La sharing economy è sempre più al centro di progetti e startup nel mondo del cibo. Ad abbracciare questa crescente tendenza, L'Alveare che dice sì, piattaforma di spesa online che raduna i piccoli produttori delle varie città italiane.
Il progetto
In principio fu La Ruche qui dit Oui!, progetto nato in Francia nel 2011 per facilitare la spesa, un servizio di shopping online pensato per tutti i cittadini che non hanno tempo per recarsi in bottega ma che non vogliono rinunciare ai prodotti di qualità. Una rete di produttori, casari, allevatori dei diversi territori, pensata per garantire cibo fresco e a filiera corta a tutti gli iscritti. Un'idea innovativa approdata poi in Inghilterra con The Food Assembly, e poi ancora in Spagna, Germania e Belgio, e a fine 2015 anche in Italia. A importare questa iniziativa nella Penisola, Eugenio Sapora, attuale CEO del gruppo. “A fine 2015 è nata la nostra startup, incubata ancora oggi nel programma di supporto Treatabit”, racconta Simona Cannataro, responsabile comunicazione de L'Alveare che dice sì. Si tratta di “una sorta di gruppo d'acquisto 2.0, una comunità di persone che non hanno la possibilità di fare la spesa e che scelgono di mettersi insieme per comperare alimenti freschi dagli artigiani della zona”.
La filiera corta e la squadra dell'Alveare
35 km è la distanza media che i produttori percorrono per consegnare le loro specialità ad un Alveare, una scelta compiuta per azzerare la filiera al massimo e garantire una qualità costante ai consumatori. Il team dell'alveare si impegna ad assistere e supportare il gestore di ogni gruppo, “un privato che si impegna a selezionare le materie prime del territorio, e che percepisce una percentuale sulle vendite”. Chiunque può diventare gestore e creare un Alveare, facendo domanda tramite il sito e seguendo i consigli della squadra. C'è poi un luogo per le distribuzioni, “che può essere un bar o un ristorante, ma anche un'associazione di quartiere, un cinema, una polisportiva, un qualsiasi punto di ritrovo della vita cittadina”. E poi c'è il sistemista informatico, “che si impegna a coordinare consegne e ordini”.
Come funziona
Sviluppare la filiera corta per ritrovare il sapore dei propri territori e ristabilire un legame tra consumatori e produttori: questi gli obiettivi del progetto, che continua ad ampliarsi sempre di più (oggi sono 170 gli Alveari in tutta Italia). Il processo di creazione di un Alveare è molto semplice: con il sostegno della squadra, la persona che sceglie di diventare gestore in una determinata zona può cercare tramite il sito i produttori locali, e poi i consumatori interessati con cui acquistare gli alimenti. Non appena il quartiere conta un numero sufficiente di fornitori e membri, l’avventura comincia. “Ogni settimana, i clienti hanno 5 giorni per scegliere cosa acquistare. Per esempio, nella mia zona le vendite sono aperte dal venerdì al martedì, con consegna ogni giovedì dalle 18 alle 19”.
Lo sviluppo e il futuro del progetto
Una realtà che ha preso gradualmente piede in tutto lo Stivale, soprattutto al Nord, “siamo molto presenti in Piemonte e Lombardia, dove ci sono circa una 50ina di alveari per regione. Solo a Torino ne abbiamo 18, a Milano circa 16”. E al Sud? “Nel Meridione il progetto fa ancora un po' fatica ad attecchire, un po' perché ci sono più zone rurali, e quindi maggiori possibilità di acquisti diretti presso le aziende locali, un po' perché l'idea di spesa online non è ancora ben radicata”. Risposte molto positive, invece, continuano ad arrivare di anno in anno dall'Italia Settentrionale, dove vengono realizzate anche delle consegne speciali: “Nei mesi più freddi, prima delle vacanze di Natale, oltrepassiamo il concetto di filiera corta e facciamo consegne di prodotti di largo consumo come arance, olio extravergine di oliva e mozzarella di bufala direttamente dal Sud”. Un progetto destinato a crescere, “a breve apriremo un punto a Palermo, e abbiamo intenzione di creare più Alveari nell'Italia meridionale”, e che presto comincerà a contare sulle proprie forze: “Questo per noi è un anno importante, perché dobbiamo iniziare a reggerci sulle nostre gambe, uscendo dalla dinamica delle startup. Vogliamo continuare a svilupparci, proponendoci come alternativa alla grande distribuzione”.
a cura di Michela Becchi