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La pasta italiana in Piemonte. 10 formati tipici e la ricetta dei tajarin

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La pasta all'uovo, in Piemonte, si arricchisce di tuorli, per una sfoglia dal colore giallo carico che dà vita ai celebri tajarin, ma anche agli agnolotti del plin e ad altri formati golosi e succulenti. Ecco quali sono le paste più famose della regione.

 

Una tradizione solida frutto dell'influenza francese ma anche di quella ligure, grazie al continuo passaggio di commercianti in arrivo dalla regione vicina, che oltre alle spezie portavano con loro ricette tipiche e tradizioni culinarie. Il Piemonte può quindi fare affidamento su una cucina robusta, fatta dei prodotti locali, burro, latticini e carboidrati, ma anche frutta secca legumi, cereali e tuberi. Una tavola che nasce alla corte dei Savoia, ma che prende spunto anche dalle abitudini di consumo dei ceti più poveri, pescando dalle ricette della tradizione contadina. Il risultato è dunque un accordo di sapori e piatti molti diversi tra loro, sia per la complessità delle preparazioni che per la tipologia di ingredienti utilizzati. Ruolo fondamentale lo giocano i primi piatti, dalle zuppe alle minestre (soprattutto a base di castagne), ma anche tante paste, in particolare quelle all'uovo, ripiene e non. Qui abbiamo radunato i 10 formati tipici più diffusi in tutta la regione, ma occorre ricordare sempre che per ogni ricetta esistono diverse interpretazioni e variazioni locali.

 

Agnolotti

Detti anche agnulot, angelotti, langaroli o langheroli, gli agnolotti sono fra le paste piemontesi più conosciute in tutto lo Stivale, e non solo. Nonostante siano uno dei prodotti più rappresentativi della cucina regionale, questi tortelli devono in realtà la loro nascita ai cuochi liguri, che li preparavano – di dimensione leggermente più piccola – con un ripieno a base di erbe aromatiche. In Piemonte, invece, farce e condimenti variano a seconda della zona: nel novarese si utilizza la borragine, nell'alessandrino vengono insaporiti con la Barbera, a Marengo si farciscono con cervella e animelle, mentre a Monferrato si opta per la carne d'asino. Famosi gli “agnolotti delle tre carni” dell'astigiano, preparati con tre arrosti diversi, ma anche quelli di verza delle Langhe. Fra le ricette più note, i “fagottini della Bella Rosina”, agnolotti con ripieno di fonduta creati in onore di Rosa Vercellana, moglie di Re Vittorio Emanuele II, e ancora gli “agnolotti alla Cavour”, ovvero conditi con la finanziera, tipico mix di frattaglie ed elementi di scarto della lavorazione dei galletti ideato nel 1450 dal Maestro Martino nel Monferrato. Secondo la leggenda, fu proprio il Conte Cavour a richiedere questa ricetta nello storico ristorante Al Cambio di Torino. Qualunque sia la versione, questo formato ha attraversato secoli di storia: se ne parla già ne “La Cuciniera Piemontese” del 1789, ma è solo nel “Trattato di Cucina Pasticceria moderna Credenza e Relativa Confettureria” del 1854 e poi nella “Cucina borghese di Giovanni Vialardi” del 1901 che si trovano tracce di una preparazione simile a quella attuale. La tradizione vuole che il ripieno sia preparato con carni miste, vitello e maiale in particolare, cotte a stufato e profumate con vino ed erbe, mentre come condimento viene solitamente usato il fondo di cottura delle carni.

 

Agnolotti del plin

Fra le tante variazioni di agnolotti, una nota a sé la meritano i celebri agnolotti del plin, tortelli di pasta all'uovo ripieni di vitello e maiale, talvolta disponibili anche nella versione verde che prevede l'aggiunta di spinaci, caratterizzati dal tipo di chiusura particolare, nato nelle Langhe ma ben presto diffusosi nel resto del territorio. Il “plin”, infatti, è il pizzicotto che viene dato per sigillare la pasta di forma squadrata. Solitamente vengono conditi con burro, salvia e parmigiano, oppure con sugo d'arrosto, parmigiano e tartufo, o altre salse bianche in grado di esaltare il sapore del prodotto. Fra le più antiche abitudini di consumo, c'è anche l'insolita tradizione del Dolcetto, ormai un po' in disuso, che vuole che la pasta venga affogata dentro una ciotola di buon vino.

 

Biavette

La tradizione di zuppe e minestre è talmente radicata in Piemonte che non possono mancare i formati di pasta più piccoli adatti per queste preparazioni. Fra le pastine più note della regione, le biavette, in origine a base di acqua e farina, oggi preparate con le uova: si tratta di piccoli pezzetti di pasta grandi quanto un chicco di riso lavorati fra pollice e indice per conferire la tipica forma schiacciata. Da sempre, le biavette vengono confezionate per la “minestra del battere il grano”, una zuppa di brodo di carne preparata con le rigaglie di pollo e pensata per sostenere gli uomini durante il duro lavoro della mietitura.

 

Cajettes

Una sorta di gnocchi diffusi soprattutto fra la val di Susa e la val Chisone, in particolare nella zona di Sestriere, un comune di circa 900 abitanti che d'inverno si popola a dismisura per la stazione sciistica – la più grande di tutto il Piemonte – che collega le due valli. Le cajettes sono uno dei primi piatti più popolari, si tratta di gnocchi di patate, ortica, cipolla e farina di segale, solitamente gratinati al forno. Una ricetta “povera”, profondamente legata alla tradizione agreste del luogo, che ha come protagonista uno dei prodotti più diffusi in tempi di carestia, da sempre simbolo di ristrettezze economiche: la patata. Il nome dialettale deriva dalla forma allungata degli gnocchi, e indica il fuso utilizzato in passato per filare la lana.

 

Corzetti

Un pezzetto di impasto di acqua, uova e farina, steso con il mattarello e pressato alle due estremità con i polpastrelli a forma di otto: è il corzetto, tipico formato piemontese condiviso anche con la Liguria, che trova diverse espressioni a seconda della zona. Una pasta antica, presente già nel Duecento, tanto da essere citata nel “Liber de coquina bi diuersitate ciborum docentur,” e poi, molti secoli dopo, nel “Deux traités d'art culinaire mdiéval” del 1970. I corzetti tiae co-e die (tirati con le dita) sono la reinterpretazione italiana di una storica preparazione provenzale, diffusasi dapprima in Liguria, nella Val Polcevera, e poi in Piemonte. I pezzetti di pasta devono essere grandi quanto un pollice “et cum digito sunt concauati”, ovvero incavati con il dito. Due le tipologie principali della cucina piemontese: i croset, molto simili ai cavatelli, e i crosit, a base di pane raffermo bagnato nell'acqua e mescolato con la farina, una sorta di gnocco a base di ingredienti poveri rigato in superficie con la forchetta. Ci sono, poi, anche i meno conosciuti torsellini: gnocchetti piccoli e incavati tipici della Valle Belbo. Per chi non volesse realizzare i corzetti a mano, esistono degli appositi stampini in legno, diffusi già nelle corti rinascimentali liguri, dove spesso veniva inciso lo stemma del casato oppure una croce, dalla quale – probabilmente - prendono il nome (un'altra teoria ritiene invece che la parola corzetto derivi dal croset, uno scudo d'argento utilizzato nel Seicento nella Repubblica di Genova). In qualsiasi caso, i corzetti hanno rappresentano per molto tempo la risorsa alimentare base dei marinai in viaggio, grazie alla loro capacità di conservazione e il basso costo delle materie prime, che li ha resi uno dei formati più popolari anche durante i frequenti periodi di carestia.

Gnocchi di zucca

Nonostante siano oggi parte integrante della dieta e della cultura gastronomica nazionale, le patate non sono sempre state presenti sulla tavola italiana: a far conoscere i tuberi, infatti, furono dapprima gli spagnoli (e non Cristoforo Colombo, come spesso – erroneamente – si pensa), che le importarono dalla Cordigliera delle Ande nel Cinquecento sotto la guida di Francisco Pizzarro, e poi i padri Carmelitani scalzi, dell'ordine religioso nato in Spagna, che alla fine del XVI secolo insegnò agli italiani a coltivare e cucinare le patate. Prima dell'avvento del tubero, però, erano le zucche a dominare i ripieni delle paste fresche, perfette per consistenza e capacità di conservazione. In Piemonte, la zucca divenne parte dell'impasto, insieme a uova e farina, un mix di ingredienti che dà vita a gnocchetti morbidi molto popolari anche in Friuli Venezia Giulia, Veneto e Valle d'Aosta, dove vengono gratinati al forno e ricoperti di fontina. Da sempre piatto di festa, lo gnocco di zucca per i piemontesi rappresenta da secoli un'alternativa a basso costo dei ravioli di carne, solitamente preparati nelle grandi occasioni.

 

Gnocchi ossolani

Farina di grano, farina di castagne, zucca, patate, uova e spezie: nella Val d'Ossola sono gli gnocchi ossolani a farla da padrone, pezzi di impasto morbido cotti in acqua bollente e conditi con un po' di buon burro d'alpeggio d'alta quota. L'origine di questa ricetta risale al Cinquecento, quando i montanari della zona scendevano a Intra e Pallanza, località in provincia di Verbania che per secoli hanno rappresentano i più grandi centri commerciali del Lago Maggiore, per fare scorta di ingredienti. Nel mercato che costeggiava le sponde del lago, infatti, pastori, contadini e casari trovavano tutto il meglio dei prodotti locali, facendo scorta soprattutto di grano e cereali. Al ritorno, preparavano il pasto con le materie prime a disposizione, dalla farina alle patate, aggiungendo ingredienti preziosi come le celebri castagne piemontesi, in questo caso ridotte in polvere, per conferire maggiore gusto al piatto.

 

Mandilli 'nversoi

Fra le ricette che traggono ispirazione dalla cucina ligure, i mandilli 'nversoi, in Liguria chiamati mandilli di sea, fazzoletti di seta. Si tratta di quadrotti di pasta farciti come un tortello, solitamente ripieni di salsiccia, animelle, bietola o borraggine, e insaporiti con del formaggio. Un formato che nasce nelle cucine rinascimentali, dove la sottigliezza della pasta era sinonimo di eleganza e raffinatezza. Fra le tipologie più apprezzate del tempo, infatti, i capelli d'angelo, tagliolini molto fini diffusi un po' ovunque, ma in particolar modo in Liguria e nel Lazio, descritti già nei testi del XVII secolo, e nati all'interno dei monasteri medioevali, dove le monache erano solite prepararli per gli ammalati o le puerpere. Più la pasta era sottile e il formato difficile da preparare, più si avvicinava a quell'ideale di bellezza e perfezione tanto ricercato dai commensali dei grandi banchetti delle corti rinascimentali. I mandilli 'nversoi, piuttosto piccoli ma con la sfoglia meno fine dei capelli d'angelo, rappresentavano la soluzione perfetta per i cuochi dell'epoca.

 

Raviole

Un prodotto nato fra le comunità dei Walser anticamente stanziate nelle valli dell'alto Piemonte, e legato a doppio filo alla tradizione ligure. Le raviole si sono iniziate a diffondere grazie alla via della transumanza che partiva dalle Alpi Marittime Liguri, dove si preparavano le raviore, pasta ripiena a base di farina, acqua e uova, oggi realizzata solo con uova e farina. Sono, infatti, frutto della cosiddetta “cucina bianca”, una tradizione gastronomica nata fra i sentieri della transumanza in Liguria e nelle Valli Occitane del cuneese, chiamata così per il colore chiaro degli ingredienti, dalle uova alla farina, senza dimenticare i latticini e gli ortaggi come cipolle, rape e patate. Un tempo, la farcia era a base di dadini di varie tipologie di formaggio avanzate, mescolate con le uova, mentre oggi varia a seconda della zona: ogni comune, infatti, utilizza i formaggi tipici locali. Tradizionalmente, le raviole vengono prima fritte e poi cotte nel latte, in particolare nelle valli biellesi, ma non è raro trovarle anche nella versione più semplice e leggera, lessate in acqua e poi condite con prodotti di stagione.

 

Tajarin

Una delle paste più note della cucina piemontese sono senza dubbio i tajarin, sottili tagliolini lunghi caratterizzati da un colore giallo acceso dovuto alla presenza abbondante di tuorli d'uova. Diffusi soprattutto nel territorio delle Langhe, i tajarin sono uno dei piatti simbolo locale: Massimo Alberini nel volume “Piemontesi a tavola” racconta che già al tempo di Vittorio Emanuele II, che li mangiava con un tovagliolo annodato alla divisa per proteggere il tessuto, erano uno dei piatti più in voga. A prepararli a quel tempo era Rosa Vercellana, conosciuta come La Bela Rosin, contessa di Mirafiori e moglie del re. In passato rappresentavano il pasto delle feste, spesso conditi con olio e acciughe oppure burro e funghi, come si legge ne “La cuoca di buon gusto”, un ricettario del 1901, ma oggi ogni occasione è buona per deliziare il palato con questo primo piatto goloso e nutriente. Tanti i condimenti utilizzati per insaporire la pasta, dal classico ragù di frattaglie, detto “il comodino”, al tartufo bianco nella zona di Alba. Chiamati anche ceresolini a Ceresole, nelle Langhe sono conosciuti come tajarin di meliga, e si distinguono per l'aggiunta di farina di mais. Secondo alcuni storici della gastronomia, in origine venivano aggiunti anche olio d'oliva e vino nell'impasto, ma la ricetta attuale prevede solamente farina e tuorli, solitamente nella proporzione: 20 tuorli (ma spesso anche di più) per 1 chilogrammo di farina.

La ricetta: tajarin

Per la pasta

1 kg. di farina 00

20 tuorli

 

Setacciare la farina sulla spianatoia, fare la fontana e versarvi le uova sbattute. Impastare energicamente per una decina di minuti, quindi avvolgere la pasta con la pellicola e farla riposare per circa un'ora. Stenderla con il matterello ottenendo una sfoglia molto sottile oppure, se si utilizza la macchinetta, effettuare l'ultimo passaggio allo spessore più fine. Ritagliare i tagliolini e allargarli su un panno infarinato.

a cura di Michela Becchi

 

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