Per lungo tempo la Germania ha tralasciato il suo patrimonio enogastronomico, imitando la Francia e sognando l’Italia. La nuova generazione, però, sta cambiando direzione sulla traccia di sapori locali e sostenibili. Qui un estratto del racconto che potete leggere, integrale, nel numero di giugno del Gambero Rosso.
La Germania sta riformulando la sua identità gastronomica. Le nuove leve della ristorazione e dell'enologia, tra contaminazioni e nuove sensibilità, hanno imboccato con decisione la strada del territorio e della sostenibilità. Dando nuova forza alla tradizione. È quello che abbiamo scoperto, nel numero di giugno del Gambero Rosso, in due itinerari ai due estremi del paese: a Berlino e ai confini con l'Alsazia, nel Palatinato.
Wachenheim
Tutto inizia e finisce sulla Deutschen Weinstraße. 85 chilometri di vigne collegano Schweigen-Rechtenbach, confine al sud con l’Alsazia, e Bockenheim su a nord. Eccoci nel Pfalz, il Palatinato. È la patria del Riesling. Del Riesling secco e solare, potente e longevo. Prima tappa Wachenheim, siamo con l’enologo della Dr. Bürklin-Wolf, fondata nel 1597, 85 ettari di viti condotte in biodinamica dal 2005: la più grande realtà biodinamica d’Europa. Alla guida Nicola Libelli, piacentino, 32 anni, da cinque è il kellermeister della cantina nata dall’unione delle famiglie Bürklin e Wolf. “Qui l’effetto del fiume non si sente, abbiamo tantissime ore di luce e i boschi sono fondamentali per mantenere l’umidità. L’obiettivo è far diventare il Pfalz il primo distretto interamente biologico”, racconta Nicola. La Pfälzerwald è la più estesa foresta della Germania, da cui le tipiche grandi botti di legno che ritroviamo in cantina.
Palatinato culla del Riesling
“Il riesling è una diva. Va trattata con i guanti, pressatura soffice e lunga, non sopporta chiarifiche, ha un tannino difficile, mal tollera i legni piccoli”. Assaggiamo da botte. Nel bicchiere profumi inebrianti, dal limone appena spaccato allo zenzero, dalla frutta gialla succosa a cenni più esotici. “Chi cerca riesling più agili e balsamici preferirà Deidesheim, Ruppertsberg e i suoi terreni argillosi per chi cerca vini più fruttati”, aggiunge Nicola. Ci fermiamo davanti all’unica botte di Pechstein, il solo cru figlio di terreni ricchi di basalto, di origine vulcanica. A metà sorso, ha un cambio di passo mostruoso: mineralità scura e infiltrante. In poche parole, energia pura. Accanto, più che una botte, una reliquia: il Kirchenstück (“la parcella della chiesa”), la mini-porzione di vigneto che già nella classificazione del 1828 strappava il prezzo di mercato più alto. È un vino più lento, luminoso e ricco di sponde e ricami di sapore. Qui i terreni mixano basalto, arenaria e quarzo. Dieci minuti di macchina e siamo tra le volte del bistro bio Hofgut Ruppertsberg, in un’ex officina del 1800. “I primi anni sono stati duri, abbiamo ricostruito un rapporto con i fornitori locali, dalle verdure che mi arrivano a poche ore dalla raccolta, alle carni, ai pesci del Reno – commenta lo chef Jean Philippe Aiguier – Con la guerra è andata distrutta anche la nostra ricca cultura gastronomica. Siamo ripartiti da zero. I nostri chef sono andati in Francia a formarsi e hanno riportato tutte quelle tecniche e prodotti”. Assaporiamo delle ottime lumache, piccantine il giusto, il luccio, il carré d’agnello. Carta dei vini profondissima a ricarichi contenuti; al Riesling Auslese del 1976, assaggiato alla cieca, non diamo più di 15 anni. Esistono altri bianchi al mondo capaci di viaggiare, con questa disinvoltura, nel tempo?
Martin e Georg Fußer
Il gruppo Wine Changes
Il gruppo Wine Changes è tra le più belle sorprese del viaggio: un’associazione spontanea di 13 produttori del Pfälz, nata nel 2009. In scena un gruppo di ragazzacci, amici prima che colleghi, che hanno studiato insieme, condividono un’idea e un percorso. Il loro motto? Uno per tutti, tutti per il vino. Facciamo tappa dai fratelli Fußer, Martin e Georg, a Deidesheim. Poche annate alle spalle ma già tra i nomi emergenti. Viticoltura biodinamica, pressatura a grappolo intero anche qui, fermentazione spontanea, affinamento in acciaio. I 2016 hanno una marcia in più, il Reiterpfad è il loro cru più celebre, letteralmente il sentiero equestre, l’origine del nome è romana. Particolarmente potente e intenso in un profilo di erbe spontanee. Un gioiellino il Parardiesgarten: “È quella vigna lassù incastonata nella parte alte del bosco. Ci soffia sempre un vento particolarmente fresco”, commenta Georg. Nel bicchiere una sferzata rigenerante di anice e ginepro, bocca a dir poco elettrizzante. “Il Pinot Nero is the next big thing. Abbiamo piantato cloni francesi, prima erano tedeschi. It’s a very long way”, sorride Martin Fußer. Sul pinot nero scommette anche Philippe Weisbrodt: giriamo l’angolo e lo troviamo a imbottigliare in cantina. Dal 2009 ha convertito tutto in biodinamica. Il suo Riesling Mäushöhle (“la cava del topo”) ha un profumo di menta selvatica che entra in testa, freschissimo. “È un mistero dal punto di vista tecnico, di sicuro accanto da queste parti la menta cresce spontanea ovunque”. Dello stesso cru il Pinot Nero è più di una promessa. Intermezziamo con la succulenta Pfälzersaumagen, la pancia del maiale cotta alla moda del Palatinato, il piatto preferito dell’ex cancelliere Kohl.
Cantina Christammn
Quindi raggiungiamo la cantina Christammn, in quel di Neustadt. “Il capitale del nostro vino sono i nostri suoli. Se li distruggiamo, cosa ci rimane?”, ribatte Sophie Christamn, l’ottava generazione. Lo stile della casa è sempre più essenziale e preciso, dal 2012 si è deciso di anticipare la vendemmia per evitare la botrite. Tra gli assaggi, spicca il Riesling Paradiesgarten 2016, un fenomeno di purezza espressiva, e l’Olberg, austero e salatissimo, timbro che ritroviamo nel Pinot Nero, il pallino di Sophie. Riprendiamo la Weinstraße e scendiamo verso sud. I vini di Rebholz sfoggiano una complessità sapida fuori dall’ordinario. “Nella buccia del riesling c’è una componente minerale importantissima, il potassio e tanti altri elementi. Diraspiamo e lasciamo a contatto per 24 ore. Poi lieviti indigeni, acciaio e lunga sosta sulle fecce fini”, ci spiega Hans. Il figlio Valentin ha fatto esperienze da Elisabetta Foradori ed è tornato con il pallino delle anfore. Assaggiamo le prime prove, già su livelli incredibili. Il fiore all’occhiello della gamma? Il Kastanienbusch, “l’albero delle castagne”.
Un piatto di Benjamin Peifer - Intense a Kallstadt
Risaliamo in direzione Francoforte e ci fermiamo a Kallstadt. Benjamin Peifer è l’enfant prodige degli chef di zona. 31 anni, ha iniziato come panettiere. Nel 2017 ha aperto Intense, la prima stella è arrivata nel giro di pochi mesi. Menu fisso fatto di piccoli assaggi, plasmato sul concetto degli omakase giapponesi, pochi ingredienti per piatto e tanto carattere. L’aspetto piccante è un filo comune, ma perfettamente dosato, la successione del menu è perfetta, con sali e scendi che funzionano molto bene; perfetto il punto di cottura della coda. Materie prime? “L’unico di cui non conosco il fratello è il produttore del Wagyu Beef”, butta lì Benjamin, a sottolineare che tutto è locale e si conoscono tutti i fornitori. In sala la sua compagna, Bettina, si occupa con grande professionalità della materia vinosa. In chiusura, un’infusione di una menta raccolta localmente: semplicemente prodigiosa. Ci accompagna anche quando la Weinstraße è già lontana.
La seconda fermata del nostro viaggio è Berlino, una capitale che ritroviamo in autentico stato di grazia sul piano enogastronomico. Molto meno poor (solo nel 2017 gli affitti sono saliti del 20%: mercato immobiliare letteralmente impazzito) but still very sexy, per aggiornare la celebre definizione dell’ex sindaco Klaus Wowereit. Potete scoprire tutti gli indirizzi nel numero di giugno del Gambero Rosso.
a cura di Lorenzo Ruggeri
foto di apertura: un piatto di Intense
QUESTO È NULLA...
Nel numero di giugno del Gambero Rosso, un'edizione rinnovata in questi giorni in edicola, trovate il racconto completo, compresa la tappa berlinese tra bistrot, ristoranti, gastropub, mercati, pizzerie, laboratori di panificazione e indirizzi vegan (Berlino è capitale europea della cucina vegetariana e vagana). Un servizio di 10 pagine che comprende anche i racconti di Veronika Crecelius, food journalist per la rivista Weinwirtschaft, e di Per Meurling, food journalist e autore di berlinfoodstories.com. E ancora i ristoranti e le cantine da non perdere nel Palatino e a Berlino, le mappe per orientarsi al meglio, i giovani chef che stanno cambiando l'enogostranomia tedesca e 11 vini selezionati per il loro rapporto qualità/prezzo.
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