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A Modena, Massimo Bottura padrone di casa per il Basque Culinary World Prize

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Oltre la cucina, il mestiere dello chef oggi non può prescindere da un ruolo attivo nelle trasformazioni sociali. Su questo tema il confronto che ha riunito a Modena il gotha dell'alta cucina internazionale, con il conferimento del Basque Culinary World Prize a Jock Zonfrillo.

 

Può il cibo cambiare il mondo? Più che una domanda un'affermazione da esplorare in ogni sua implicazione. È questo l'oggetto della sessione di lavori che ha trasformato per una giornata Modena nel punto di ritrovo dell'alta cucina internazionale. Quella che mira a capire in che modo il cibo può incidere sulla società. Del resto l'occasione è l'ottavo meeting del board del Basque Culinary Center, durante il quale si nomina il vincitore del Basque Culinary World Prize, che premia progetti sociali legati al cibo. Al centro di tutto, dunque, il ruolo della gastronomia, che con la grande capacità di agire e influire, può affrontare le sfide del presente e del futuro per migliorare la società.

 

Basque Culinary Center

Cultura e senso di responsabilità

Il punto di partenza è un modo nuovo di pensare il cibo e – soprattutto – il ruolo di chi con il cibo lavora: “La cultura è l'ingrediente più importante per il cuoco del futuro” asserisce Massimo Bottura, padrone di casa che apre la giornata di lavori. Nella sua prospettiva la figura dello chef si raccoglie intorno alla triade inscindibile “cultura, conoscenza, coscienza” che oggi si arricchisce di un altro cardine: “senso di responsabilità”. Un obiettivo che si può raggiungere mettendo insieme consapevolezza, visione, intuizione. E qui delinea la figura del cuoco di oggi, che sa creare connessioni tra natura, tecnologia, arte. Così preconizza una terza rivoluzione dopo quella della nouvelle cuisine e quella tecnoemozionale: la rivoluzione umanista. Nella quale il cuoco ha il coraggio di frantumare il passato per costruire il futuro a partire proprio da quei brandelli, non rinnegati ma elaborati. In questo passaggio l'esperienza dei Refettori è stata fondamentale per la sua riflessione sul cibo, che non può più essere solo alimento per il corpo: “dobbiamo ristorare corpo e anima” dice Bottura “quello con i Refettori è un progetto culturale, non solo gastronomico, un progetto in cui recuperiamo spazi e persone, gli diamo accoglienza”.

Basque Culinary Center. I punti salienti della designer Ilse Crawford

Arte, bellezza e riflessione

Creare una vera cultura dell'accoglienza è uno dei nuovi mantra, per fare questo: “abbiamo bisogno di luoghi che riuniscano le persone”, luoghi belli, perché la bellezza non sia solo patrimonio di pochi, luoghi in cui anche l'arte trova un suo spazio, nella duplice funzione estetica e di stimolo per sviluppare un pensiero nuovo, un cambiamento di prospettiva, per vedere il mondo da un altro punto di vista. Lo dimostra JR nel suo intervento, le cui installazioni fotografiche, a partire dall'inatteso e dallo spaesamento, suscitano un corto circuito estetico, emotivo, intellettuale. A lui il compito di un intervento decorativo al Refettorio di Parigi. “Quando mi hanno chiamato per il refettorio di Londra” dice la designer Ilse Crawford “mi hanno chiesto che fosse bellissimo. Una qualità sempre poco considerata nei progetti sociali. Per una volta concetti come buono e utile non erano più sufficienti, serviva anche il bello”. Così la Crawford racconta la grande partecipazione che ha permesso di raccogliere 100mila sterline di materiali per creare uno spazio a funzionalità diffusa, affittato per eventi e usato per corsi e attività che contribuiscono così a creare valore e a sostenere il progetto, ma soprattutto a costruire una comunità, rivolgendosi all'umanità delle persone. Del resto, lei, da sempre si occupa di “creare spazi pubblici e privati in grado di far sentire bene le persone” e lo fa a partire da una sorta di manifesto programmatico di punti chiave (nella foto). Il suo sguardo è quello, tutto umanistico, di ciò che serve agli uomini per vivere nei luoghi, seguendo non tanto il lusso, quanto l'esigenza di cura e attenzioni, “di avere qualcuno che si occupa di noi”.

L'educazione alimentare e la cucina di casa

Un'esigenza fondamentale per l'uomo, essere oggetto di cure. Ne parla, a suo modo, anche Daniele De Michele, aka Don Pasta, quando dice “tutti abbiamo bisogno della parmigiana di mia nonna” che incarna - in quella ricetta e in quei gesti - la storia, le tradizioni, la cura che si annida nella trasmissione del cibo. De Michele, pasionario della cucina contadina, si spinge in un viaggio verso le radici. “Un lavoro antropologico del cibo” lo definisce, quello che individua proprio nella cucina un sistema di relazioni umane e legami con il territorio, di risposta alle necessità - “in queste ricette si lavora per la comunità, per offrire tutto quel che si ha, e meno si ha più si offre” - un lavoro che parte dalla sua storia e dalle sue origini, si allarga a quelle di tutta Italia e oltre, quando dice “milioni di nonne hanno lo stesso atteggiamento della mia riguardo al cibo”. E torna al ruolo tutto domestico della cucina come veicolo di trasmissione del sapere attraverso un metodo didattico empirico, che si basa sull'osservazione e la vicinanza, in un passaggio generazionale che è parte di un sistema sociale, agricolo, economico, politico, di valore. "Serve un approccio critico", ammonisce, "uno sforzo di tutti per mantenere in vita la memoria gastronomica, che è parte integrante della nostra cultura". Almeno quanto lo è l'approccio al cibo. Perché, spiega Bee Wilson assaggiare una cosa per la prima volta è un atto di coraggio”, quello necessario per superare l'istintiva diffidenza verso gli alimenti che non si conoscono, retaggio ancestrale. Occorre trovare il modo per suscitare nei bambini curiosità verso il cibo, per spingerli ad assaggiare, anche a sputare, nel caso, ma comunque ad aprirsi al cibo, “perché il cibo può cambiare le persone e la società” e influenza in modo determinante la salute nostra e dell'ambiente. Questo cambiamento è quello verso cui bisogna orientare i giovani, sempre più affetti da malattie collegate alla cattiva alimentazione. La Wilson se ne occupa con un progetto di charity che mira a formare il gusto dei più piccoli, contribuendo a formare consapevolezza e conoscenza.

Basque Culinary Center.  Massimo Bottura a Modena

Oltre la cucina, l'unione fa la forza

Precursore andino delle lotte sociali per la crescita delle comunità indigene, Gaston Acurio fa una vera e propria chiamata alle armi ai colleghi in sala. "Non dobbiamo restare concentrati sulle nostre creazioni, sul piatto in sé", dice il fondatore di Astrid y Gaston, "bisogna andare oltre, creare un vero e proprio movimento fatto di cuochi, ma anche di giornalisti ed esperti del settore". E ancora: "Vengo da un paese che alla gastronomia deve molto. I peruviani si sono liberati dal giogo del colonialismo ritrovando sapori, tradizioni, ricostruendo la propria identità". Cogliere l'opportunità offerta dal momento storico favorevole in cui si trova la cucina è essenziale: "Oggi i cuochi hanno potere, il potere di costruire qualcosa per creare integrazione, comunità, per oltrepassare i campanilismi e unire mondi e mercati". Secondo Acurio quando i cuochi si uniscono attraverso lo strumento meraviglioso rappresentato dal cucinare l'impossibile diventa possibile, le persone si interessano a temi importanti, seguono il percorso tracciato dagli chef. Che non devono solo occuparsi di ristorazione: è arrivato il momento di riportare il cibo vero nella quotidianità, di far riflettere sull'impatto che abbiamo quando mangiamo, cuciniamo e facciamo acquisti. I cuochi sono l'anello forte della catena del mercato del cibo: "Dobbiamo sforzarci di adattarci alle esigenze di contadini, pescatori, artigiani".

Stesse conclusioni sull'enorme responsabilità del cuoco nel discorso di Andoni Luis Aduriz. Basco, chef del Mugaritz (che ha appena festeggiato i 20 anni di attività), Aduriz è conosciuto e stimato per l'essere sempre un passo avanti su ricerca e sperimentazione in cucina. Avvolge il pubblico del Collegio San Carlo con un discorso storico e antropologico sull'evoluzione del corpo (e della bocca) dell'uomo nei secoli, in relazione all'evoluzione delle abitudini alimentari. "Sei come mangi" recita la sua presentazione, che si concentra sul cibo come espressione contingente delle società. Dal culmine dell'epoca romana, in cui la cucina era ricca di prodotti provenienti da tutte le parti dell'Impero, all'autarchia dei monasteri; dalla luce rinascimentale alla Francia del Re Sole, con la sua lussuosa e ostentata cucina di palazzo; dalla rivoluzione francese, con l'evoluzione della figura del cuoco, all'interesse tutto novecentesco per le pratiche culinarie del futuro. Nel discorrere argomentato da slide e dati del cuoco di Errenteria, emergono degli elementi di rottura che hanno portato profondi cambiamenti nel tessuto sociale: l'invenzione della stampa, nel '500, e oggi la diffusione dei social network, che influenzano il nostro modo di comunicare, di relazionarci e anche di mangiare. Sui social basati sull'uso delle immagini, come Instagram e Youtube, l'enogastronomia spadroneggia sia nei numeri che nelle tendenze, come se fosse diventata affare più virtuale che reale. Milioni di persone fotografano il cibo (il formato delle immagini di Instagram influenza ormai nel profondo anche il design dei piatti), il mondo social ci fornisce una sorta di specchio rispetto ai cibi più consumati e cucinati (stravince la pizza).

In un futuro in cui le previsioni parlano di un'urbanizzazione crescente e di una crescente produzione di cibo, consapevoli del fatto che non ci sono abbastanza risorse naturali (in primis terra e acqua) e che 1/3 della produzione mondiale di cibo va a finire tra i rifiuti, i cuochi che possono fare? La risposta di Andoni ancora una volta parla di rete, di unire le forze, perché no, anche sui social. Approfittando della visibilità di ogni chef ed elaborando strategie collettive, si può divulgare, a milioni di persone, la necessità di un cambiamento culturale, per incentivare nuovi modelli produttivi, per diffondere buone pratiche e conoscenza.

 

L'importanza delle storie

Ruth Reichl è un nume tutelare della critica gastronomica americana. Direttore del mitico (e defunto) Gourmet, esordisce sul palco di Modena con una domanda che pone a se stessa (e ai suoi colleghi), dopo 50 anni di carriera giornalistica. "Abbiamo adempito al nostro dovere? No, non tutti. Spesso abbiamo elogiato qualcosa che in realtà non era da elogiare, siamo stai manipolati negli studi diffusi sul cibo; le brutte notizie non dovevano compromettere gli affari e non interessavano il grande pubblico, quindi le abbiamo ignorate". Qui l'inevitabile, commosso, ricordo di Jonathan Gold, giornalista statunitense scomparso nei giorni scorsi, premio Pulitzer, precursore e innovatore della critica gastronomica. "La missione del Basque Culinary World Prize è di usare la gastronomia come strumento di cambiamento", afferma la Reichl. "In questo Gold è stato un campione, poche persone hanno capito come lui, prima del tempo, il potere enorme del cibo e delle parole, che possono essere utilizzate come armi. Jonathan ci ha insegnato a essere curiosi, ad assaggiare il cibo degli altri senza paura, perché è il miglior veicolo per conoscere gli altri. In questo modo ha cambiato se stesso, la sua città, Los Angeles, e l'intero settore". È sulle storie, al di là dei meri fatti, che la giornalista si sofferma: "Qui facciamo la differenza. Jonathan ci ha mostrato che sono le piccole storie a lasciare il segno: quelli che vogliono cambiare il mondo dovrebbero partire da questo assunto".

Dalla stampa allo schermo, lo storytelling sembra essere centrale anche nell'ossatura del lavoro di David Gelb, regista di Jiro e l'arte del sushi e di Chef's Table, documentari gastronomici che hanno avuto successo planetario su Netflix. Un viaggio in Giappone fatto durante l'infanzia fornisce l'ispirazione per Jiro, racconto del lavoro di Jiro Ono, maestro ineguagliato del sushi giapponese: "Volevo girare un documentario sull'arte del sushi, poi tutto è cambiato. Jiro è diventato un film sulla ricerca della perfezione, non volevamo mostrare come si cucina un piatto, volevamo raccontare le persone che stanno dietro a quella storia". Così Chef's Table, serie di approfondimento, iniziata dal racconto di grandissimi chef (come Massimo Bottura) poi evolutasi, con un approccio rinnovato, a cucine ed esperienze gastronomiche di tutti i livelli. "Abbiamo la responsabilità”ritorna ancora una volta il termine, ndr “di mostrare ai giovani che le grandi storie accadono quotidianamente in luoghi di tutte le estrazioni sociali. Tutti possono cucinare, tutti possono cambiare le cose".

 

Il cibo per l'anima di Lara Gilmore

Perfetta padrona di casa, modenese d'adozione da ormai 25 anni, Lara Gilmore, moglie e braccio destro di Massimo Bottura e fondatrice di Food for Soul, chiude l'intensa mattinata di lavori, ripercorrendo i punti salienti degli interventi, ringraziando uno a uno gli attori di questo incredibile evento che ha portato il mondo a Modena. Lara ripercorre dal principio l'avventura dei Refettori, dalla domenica mattina in cui Bottura le comunicò dell'idea di una mensa sociale.

"Ero terrorizzata", confessa. La sfida poteva essere un grosso salto nel vuoto, la fine di tutto ciò che la coppia aveva costruito insieme negli anni all'Osteria Francescana. "Invece oggi siamo più consapevoli di quello che siamo come cuochi, come ristoratori, come persone. Abbiamo trasferito tutto ciò che abbiamo imparato in un'esperienza culinaria completamente diversa dai percorsi noti". Bellezza, dignità, benessere le parole chiave già presentatesi più volte nel corso della mattinata: prendersi cura delle persone, ristorarle nel corpo e nell'anima il senso ultimo della fondazione dei Refettori.

Dalla partenza tentennante e piena di cambi di programma del Refettorio Ambrosiano, nato per lanciare un messaggio contro lo spreco alimentare all'Expo di Milano, pian piano tutto è divenuto più chiaro e sono nate le altre strutture, da Rio a Londra, fino a Parigi. "Ai refettori vogliamo trasferire i valori della Francescana, la qualità delle idee, la forza della squadra e della bellezza". La bellezza, l'abbiamo capito, in questo progetto non può essere considerata un accessorio, un valore secondario: è fondamentale per produrre altra bellezza. Da qui il coinvolgimento di artisti, designer e architetti. E dei cuochi, attori fondamentali: "Partecipano, sono appassionati, coinvolti, vogliono tornare". Ma la grande sorpresa sono i volontari che si offrono per qualunque ruolo, dal servizio al lavaggio: creano opportunità, diffondono il messaggio del Refettorio, fanno crescere la voglia di esserci (a Parigi con una lista d'attesa di tre mesi). La partecipazione, nelle parole della Gilmore, si allarga come nei cerchi concentrici, che si dipanano dai sassi buttati nell'acqua: si sovrappongono, si allargano, si contaminano, cambiano per ricominciare, in un'energia senza sosta.

 

Cuochi in trincea

Vincitrice uscente del Basque Culinary World Prize, Leonor Espinosacon la sua fondazione Funleo è in prima linea per lo sviluppo delle comunità colombiane attanagliate da povertà e narcotraffico. Un progetto pilota, il suo, per dare lavoro e creare cultura, in un paese che importa il 40% delle risorse che consuma. Perché complicarsi la vita, le chiedono? "Sei parte di un paese e ti devi impegnare per il tuo paese. Credo sia un obbligo anche per gli artisti. La Colombia è un paese magico, multiculturale. Non puoi voltare la faccia e non partecipare". Anche quando si parla di emergenza idrica e di sicurezza alimentare: “Riuscire a produrre in alcuni regioni con progetti di fertilità, avere accesso a ingredienti e alimenti è una sfida per gli chef, che devono trovare il modo di cucinare usando meno acqua". Sfida raccolta, ad esempio, da Enrique Olvera, del Pujol di Città del Messico, che nelle lotte ambientali e nell'impegno alla tutela della biodiversità vede la vera chiave per recuperare il vero sapore dei prodotti.

Problematiche ambientali e difficoltà di accesso alle risorse le ritroviamo anche nel gigante sudamericano, il Brasile in cui lavora Manu Buffara, patronne del Manu di Curitiba. "I cuochi devono pensare alla comunità, non solo al proprio ristorante". Così, in questa metropoli del sud, povera e agricola, eccola in azione in un progetto che ha visto la creazione di 89 orti urbani in aree abbandonate, con una relativa rete di commercio per sostenere i piccoli contadini. "Il governo ci ha aiutato per terra, sementi e prodotti, abbiamo dato lavoro, sostenuto lo sviluppo rurale, e cominciato anche un percorso di educazione alimentare nelle scuole pubbliche". Grande vittoria in un paese in cui manca la sicurezza alimentare, si spreca una gran quantità di cibo e si classifica come secondo al mondo per numero di casi di obesità infantile.

 

Basque Culinary Center.  Il vincitore Zonfrillo

 

Il Basque Culinary World Prize

Nell'assegnare il premio di 100mila euro, il Basque Culinary Center vuole dare visibilità a chi fa un lavoro utile per la società. Una decina di anni fa, quando è cominciata la riflessione su questo riconoscimento, la sua prospettiva è stata discussa e appoggiata dal governo dei Paesi Baschi, che oggi lo organizza e lo promuove nel quadro della Strategia Euskadi-Basque Country. Lo spiega Joxe Mari Aizega, direttore del Basque Culinary Center, che indica come l'obiettivo sia sviluppare il potenziale culturale della gastronomia nel mondo. Tre mesi di lavoro per selezionare i candidati tra gli chef segnalati dai professionisti del mondo della gastronomia, chef che dimostrino come “la gastronomia possa essere una forza di trasformazione in ambiti quali l’innovazione, l’istruzione, la salute, la ricerca, la sostenibilità, l’imprenditorialità sociale, la filantropia e la salvaguardia delle culture locali”. 140 nomi da 42 paesi nel mondo. “Ogni anno scopriamo che c'è tanta gente che sta facendo molto per la sua comunità”. E non necessariamente sono chef famosi. “Quest'anno per la prima volta ci sono finalisti dai cinque continentiaggiunge con orgoglio.
“Siamo un fenomeno molto forte”
gli fa eco Dominique Crenn (Atelier Crenn – San Francisco) “le nomination di quest'anno hanno una portata incredibile” e lancia anche lei un monito sul ruolo degli chef, che devono essere sempre più degli attivisti del cibo, capaci di un impegno a favore dell'ambiente, della società, delle persone. 

Jock Zonfrillo

 

Joan Roca, presidente della giuria, sottolinea che questo non è un premio allo chef migliore, ma a chi può promuovere iniziative che possono cambiare le cose, seguendo la direzione suggerita dalle Nazioni Unite come obiettivi del nuovo millennio. È lui a introdurre il vincitore del 2018: “Una persona che ha fatto un passo indietro per portare avanti e far conoscere nel mondo la gastronomia e le tradizioni della terra in cui ha deciso di lavorare”. Parla di Jock Zonfrillo, scozzese, di origini italiane, dal 2000 residente in Australia, premiato per il suo impegno a difesa della cultura delle popolazioni indigene australiane e la salvaguardia della tradizione gastronomica aborigena. In quasi 20 anni Zonfrilloha visitato centinaia di comunità in ogni parte dell'Australia per conoscere le materie prime locali, censendone con la sua Fondazione Orana più di 1.200 , indagandone il valore culturale e gastronomico, inserendole nel menu del ristorante Orana (Adelaide), ma non solo: attraverso programmi tv come Nomad Chef e un Database degli Alimenti Autoctoni (che sarà disponibile online gratuitamente) vuole diffondere la conoscenza di questi prodotti, creare nuove opportunità commerciali per le comunità indigene produttrici. Quelle comunità da cui lo stesso Zonfrillo dice di aver imparato che “occorrerestituire più di ciò che si è ricevuto" e che, per 60mila anni, ha vissuto su una terra da cui ora sembra essere esclusa. Lo chef gli vuole restituire il suo ruolo, anche nella cultura gastronomica: “Gli indigeni australiani sono i veri cuochi e inventori di cibo di queste terre”. Ai cuochi il dovere di restituire qualcosa: “Dobbiamo essere impegnati oltre la semplice gastronomia nella società e nel nostro tempo”. A tutti il compito di condividere questa energia e farla germinare.

 

a cura di Antonella De Santis e Pina Sozio

 
 

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