Al netto dell'ambiguità che la definizione gelato artigianale porta con sé, il gelato di qualità, quello prodotto con ingredienti freschi, selezionati, senza additivi o conservati, lavorato con tecniche artigianali, può essere replicabile? In che modi e in quali misure? A osservare quanto sta accadendo nel mondo dei grandi gelatieri italiani parrebbe proprio di sì. Mettiamo a confronto le esperienze di catene piccole e meno piccole per capire come trasformare una gelateria artigiana in un modello replicabile, senza che il prodotto ne risenta.
Il gelato in Italia
È un momento felice per il gelato artigianale italiano. Ci sono i dati, innanzitutto: ben 39mila gelaterie si dichiarano artigianali e danno impiego a 90mila addetti. È una cifra importante, al netto dell'ambiguità del termine artigianale applicato al gelato porta con sé perché, lo dichiara lo stesso presidente di Confartigianato Gelatieri Augusto Cestra, in Italia non esiste una legge chiara in materia. Rimane il fatto che stiamo vivendo un momento magico: migliora la qualità complessiva, e abbiamo molte, moltissime gelaterie di valore, che proliferano e si riproducono. Si moltiplicano le sedi, spesso varcano i confini cittadini, a volte persino quelli nazionali. Stiamo parlando di prodotti di qualità, realizzati con materie prime fresche e selezionate, senza additivi, coloranti, conservanti, senza aggiunta di chimica o scorciatoie produttive, senza processi industriali. Di quella che con un termine ormai abusato, si suole indicare come un'eccellenza italiana. La vera novità è che lo è anche dal punto di vista imprenditoriale. Bisogna allora affrontare alcuni nodi cruciali per capire come si possa passare, senza incidere sulla qualità, da una dimensione poco più che casalinga, a una più ampia, che non di rado sfida il termine artigianale così come lo definisce la legge.
Gelaterie artigianali
Il recente caso di Grom – per il quale è stato vietato l'uso della dicitura artigianale, in quanto la produzione avviene in un unico stabilimento centralizzato. “Industrialità” poi in qualche modo fatalmente certificata dall'acquisto della società da parte di Unilever - denuncia quanto le regole in materia siano labili e poco chiare: la presenza di un laboratorio è un elemento necessario per determinare l'artigianalità del gelato, ma non ci dice nulla sulla sua qualità. Se a fronte di una produzione in loco poi si usano semilavorati di qualità scadente, aromatizzanti al gusto frutta e basi piene di additivi chimici? Possibile che sia il dove e non il come il fattore discriminante? E anche lo fosse, bisogna chiarire se per lavorazione in sede si intende l'intero processo o anche solo la fase finale.
Gelaterie e replicabilità: i modelli di sviluppo
Cosa succede se una buona gelateria apre una seconda sede? E poi una terza e una quarta? Come assicurare un prodotto di qualità costante in tutti i punti vendita? Per qualcuno, sono in molti in realtà, la soluzione migliore è seguire personalmente la lavorazione di tutto il prodotto e creare quindi un laboratorio centralizzato. Cosa che – di fatto – forza il perimetro dell'artigianalità secondo quanto individuato dalla legge. Anche in questo caso, inoltre, si pongono altri quesiti. Per esempio fino a quale punto del processo di produzione arrivare, e quando e come far partire il prodotto verso i vari punti vendita. Inviare il prodotto finito o semilavorato, ancora liquido come fa Alberto Marchetti, oppure pastorizzato e abbattuto, da mantecare nei punti vendita come il caso di Grom, oppure preparare in un solo laboratorio le basi poi completare il resto per sviluppare i diversi gusti. Non c'è una regola, ma molte procedure. Un'altra scuola di pensiero punta alla formazione: “il segreto non sta nel replicare un format ma nel tramandare le ricette e il modus operandi in ciascun punto vendita” ci diceva poco tempo fa Simone Bonini di Carapina (due gelaterie a Firenze e una a Roma). Ma c'è anche chi, per esempio Marco Radicioni di Otaleg di Roma, non pretende che il gelato sia identico in ogni sede, soprattutto se in città diverse, ma che sappia comunicare la stessa filosofia, che abbia dunque uguale rigore ma sappia anche dare conto delle differenze dei luoghi (quindi delle materie prime e delle tradizioni) e delle persone che lo lavorano.
In ogni caso per sviluppare una rete di gelaterie “artigianali” è indispensabile mettere a sistema una procedura che mantenga invariato lo standard qualitativo e migliori l'iter produttivo, ottimizzando metodi, logistica, risorse. Alberto Manassei, della Gelateria dei Gracchi di Roma (tre sedi in procinto di aumentare ancora) non ha dubbi: “un laboratorio centralizzato e un controllo rigoroso su ogni aspetto, dalla materia prima (attualmente controllo ogni singola fragola che arriva da noi) alla lavorazione, dalla temperatura e l'umidità dei vari punti vendita, a ogni fase del lavoro”. Moltiplicare le sedi si può, ma serve un impegno importante per mantenere un livello molto alto in ogni momento della lavorazione, conservazione, trasporto e vendita. “Tenere tutto sotto controllo richiede un grande sforzo, anche economico. Non è semplice come sembra”.
Il vero gelato artigianale è un modello replicabile all'infinito? Ne parliamo il 24 novembre con Alberto Marchetti, Simone Bonini di Carapina, Alberto Manassei.
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a cura di Antonella De Santis