2000 vini, 300 vignerons e piccole maison, assaggi su assaggi, scoperte e riflessioni. Ecco come è andata Le Printemps des Champagnes, la settimana dello Champagne di Reims e dintorni.
All’inizio erano poco più di una dozzina, riuniti intorno a un’idea allora rivoluzionaria di Raphaël Bérèche e Aurélien Laherte: parlare di terroir in Champagne.
Nacque così, in una primaverile giornata di aprile del 2009, Terres et Vins de Champagne, il primo salone di vignerons champenois. Quasi tutti giovani o, comunque, espressione di una nuova generazione, organizzarono nel Castel Janson ad Ay, di proprietà della famiglia Goutorbe, una giornata di degustazione, riservata ai professionisti e ai giornalisti, dei propri Champagne e, soprattutto, dei vin clair dell’annata precedente. Era un modo nuovo di presentare lo Champagne, non più uguale a sé stesso negli anni, ma espressione del millesimo e del terroir.
Le Printemps des Champagnes edizione 2018
Da quella prima esperienza (se la memoria non mi inganna solitaria per un paio di edizioni) nacquero una serie di altri saloni, Les Artisans de Champagne per primi, seguiti da Bulles Bio en Champagne, Les Mains du Terroirs, Des pieds et des vins e altri a popolare quella che nel corso degli anni ha preso il nome di Le Printemps des Champagnes o, più semplicemente Champagne Week.
L’edizione 2018, oltre a festeggiare i 10 anni di Terres et Vins, ha visto più di 20 saloni succedersi nell’arco di 5 giorni, tra il 14 e il 18 aprile, quasi tutti concentrati nella città di Reims e con un affluenza di più di 1.000 tra giornalisti e professionisti di tutto il mondo.
Facendo un po’ di conti, chi come noi di 99champagne ha avuto il piacere di seguire i saloni ha potuto incontrare più di trecento vigneron o piccole maison, degustando mediamente tre cuvée e tre vin clair per ogni banco, per un totale prossimo ai duemila vini. Un’occasione unica, quindi, per avere una fotografia abbastanza esaustiva dello stato dell’arte in Champagne.
Tirare le somme da questo tour de force frizzante non è semplice, ma alcune indicazioni sono venute fuori in modo netto.
L'annata 2017
I vin clair assaggiati ci hanno confermato che l’annata 2017 non sarà di certo ricordata per la quantità, visto i problemi meteorologici che hanno compromesso la vendemmia, ma chi ha saputo fare un bella selezione dell’uva raccolta ha prodotto dei vini di grande riconoscibilità e personalità. E, nonostante molti definiscono il millesimo come uno da chardonnay, siamo rimasti invece particolarmente colpiti da alcuni pinot meunier, ricchi di frutto e mineralità, ormai negli ultimi anni protagonisti affermati non solo negli assemblaggi, ma anche come solisti di valore. Analogo discorso vale per il pinot blanc dell’Aube che tanto impensierisce i vignerons per la tendenza ad appesantire il vino e che, invece, se vinificato correttamente sa dare giusto spessore e personalità.
Ricerca interpretativa e produttiva
Altro elemento degno di nota è la continua ricerca interpretativa e produttiva al fine di sottolineare maggiormente l’identità del terroir, abbandonando una visione tradizionalista e impegnandosi su percorsi differenti e in alcuni casi veramente innovativi. Parliamo, per esempio, dell’utilizzo dei mosti in fase dosaggio, e Agrapart, Nowack, Gratiot, solo per citarne alcuni, lo fanno con risultati veramente convincenti (sarà che i jus della vendemmia precedente sono così buoni che verrebbe da berne a dismisura) o il ricorso convinto alla solera e al multimillesimo, come avviene nella cuvée Petreadi Boulard (che riparte dal 2011 per essere certificata biologica) o la Memoriedi 30 vendemmie in casa Huré. Altro interessante esperimento è quello della cosiddetta complentation, ovvero far lavorare nella stessa parcella tutti i vitigni della Champagne, come sta facendo tra gli altri Jean-Baptiste Geoffroy con la sua cuvée Les Houtrants che ne è un esempio veramente convincente e che segnerà il futuro.
Il futuro in rosa: le grandi donne dello Champagne
Così come il futuro lo segneranno di certo alcune donne, da Delphine Boulard che dimostra di aver grande valore nel continuare il lavoro di suo padre Francis che si gode il meritato riposo in Bretagna, a Melanie Tarlant, ormai volto, voce e mani, insieme a suo fratello Benoit, dell’omonima maison sempre più identitaria nei vini, da Agnes Corbon i cui vini, deo gratias, ci sembrano di nuovo assai convincenti, a Benedicte Ruppert-Leroy che, come dice Bertrand Gautherot, è, insieme a suo marito, una delle più interessanti e capaci interpreti di quella rivoluzione bio che, lentamente, sta prendendo piede anche in Champagne. E tra l’altro, bisogna ricordarsi che la Presidente della Wine Division di Moët-Hennessy, oltre che di Krug, è Margaret Henriquez, una donna che in 15 anni ha portato le marche del gruppo a ottenere risultati strabilianti.
Le difficoltà: registrare i cambiamenti
Tutto oro nel bicchiere, dunque? No, non solo oro: alcuni dei saloni visitati hanno dimostrato una certa difficoltà dei vigneron a distaccarsi da una visione tradizionale dello Champagne, sia in termini di dosaggi molto elevati che di utilizzo massivo di ausili produttivi di vario tipo (la chimica, a volte, la fa ancora da padrona) e, soprattutto in un’annata come la 2017, a far entrare in cantina uva sana e ben scelta. Così come manca, a nostro giudizio, la piena consapevolezza che lo Champagne non è più quello di una volta, con un mercato largamente nazionale fatto di parigini in gita domenicale, abituati a prendersi qualche bollicina come un tempo noi romani il vino frizzante dei Castelli. Schiacciato tra il marketing delle grandi Maison e la personalità dei giovani vigneron, un brut qualsiasi inizia a perdere interesse.
Questo ci conferma, insieme a tutto ciò che abbiamo bevuto e ci ha convinto, che la Champagne non solo è viva, ma probabilmente è la regione vinicola che più delle altre si trova di fonte a cambiamenti epocali. Per nostra fortuna.
testo e foto a cura di Luca Burei
editore e curatore della guida Le migliori 99 maison di champagne Edizioni Estemporanee