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La pasta italiana in Abruzzo. 20 formati tipici e la ricetta delle scrippelle 'mbusse

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Poche paste ripiene, tanti strumenti d'epoca per realizzare ancora i formati di una volta, condimenti saporiti e caratterizzati da una generosa spolverata di pecorino. Ecco com'è la tradizione della pasta in Abruzzo. 

 

Una terra dall'identità culinaria forte e ben definita: pochissime contaminazioni per la tavola abruzzese, un luogo che fino quasi agli anni '60 è vissuto in pieno isolamento e che, proprio per questo motivo, è riuscito a conservare un carattere autentico, a tratti aspro, ma sincero. La maggior parte dei borghi d'Abruzzo praticano una cucina autoctona, da sempre profondamente legata alla pastorizia e ai prodotti del territorio. Fa eccezione la tradizione pugliese, che tramite la transumanza è riuscita in parte ad approdare nella regione. Parliamo di una cucina robusta in cui piatti di terra, formaggi e carni succulente si alternano al pesce fresco di un litorale ancora poco battuto, ma che riserva piacevoli sorprese sul fronte gastronomico. Come tutte le regioni più radicate nel proprio passato, l'Abruzzo ha saputo conservare le tradizioni più antiche della pasta fatta in casa, ricette perlopiù povere e fatte di pochi ingredienti. Ecco quali sono i 21 formati più popolari.

Cazzellitti

Tipici di Scanno e dintorni, ma molto diffusi anche nella zona di Vasto, sulla Costa dei Trabocchi, i cazzellitti sono dei piccolissimi fusilli di semola di grano duro e acqua, talvolta preparati anche con l'aggiunta di uova. Chiamati anche cavatille o cazzarille, vengono conditi con verdure oppure sughi di agnello o pecora. Un tempo, venivano insaporiti con le verdure coltivate dai pastori vicino agli stazzi di montagna, oppure spinaci selvatici, tanni e simili. La transumanza verso la Puglia ha portato poi all'utilizzo di verdure come le cime di rapa. A Vasto, invece, è il pesce dell'Adriatico il condimento più comune.

Cencioni di fave

Condivisi anche con le Marche, i cencioni sono delle tagliatelle corte e tozze di sfoglia non tropo sottile: il nome deriva da cencio, che significa straccio, termine del Duecento utilizzato per indicare il panno per pulire il pavimento. Alla base dell'impasto, farina di grano, uova e farina di fave, molto popolare in passato nel mondo contadino, quando non sempre era possibile acquistare la farina di grano, più costosa rispetto ad altre.

Ciufolitti

Macaron dell'Alta Lagna in Piemonte, subioti in Veneto, maccheroni bobbiesi nel piacentino, ciufolitti in Abruzzo, Molise e Alto Lazio, ma anche zufoletti, sfusellati o gnocchi col ferro. E poi code di topo del barese, fusille nel foggiano, firzuliin Basilicata: i fusilli sono uno dei formati italiani più conosciuti in tutto il mondo, oggi presenti in ogni regione, ma che devono i loro natali al territorio molisano. Fatti con farina di grano duro, acqua e un pizzico di sale, vengono poi arrotolati su un filo di ferro e messi a essiccare: questa la caratteristica principale della pasta, inizialmente preparata con un ferretto in vendita dal fabbro e poi con quello da calza, o ancora quello dell'ombrello. In Abruzzo, vengono generalmente abbinati a sughi di carne oppure una semplice salsa pomodoro e basilico.

Fregnacce

Non è la prima volta che incontriamo questo formato: presenti nell'Alto Lazio, in particolare nella Sabina reatina e sublacense, e nelle Marche, le fregnacce sono una delle paste più antiche e popolari delle regioni del Centro Italia, Abruzzo compreso. Un tempo preparati con farina di grano duro e acqua, oggi realizzati anche con le uova, questi quadrati devono il loro nome al termine dialettale laziale fregnaccia, ovvero “frottola, sciocchezza”, una cosa di poco conto, che fa riferimento proprio alla semplicità della preparazione. Diversi i condimenti utilizzati per questo formato, molto spesso piccanti, solitamente a base di carni e una buona dose di pecorino grattugiato.

 

chitarra

Maccheroni alla chitarra

Probabilmente il più famoso dei formati abruzzesi, particolarmente radicato nella zona di Scanno ma presente, con nomi diversi, anche nell'alto Molise, in Lazio, nelle Marche e in Puglia. I maccheroni (o spaghetti) alla chitarra sono una delle preparazioni più antiche della regione, che prende vita dal telaio di legno di faggio (o un altro legno neutro) sul quale sono tesi dei fili d'acciaio paralleli. Uno strumento storico, la chitarra, che a seconda della distanza tra i fili può dare vita a forme e sezioni di pasta differenti. Antenato della chitarra è lu rentrocelo, inpassatoutilizzato soprattutto nel pescarese e nell'aquilano. Per realizzare i maccheroni, la sfoglia, tirata non troppo sottilmente, va adagiata sull'attrezzo e premuta con il mattarello sui fili: in questo modo, si ottengono degli spaghetti a sezione quadrata, lunghi circa 30 centimetri. Oggi vengono conditi con tanti tipi di salse, ma l'abbinamento indiscusso resta con il ragù di pecora.

Maccheroni alla pecorara

Dei cordoncini sottili, chiusi ad anello di circa 5 centimetri di diametro, a base di acqua, farina e uova: sono i maccheroni alla pecorara, storica ricetta abruzzese che prevede uno dei condimenti più golosi, un mix di pancetta, cacio e uova, nato in principio dalla fantasia dei carbonai, che rimanevano lunghi periodi sulle montagne per preparare il carbone, e che dovevano alimentarsi con piatti sostanziosi e nutrienti. Inoltre, questi ingredienti erano facilmente conservabili e trasportabili sul mulo, insieme alla pasta fatta in casa. Nonostante le origini siano ancora molto incerte, secondo molti storici della gastronomia è proprio da questo condimento “alla carbonara” che deriva l'omonima, celebre ricetta laziale.

Maccheroni alla molenara

Ci sono, poi, i maccheroni alla molenara, di forma e lunghezza irregolare, preparati con acqua, semola e farina. Diffuso soprattutto nelle province di Teramo e Pescara, si tratta di un formato quasi scomparso, un tempo preparato dai mugnai dell'Abruzzo e anche della Basilicata, dalla preparazione lunga e complessa. Per realizzarli, occorre dividere l'impasto in tante pagnottelle, fare un buco al centro di ognuna e iniziare ad allargarla, ungendosi le mani con l'olio. Si stende la pasta fin quando le braccia lo permettono, e poi la si piega in due anelli sovrapposti. Si continua assottigliando il doppio anello, allungandolo per poi ripiegarlo su se stesso, ottenendo così una matassa a quattro anelli sempre più sottili. Infine, si incidono dei tagli su due punti opposti e si separano gli spaghetti ottenuti. Questi cordoncini sottili vengono insaporiti con gli 'ntruppicc, dadini di carne ovina e suina mescolati insieme. Una ricetta nata nel Medioevo che, secondo la leggenda, è stata introdotta in Abruzzo nel XII secolo dai soldati al seguito di Ruggero il Normanno.

Maccheroni con lu ceppe

In Abruzzo, in particolare nella zona di Civitella del Tronto, con il termine ceppe si intende il bastoncino di legno usato per confezionare la pasta. È da questa parola che derivano i maccheroni con lu ceppe, strisce di pasta all'uovo (con aggiunta di olio d'oliva) avvolte intorno al legnetto in modo da ottenere dei grossi bucatini. Detti anche ciufulitti o torcinelli a Magliano dei Marsi, vengono serviti con ragù di carne e, in mancanza dell'apposito ceppe, realizzati con il ferro da calze.

'Ndrocchie

Ricordano molto i fusilli, le 'ndrocchie, pasta tipica di Cupello, in provincia di Chieti, realizzata con il ferretto dell'ombrello. Farina, uova e sale sono alla base dell'impasto, lavorato a mano con pazienza dalle massaie abruzzesi. La salsa per eccellenza in questo caso è il ragù di castrato, ideale per equilibrare la ruvidità e callosità delle 'ndrocchie. Nel paesino, la tradizione della pasta è talmente sentita che ogni anno, in agosto, viene messa in scena una sagra dedicata.

 

orecchie di prete

Orecchie di prete

Formato pugliese per antonomasia, le orecchiette sono in realtà diffuse anche in Abruzzo, dove sono conosciute come orecchie di prete. L'impasto a base di acqua e semola viene suddiviso in piccoli pezzetti, che vengono trascinati sulla spianatoia con lo sferre (particolare coltello senza manico tipico del Barese) oppure con la punta del dito, fino a ottenere la classica forma tonda concava, perfetta per accogliere i sughi più ricchi. Le origini del formato risalgono al periodo fra il XII e il XIII e, secondo una delle teorie più accreditate, traggono ispirazione da un prodotto della Francia del Sud, dove venivano preparate con farina di grano duro e vendute secche, ideali per essere conservate a lungo dai marinai durante i lunghi viaggi.

Pappicci

Specialità del Teramano, i pappicci (o pappardelle o tajarille) sono delle spesse tagliatelle lunghe circa 20 centimetri, disponibili anche nella versione triangolare o rettangolare. Vengono impiegati nelle minestre, specialmente quelle a base di lardo, pomodori e pecorino abruzzese, spesso accompagnate da legumi. Il nome è un accrescitivo di “pappa”, che un tempo indicava il pane o la zuppa. Piatto povero, se cotti in brodo di carne i pappicci erano in passato anche il cibo destinato alle puerpere: secondo le credenze popolari, infatti, questa specialità facilitava la calata del latte.

Patellette

Farina di grano duro, farina di mais, acqua e sale: sono gli ingredienti alla base delle patellette, ancora una volta tipiche della provincia di Teramo, dei piccoli triangolini conditi con un soffritto di cipolla e pancetta. La tradizione impone che vengano mangiate con il cucchiaio, e per questo la salsa deve essere piuttosto liquida; un'usanza molto comune alle paste più povere che, con un condimento brodoso, riuscivano a riempire di più lo stomaco.

 

ravioli dolci di ricotta

Ravioli dolci di ricotta

Non c'è una grande tradizione di paste ripiene in Abruzzo, ma esiste una tipologia di raviolo molto particolare, quello alla ricotta dolce. La sfoglia è la classica all'uovo, tirata sottile, farcita e poi richiusa, ma il ripieno è piuttosto insolito: ricotta di pecora, uova, noce moscata, maggiorana, cannella, scorza di limone grattugiato e zucchero. Il condimento, però, è tutt'altro che zuccherino: sugo di pomodoro semplice oppure burro e parmigiano sono le salse che accompagnano questo piatto originale, un mix di sapori unico nel suo genere. Vengono preparati, solitamente, durante il periodo di Carnevale.

Sagne

Fra i formati che più di tutti accomunano le regioni del Centro Italia, le sagne, pasta di origine abruzzese da tempo condivisa anche con Umbria, alto Lazio e Marche, con le dovute variazioni locali. Si tratta di strisce di pasta di farina, acqua e uova (alle volte anche farina di farro) spesse e varie dimensioni, in passato considerate una sorta di medicamento, come racconta Antonio de Magistris da Introdacqua nella “Biografia del Beato Bernardino da Fontavignone” del 1794: “Ritrovandosi nunzio Lucantonio di Fonte Avignone infermo di molte complicate infermità... sicché li medici ne facevano pessima stima di sua guarigione... mangiando le sagne fatte da sua moglie (medicamento lasciato a tutto il paese dal Servo di Dio) subito cominciò a migliorare e in pochi giorni restò perfettamente libero e sano che tutti ne restarono meravigliati e ne resero grazie a Dio e al suo servo Fra Bernardino”. Fra i modi più tradizionali per gustarle, l'abbinamento con i fagioli, in una sorta di zuppa gustosa e nutriente.

 

scrippelle mbusse

Scrippelle

C'è chi dice che sia stato Enrico dei Castorini, alla corte di un cuoco francese addetto alla mensa degli ufficiali di stanza a Teramo, a inventare le scrippelle 'mbusse, aggiungendo per errore del brodo di gallina alle crêpes preparate dallo chef. In qualsiasi caso, si tratta di una delle ricette più popolari della zona di Teramo, la più conosciuta al di fuori dei confini regionali, insieme agli spaghetti alla chitarra. 'Mbusse perché bagnate: arrotolate su se stesse e servite in brodo cosparse di pecorino e parmigiano; ma possono anche essere utilizzate per preparare un timballo, disposte a strati a mo' di lasagna e farcite con carciofi e scamorza oppure sughi della tradizione, o ancora fatte in forno, farcite, arrotolate e cotte in teglia.

Sorcetti

Una pasta dimenticata ma che per tempo ha rappresentato uno dei formati più popolari per i sughi di castrato: i sorcetti, piccoli rotolini di impasto tagliati in obliquo in pezzi sottili, si preparano con farina, patate, spinaci e uova, talvolta anche con farina di mais. Come spesso accade, il nome con riferimento ad animali poco apprezzati e considerati immondi è legato all'estrema semplicità e povertà di questa ricetta.

Stracci

Presenti anche nel Lazio, in Toscana e in Molise, gli stracci – o sagne stracce – sono stati per tempo un formato riservato alle occasioni speciali, conditi con cipolla, pomodoro, peperoncino e carne di maiale. Al confine tra alta Ciociaria e Abruzzo, all'impasto di farina, uova e acqua vengono spesso aggiunti borragine o spinaci selvatici, oppure foglie di cardo; la versione abruzzese è molto sottile e simile alla consistenza delle crespelle.

 

tacconi

Tacconi

Che siano di forma quadrata o romboidale, i tacconi (o tacconelle, taccozzedamuline, taccozzelle) vengono preparati con farina di mais, farina di grano, acqua e alle volte anche gli avanzi della polenta. Il nome deriva dal termine dialettale tacca (toppa), che a sua volta ha origine dal germanico tak, ovvero scheggia di legno. Naturalmente, la parola fa riferimento alla forma imprecisa del formato. Un'altra ipotesi propone invece l'associazione con l'antica tradizione di calzolai e calzature nell'ascolano: in particolare, con gli scarponi utilizzati dai contadini in campagna caratterizzati da grossi tacchi (da qui il nome tacconi). In passato, ogni taccone doveva essere grande come la mano di un neonato, e cotto insieme al pomodoro in un grande recipiente di terracotta. Molto spesso venivano (e vengono ancora oggi) conditi anche con ricotta, come recita il poeta dialettale Gaetano Passarello: “Quando i taccuna cu sarsa e ricotta/ e cu milinciana su davanti a mia/ non sacciu si mangiu la picciotta/ o un pezzo di la nona sinfunia”.

Torchioli

Già descritti nelle opere di Bartolomeo Scappi, i torchioli sono un formato tipico di Chieti, presenti anche nella Sabina reatina, in Puglia e in Basilicata. Oggi, questa pasta simile a quella alla chitarra, viene realizzata con uno strumento in legno chiamato torcolo o troccolo, mentre in passato veniva preparata con il “ferro da maccaroni”. La pasta di semola e acqua viene tirata con il matterello e poi premuta con l'apposito attrezzo scannellato, per poi essere cotta e condita con sughi di carne robusti.

Volarelle

Nella provincia dell'Aquila, nei mesi più freddi, non c'è niente di meglio della zuppa di volarelle, dei quadretti di acqua e farina fritti in olio di oliva e serviti in brodo al posto del pane tostato. Un piatto tipico delle feste di Natale, periodo perfetto per il brodo di cardi e volarelle. A Capestrano, invece, vengono preparate in minestra, con i fagioli del territorio o altri legumi. Per il brodo natalizio, si utilizzano rigaglie, carne e polpettine piccole, delle dimensioni di un pisello, oltre al cardo aquilano. L'usanza di friggere la pasta e completare poi la cottura nel brodo è molto antica e risale al tempo dei romani, che friggevano un particolare tipo di sfoglia chiamata catillus ornatus.

La ricetta: scrippelle 'mbusse

Ingredienti

1,2 l. di brodo di gallina

3 uova

2 cucchiai di latte

2 cucchiai colmi di farina

100 g. di pecorino grattugiato

1 cucchiaio di prezzemolo tritato

Noce moscata

Poco burro per la padella

Prezzemolo

Sale q.b.

Battete le uova in una ciotola, unitevi il latte, la farina setacciata, una cucchiaiata di pecorino, una grattatina di noce moscata, il prezzemolo tritato e un bel pizzico di sale. Mescolate bene per ottenere un impasto omogeneo quindi aggiungete l’acqua necessaria per ottenere una pastella molto fluida. Ungete leggermente una piccola padella antiaderente, scaldatela e versatevi un mestolino del composto. Girate subito la padella in modo che il composto si distenda su tutto il fondo, formando una crêpe molto sottile. Fatela cuocere due minuti per parte e continuate così fino a esaurimento del composto, calcolando di preparare dodici scrippelle. Quando sono pronte, allineatele sul tavolo, spolveratele di formaggio, arrotolatele e distribuitele fra quattro piatti fondi. Versate sopra il brodo bollente e servite subito completando i piatti con un pizzico di prezzemolo tritato.

a cura di Michela Becchi

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