Nel 1909 nasceva come caffè, con bel dehors tra via Indipendenza e via Volturno; poi un crescendo fino al 1985, quando il ristorante prendeva le sembianze di una tradizionale e rassicurante tavola bolognese, sotto la guida di Ivo Galletti ed Eros Palmirani. Oggi il Diana è un simbolo della città e della sua storia gastronomica, ma rischia di chiudere.
Dal 1909 a oggi. Oltre un secolo di storia
Tra i tavoli del ristorante Diana, in via Indipendenza civico 24, non c'è il rischio di abusare del termine storico. Dal 1909 l'insegna tramanda la tradizione della cucina bolognese, opulenta, fatta in casa... Tra tortellini, pasta all'uovo, lasagne e carrello dei bolliti. E si sprecano le foto d'epoca che raccontano di un tempo in cui, dopo gli inizi da caffè – con bel dehors su strada – al Diana entrò per la prima volta Eros Palmirani, semplice commis di sala nel 1959, poi direttore di sala e proprietario mitico, che ancora oggi accoglie gli ospiti, consigliandoli sui piatti dello chef, Mauro Fabbri, anche lui presenza immarcescibile del ristorante (dal 1977). Nel 1985 Palmirani rilevava il locale in società con Ivo Galletti (già fondatore del Salumificio Alcisa): oggi lo gestisce insieme alla famiglia degli eredi Galletti, ma parte della proprietà dei locali è in mano alle famiglie Finzi Contini e Ferri. E non passino queste per mere precisazioni catastali, perché la storia degli ultimi mesi di quello che molti considerano un simbolo intoccabile di Bologna e della sua tradizione gastronomica è ampiamente funestata da questi “cavilli”: nel 2020 scadrà il contratto di locazione e i proprietari delle mura sarebbero interessati a cedere alle offerte di un mercato ben più allettante (si parla di un accordo con il brand di abbigliamento Zara).
La mobilitazione per salvare il Diana
E così, già dalla fine dell'anno scorso è scattata la mobilitazione per salvare il Diana, i suoi camerieri in giacca bianca, i vecchi lampadari, l'atmosfera fanè che si respira in sala, la generosa infilata di piatti della tradizione emiliana sul menu che sembra un album dei ricordi della cucina petroniana: la spuma di mortadella servita con i crostini caldi, la galantina di pollo con insalata russa, le lasagne verdi col ragù, i quadrucci in brodo, la cotoletta alla bolognese, i piselli al prosciutto, la torta di riso. Si è mosso pure il Comune, appellandosi alla salvaguardia delle attività storiche, e invocando l'applicazione del decreto Unesco per la tutela dei centri storici già in vigore a Firenze: per la prima volta a Bologna, dunque, si applicherebbe il divieto di cambio di destinazione d'uso per delibera comunale. La trattativa va avanti da mesi, qualche giorno fa Stefano Tedeschi (in rappresentanza della famiglia Galletti) ha incontrato l'assessore al commercio di Bologna Alberto Aitini; l'ipotesi più accreditata al momento è la mediazione tra le parti suggerita per scongiurare la chiusura del ristorante: dividendo in due la proprietà, l'insegna - all'angolo tra via Indipendenza e via Volturno - sopravviverebbe con l'affaccio su via Volturno, evidentemente ridimensionata negli spazi. Mentre le vetrine su via Indipendenza spetterebbero al nuovo locatario, con tutta probabilità uno store Zara Kids. Ma non è ancora detto che l'insegna non sia costretta a traslocare altrove – forse solo pochi metri più in là - disperdendo irrimediabilmente l'eredità di una tavola che ha visto sfilare un'epoca: Indro Montanelli, la politica bolognese, i volti celebri legati alla città, da Lucio Dalla a Gianni Morandi e Pupi Avati, che all'interno del locale ha girato pure uno degli ultimi lavori per la Rai. Palmirani al momento si trincera dietro un silenzio che attende sviluppi. Quel che è certo è che nessuno, al Diana, ha intenzione di cessare l'attività.
a cura di Livia Montagnoli