possibile anche un ulteriore incremento - grazie anche all’ingresso di nuovi imbottigliatori e produttori. Adesso siamo in 65”. L’Asolo Docg è un prodotto di nicchia nell’ambito del mondo del Prosecco, con un potenziale di 15 milioni di bottiglie, tutto da scoprire. Complessivamente il mondo del Prosecco, stante i trend attuali, potrebbe superare, e di molto, i 400 milioni di bottiglie.
L’Asti e il Moscato d’Asti
L’Asti Docg, classico prodotto delle festività, quest’anno non sta facendo un buon Natale a causa dell’embargo in Russia e della difficile situazione dei distributori locali. Il pericolo, stante la situazione di incertezza, è che potrebbero mancare all’appello sino a 15 milioni di bottiglie, una perdita non ammortizzabile nel breve periodo che significherebbe quasi il 30% del totale prodotto dalla denominazione. “Bisogna sperare che la situazione migliori in fretta” ci dice Giorgio Bosticco, direttore del Consorzio “anche per non perdere tutti quegli investimenti che abbiamo fatto in passato e che hanno permesso all’Asti di arrivare sullo scaffale dei supermercati russi a 15 euro”.
Nel resto del mondo i consumi vanno bene, in modo particolare quelli del Moscato d’Asti Docg che, da 8 milioni di bottiglie del 2008, adesso ha raggiunto una quota di quasi 22 milioni di bottiglie. Negli Usa grazie ai giovani del New Millenium, alla Moscatomania e ai rapper che lo cantano, il Moscato d’Asti nonostante la concorrenza agguerrita delle cantine Usa, ha conquistato il 6% a volume e il 13% a valore del mercato. Sul mercato italiano l’Asti soffre per un eccessivo legame con la stagionalità, tanto che le vendite sono concentrate nelle tre settimane sino all’Epifania, comprimendo lo spazio di manovra durante l’anno. Gli addetti ai lavori chiedono a gran voce un rinnovamento radicale dell’offerta dell’Asti. È un grande prodotto per cui vale la pena di battersi e potrebbe essere un buon proposito per il 2016.
a cura di Andrea Gabbrielli
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 17 dicembre
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