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Libri. La cuoca selvatica, storie e ricette per portare in tavola la natura

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Le erbe selvatiche sono un mondo affascinante, ricchissimo di esemplari e specie diverse, ognuna con una tradizione, una storia e un sapore da scoprire.

 

Una storia antica

Avevo poco più di due anni, e con le piccole dita passavo in rassegna tutte le erbe che conoscevo: centocchio, cicoria, pratolina, ogni tanto mi imbattevo in un cuculicchio, che come lo sfioravo si attorcigliava e diventava una pallina. E ancora: boccione, violetta, piscialucertola”. Piscialucertola è un nome inventato, quello vero è caccialepri, non meno fantasioso. Comincia così, con un ricordo personale, La cuoca selvatica, il libro di Eleonora Matarrese, un volume fitto fitto che parla di piante selvatiche, erbe, bacche, norme, modi di dire, ricette e ancora ricordi, aneddoti e racconti. Ma tutto nasce da lì, da quella passione cominciata nella più tenera età, quando conoscenza e fantasia si mescolano passandosi la palla senza confitto. E senza subire l'ombra di preconcetti, scoprendo la meraviglia dove c'è senza limitare il tempo delle stagioni. Del resto, la fitoalimurgia – letteralmente la scienza che riguarda le attività per eliminare la fame con le piante – spesso detta semplicemente alimurgia, nasceva in tempi di carestia, quando bisognava trovare di che nutrirsi anche se il cibo non c'era, e in qualsiasi stagione.

Vale lo studio: considerazioni generali e precauzioni preventive

Perciò i frutti spontanei della terra da sempre sono stati guardati con sguardo affamato e scoperti nel loro potenziale alimentare, fossero essi foglie, tuberi, radici o bulbi. Insomma: altro che foraging, la raccolta delle erbe spontanee è pratica antica, che però oggi si riveste di nuovo fascino. Pur venendo a mancare la spinta fondamentale, la fame, ci sono altre ottime ragioni per le quali cercare e usare erbe selvatiche. Al punto che vale la pena informarsi e studiare un po': “è molto importante non improvvisarsi raccoglitori: il foraging presuppone conoscenza ed esperienza, per evitare di arrecare danni a nostro organismo”. Identificare senza margine d'errore le erbe e impiegarle nel modo più corretto in cucina è una priorità ineludibile, “molte erbe commestibili hanno sosia tossici, pericolosi per l'uomo e persino letali, alcune piante diventano tossiche unicamente in alcune fasi della loro crescita, altre hanno solo alcune parti dannose per l'organismo, altre ancora sviluppano tossicità perché colpite da malattie, muffe o funghi o perché conservate, cucinate o consumate in modalità sbagliata”. Occorre, quindi, non rischiare: raccogliere le erbe giuste nel momento giusto, usare le parti giuste e consumarle solo dopo averle trattate nel modo corretto. Senza dimenticare altre precauzioni, come introdurle per gradi nella propria alimentazione e solo dopo averne verificato la compatibilità nei confronti di ogni soggetto: alcune spesso non sono adatte a bambini o donne incinte, a persone con particolari allergie o patologie. In sintesi: non prendete alla leggera la questione, non basta che una pianta sia bella perché sia buona e – soprattutto – non basta che una cosa sia naturale perché sia salubre.

 

I punti di vista

Nell'affrontare il mondo delle erbe selvatiche la Matarrese sceglie un tono intimo, sempre molto familiare, fitto di ricordi e rimandi alla sua infanzia, a quella casa dei nonni in Puglia in cui tutto è cominciato e che continua ad accompagnare il suo percorso anche oggi che la sua casa nel bosco (che è anche il nome del suo blog) è in Brianza. Torna continuamente a quel terreno in parte incolto “dove ho le mie radici, dove non si estirpa l'anima”. Lì lei osservava il prato da un punto di vista che “coincide con quello delle piante che lo popolano”, conoscendolo da piccola ha potuto “coglierne le diversità, la complessità e la ricchezza, che per un adulto ignaro altro non sono che erbaccia”. Mentre lei, a tu per tu con un papavero, alla stessa altezza del tarassaco imparava a conoscerli e amarli, mentre gli adulti l'accompagnavano con il ritornello dei nomi scientifici. Un punto di vista, dicevamo, che si è rivelato punto di partenza fenomenale per la conoscenza ravvicinata che ha sviluppato negli anni a venire. E che ha dato vita ad altri punti di vista, quelli che, nel libro edito da Bompiani, consentono di organizzare per temi il ricco materiale. Si parte dal Punto di vista del prato (cicoriette, misticanze, malvaceae, erbe da bollire, piantaggine, silene, brassicaceae, ortica, lamio, finocchietto selvatico), si passa al Punto di vista del bosco (corbezzolo, lazzeruolo e biancospino, sorbo, germogli, ghiande, acetosa, acetosella), poi quello della montagna (achillea, bietola selvatica, spinaci selvatici: farinello e buon enrico, barba di becco, bardana, salvia, conifere, artemisie, cariofillata, frutti di bosco) e del mare (critmo, smirnio, salicornia, opuntia). A questo si aggiungono i fiori commestibili. Mentre nelle prime pagine una tavola sinottica mette insieme stagionalità, zona di raccolta, parti eduli.

 

Mille e una pianta

Pescando qua e là ci legge del lamio, simile all'ortica ma non urticante, per questo detta anche falsa ortica o dolcimiele, per via del sapore del nettare dei fiori che attira gli insetti fin dentro la corolla. Non mancano riferimenti alla poesia e alla letteratura (nel caso specifico a Lamia, la figura mitologica cui John Keats dedica il suo ultimo poema), e soprattutto ai luoghi di raccolta, alle molte specie esistenti, fino ai consigli di utilizzo in cucina. Si parla di acetosa e acetosella, simili nel nome ma non nella sostanza, la prima infestante e dal sapore pungente, da raccogliere in primavera specialmente quando le foglioline sono ancora attorcigliate e usare – come è tradizione in Francia – per condire patate lenticchie e fagioli, e che in Piemonte si impiega nella fondua 'd zeile, da consumare con parsimonia se si hanno problemi renali. L'acetosella, invece, con le foglie che si aprono a formare tre cuori uniti dallo stelo; ha un sapore che ricorda la buccia d'uva poco matura, in Brianza se ne fa una zuppa tradizionale chiamata zupa d'imbroi. C'è poi la salicornia, della stessa famiglia degli spinaci selvatici e della quinoa, con i fiori minuscoli, da pulire con attenzione e tenere a bagno solo per poco tempo. Si mangia cruda, in insalata (ma senza aggiungere il sale!), gli esemplari più grandi si lessano e condiscono con poco burro come gli asparagi, oppure si mangia fritta o si fa sott'aceto; un tempo si conservava dopo averla passata in forno tiepido in vasi di terracotta coperta di aceto e aromi. Si usava per accompagnare formaggi o secondi, se ne faceva un pesto.

 

Le ricette selvatiche

In questo lungo percorso non possono mancare le ricette, illustrate (come alcune erbe) da Anna Regge e precedute indicazioni sugli ingredienti e ricette di base, e alternative utili in mancanza di certi ingredienti. Del resto nel passato di Eleonora c'è anche un ristorante in cui, ovviamene, il cibo selvatico era protagonista. 20 ricette selvatiche, antipasti, primi, secondi e dolci. Eccone due.

 

Radici selvatiche al forno

Tuberi selvatici misti a piacere, 4 per tipo (carote selvatiche, pastinache, topinambur, tuberi di betonica, di barba di becco, di bardana)

Rizomi selvatici misti a piacere, 1 per tipo (cariofillata, polipodio, rizoma di allaria, di billeri primaticcio per un sapore più piccante)

bulbi misti a piacere, qb (aglio orsino, aglio delle isole, lampascioni)

1 cucchiaio di semi selvatici misti a piacere (finocchietto, nigella, alliaria, smirnio)

3 fette di pane di ghiande e semi selvatici

olio

sale

vincotto selvatico (preparato con 5 kg di fichi o fioroni, melagrana, opuntia, fichi d'India o altra frutta zuccherina selvatica, acqua )

 

Per il vincotto selvatico

Tagliate la frutta a spicchi (opuntia e fichi d'India vanno despinati e pelati), mettetela in una pentola capiente ricoperta d'acqua e cuocete a fuoco basso finché la frutta non si sarà sfaldata. A quel punto spegnete il fuoco e passate la purea ottenuta in un imbuto rivestito di un canovaccio a trama molto fine, premendo bene per ottenere quanto più succo possibile. Versare il succo ancora bollente in bottiglie di vetro a chiusura ermetica, che si conserveranno a lungo: per questo propongo qui di prepararne in gran quantità, anche se per questa ricetta ne utilizzerete solo una piccola parte. Il vincotto selvatico si presta a condire yogurt, formaggi, gelati, dolci, ma anche sfiziose ricette salate. Naturalmente potete aromatizzarlo con semi e polveri all'occorrenza.

Passate a pulire i tuberi, i rizomi e i bulbi, avendo cura di eliminare tutte le impurità e le foglie esterne. Sbianchite i tuberi più grandi e coriacei. Tagliati tuberi, rizomi e bulbi a metà o i quattro a seconda della grandezza e sistemateli in una teglia di terracotta; conditeli con olio e due terzi dei semi selvatici. Cuoceteli in forno preriscaldato a 180° per circa un'ora, irrorando a metà cottura con i vincotto selvatico ristretto. A cottura terminata, salate e cospargete di mollica di pane di ghiande e con i semi selvatici rimanenti. Servite la teglia di radici calda.

 

La cuoca selvatica, storie e ricette per portare in tavola la natura - Eleonora Matarrese -illustrazioni Anna Regge – Bompiani -242 pp. - €22

 

a cura di Antonella De Santis

 

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