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Mostra del cinema di Venezia 2018: la rivincita del food

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Documentari, cortometraggi, opere interattive: alla Mostra del cinema di Venezia, anche il cibo ha il suo ruolo, in 4 opere molto diverse per tema, genere e mezzi impiegati.

 

La 75° edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia porta sulla Laguna anche il mondo dell'enogastronomia, stavolta rinunciando ai ristoranti come ambientazione privilegiata per toccare ambiti tangenziali a quello della cucina in senso stretto, segno evidente che i confini del cosiddetto mondo del food sono sempre più inglobati in quelli della vita quotidiana di molti di noi.

Non si spiegherebbe, altrimenti, come il protagonista del corto Sex, strakh i gamburgery (Sesso, paura e hamburger), di Eldar Shibanov (il 30 agosto alle 16.30 nella categoria Orizzonti) sia un food photographer trentenne, uno che nella vita ritrae i cibi. Impensabile solo fino a qualche anno fa, quando – se non impegnati in reportage fotografici tra cronaca e viaggi esotici - i fotografi immortalavano al massimo abiti e fotomodelle per raccontare l'aspetto più cool di una società in cambiamento, e di una fotografia strettamente legata alle dinamiche più attuali della quotidianità. Era la moda con il suo mondo patinato, dal 1966 di Blow Up di Michelangelo Antonioni in poi, a costituire un panorama di riferimento, è la ristorazione nel 2018. Tempi che cambiano e che raccontano, sottobanco, anche della dialettica sempre più pressante tra pietanze gourmet e junk food. Piatti d'autore e cibo commerciale. Con l'eterna rincorsa tra arte (vera o presunta) e logiche di mercato cui il protagonista Iskander deve sottostare per superare una crisi sentimentale e lavorativa. Sullo sfondo fast food, hamburger e un attacco terroristico (realmente avvenuto) che segna un prima e un dopo nella vita del giovane.

 

Virtual reality da mangiare

Di tutt'altro genere le due opere presenti nella categoria Venice VR, una selezione di lavori di realtà virtuale presentata all'isola del Lazzaretto Vecchio. È la seconda edizione di questa competizione nella competizione – unica di questo genere in un contesto simile – con un calendario che accoglie opere dalle diverse sezioni del programma che vanno dalle istallazioni interattive, alle opere 3D ad altre forme di visione lineari o più o meno partecipate. Molti i lavori presentati, due quelli che scelgono il cibo come filo conduttore (visibili dal 4 all'8 settembre), in entrambi è il suo potere evocativo a dettare il ritmo.

Umami, firmato da Landia Egal, Thomas Pons, è una installazione interattiva di 15 minuti, che unisce animazione e grafica e racconta la storia di un uomo che torna indietro nel suo passato attraverso i ricordi scaturiti dall'assaggio di alcuni piatti. Un po' come per la madaleine di Proust o la ratatouille dell'omonimo film di animazione, la memoria legata ai sapori e agli odori del cibo è quella che, prepotentemente, riesce a far rivivere situazioni, emozioni, affetti e stati d'animo talvolta dimenticati. Situazioni piacevoli e meno piacevoli, che si avvicendano trasformando anche i contorni del ristorante che fa da sfondo all'esperienza. A guidare il percorso, una serie di pietanze e bevande giapponesi, che conducono per mano il protagonista (e gli spettatori-partecipanti) attraverso i 5 gusti fondamentali, dolce, salato, acido, amaro e umami. E proprio l'umami, gusto ancora poco familiare da noi – anche se molto presente nella nostra cucina – è quello che accompagnerà la fine del pasto e dell'esperienza.

Brevissimo, appena 7 minuti, Fresh Out, coproduzione cinese-statunitense diretta da Sam Wey e Fangchao Tao. Un lavoro che punta a mescolare generi e atmosfere in una storia horror che ricorda quelle che appartengono alla letteratura per ragazzi, ma proposta con toni comici e un linguaggio estetico da cartoni animati. Prende lo spunto da quei racconti di mostri che si narrano ai bambini per spaventarli, tassello ricorrente in quasi tutte le società. Persino quelle vegetali. Protagonisti sono infatti delle carote, adulti e bambini, a sancire una sostanziale uguaglianza tra individui di natura diversa, in cui la tecnologia consente oggi di immedesimarsi, ed evidenziare – mediante l'uso della realtà virtuale - l'impatto delle dimensioni di ogni soggetto in relazione al mondo. Un invito a guardare con occhi diversi, foss'anche quelli di una pianta.

 

I Villani. Le parole della terra

Cambiamo di nuovo genere. E arriviamo a I Villani, presentato per le Giornate degli Autori come Evento notti veneziane il 7 settembre alle 21. È il docufilm di Daniele De Michele (con la collaborazione, per la sceneggiatura, di Andrea Segre), noto anche come Don Pasta. Performer, dj, artista multidisciplinare, scrittore e narratore di storie di cibo e di ricordi. Pasionario della cucina di tradizione, soprattutto quella delle mamme e ancor più delle nonne, De Michele è da sempre impegnato in lotte legate alla giustizia sociale e alimentare, a raccogliere e diffondere episodi di resistenza gastronomica, come quelli raccontati nella sua pellicola: le vicende di alcuni personaggi – sono loro i villani – seguiti nelle loro giornate di lavoro, che cominciano all'alba e finiscono al tramonto. Sono agricoltori, pescatori, allevatori, persone diverse per appartenenza geografica e anagrafica, legati da una cultura tutta domestica e locale del cibo che, dice De Michele “nel loro fare quotidiano rappresentano la sintesi delle infinite resistenze e reticenze a adottare un modello gastronomico e culturale uguale in tutto il mondo”. Tutto parte dai racconti delle persone incontrate nei suoi molti viaggi alla ricerca di quel mangiare semplice e saporito di una volta, dove il cibo ha i suoi tempi e riveste ancora un profondissimo ruolo di sociale, di scambio, unione e condivisione. Sono storie fatte di pasta stesa con il matterello, di parannanze, di dialetti stretti, generosi giri d'olio e passate fatte in casa, visi rugosi e cucine a bassissimo tasso di tecnologia, ma ricche di viva e di emozioni vissute. Storie di cultura contadina, politica, etica. Di vita quotidiana e relazioni familiari.

C'è Totò Fundarò, l'agricoltore siciliano - “uno che fa agricoltura con lo zappone” - e la sua conserva illegale, come illegale, spiega, è tutto quel cibo autarchico, prodotto in casa magari da piante coltivate in proprio, cibo che “non esiste se non come capriccio” spiega ancora, perché “se vuoi mangiare sano devi mangiare illegalmente”, prodotti privi di certificazione come i formaggi del pastore o la marmellata fatta con arance raccolte dall'albero coltivato senza alcun additivo. Cose vietate, da passarsi sotto banco, che è impossibile trovare nei negozi. Ci sono poi i fratelli tarantini Santino e Michele Galasso che ogni notte escono per andare a pesca. Ci sono l'allevatore irpino e sua figlia, Modesto e Brenda Silvestri, le capre e i loro formaggi; e l'allevatrice trentina Luigina Speri che coltiva la terra e raccoglie erbe selvatiche. 4 storie ruvide e delicate, a comporre un mosaico trasversale e paradigmatico del nostro paese, intercettando regioni ed età diverse, cercando, in quel passaggio generazionale, l'ancora di salvezza del nostro patrimonio gastronomico. E a fare da raccordo, le parole sagge, terragne e poetiche di Lino Maga, il vignaiolo amato da Pertini e da Luigi Veronelli.

 

Mostra internazionale d'arte cinematografica – Venezia – fino all'8 settembre - http://www.labiennale.org/it/cinema/2018

 

 

a cura di Antonella De Santis


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