Sono tante le ricette della cucina italiana per il giorno di Pasqua, una festa profondamente cristiana che anche a tavola si esprime con specialità dolci e salate cariche di significati simbolici. Fra le tante tradizioni della Penisola, una delle più popolari, soprattutto nelle regioni centrali, è quella della colazione.
Pasqua in Italia
Pur essendo ufficialmente uno stato laico, il calendario italiano è costruito attorno alle tante festività cattoliche celebrate in tutto lo Stivale. Dopo il Natale, è la Pasqua il momento più sentito dalle famiglie italiane che, come sempre, scelgono di onorare la festa attorno alla tavola. La domenica, naturalmente, ma anche il lunedì di Pasquetta, una ricorrenza nata in tempi moderni, nel secondo dopoguerra, per prolungare i festeggiamenti. Si comincia la Domenica delle Palme, con la messa e la benedizione dei ramoscelli di ulivo, e si prosegue poi il Venerdì Santo, giorno della Via Crucis, per terminare con il Lunedì dell'Angelo, in ricordo dell'incontro del messaggero con le donne giunte al sepolcro vuoto. Ogni regione ha i suoi riti e le sue tradizioni, che nei piccoli borghi trovano la loro espressione migliore, quella più autentica e dal fascino antico, tra processioni, rievocazioni storiche e cortei.
La tradizione della colazione
Sul fronte gastronomico, sono tante e diverse le ricette tipiche da Nord a Sud Italia, molte delle quali a base di agnello, simbolo della Pasqua, e uova, che rappresentano la nuova vita, la Resurrezione. Fra le tante usanze italiane ce ne è una, nata a Roma, che accomuna gran parte delle regioni del Centro, e che si è ormai diffusa anche in altre parti del Paese: la colazione di Pasqua. Una tavola imbandita colma di prelibatezze, dalle uova sode alla pizza al formaggio, dai salumi alla colomba, senza dimenticare torte rustiche e lievitati. Un banchetto sontuoso, con pietanze ricche e caloriche, pensate per una rottura netta dal digiuno quaresimale, un pasto che comincia al mattino e prosegue poi fino all'ora di pranzo.
Nonostante si tratti di una consuetudine fortemente radicata nella cultura romana, la colazione di Pasqua si compone anche di tante specialità di altre regioni. Raccontarle tutte è impossibile, per cui abbiamo cercato di riunire le più popolari a livello nazionale. In più, un'immancabile ricetta romana: la coratella con i carciofi.
Coratella: la tradizione del quinto quarto a Roma
Un piatto saporito, una delle tante ricette capitoline basate sul quinto quarto, ovvero le interiora degli animali, scarto della macelleria che i romani hanno saputo valorizzare al meglio. In principio furono i “vaccinari” del mattatoio di Testaccio, addetti allo scuoiamento dei bovini, a iniziare a cucinare questi sottoprodotti: il quinto quarto, infatti, era la loro paga, la ricompensa per il duro lavoro svolto in mattatoio. Nascono come piatti di recupero, per non sprecare queste parti meno pregiate, tanti grandi classici della cucina laziale, dalla coda alla vaccinara alla trippa. La coratella è l'insieme delle interiora di abbacchio: sì, perché a Roma non si parla di agnello, ma di abbacchio, “il figlio della pecora ancora lattante o da poco slattato”, come si legge nel vocabolario romanesco di Chiappini. Animale diverso dall'agnello che, invece, è il “figlio della pecora presso a raggiungere un anno di età e già due volte tosato”.
L'agnello, simbolo del sacrificio cristiano
Comunque lo si chiami, l'agnello è fra i simboli della Pasqua più significativi, e non solo in Italia. Il suo legame con la festività è descritto nella Bibbia, in particolare nel racconto della liberazione degli ebrei dalla schiavitù egizia. Prima di mettersi in viaggio verso la Terra Promessa, ogni famiglia di ebrei dovette sacrificare un agnello, segnando con il sangue dell'animale le imposte della propria casa, così che l'Angelo del Signore, giunto nella notte per fare giustizia uccidendo tutti i primogeniti degli egizi, potesse riconoscere le loro abitazioni e risparmiare i figli degli innocenti. “Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco con la testa, le gambe e le viscere. Non ne dovete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco. Ecco in qual modo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. È la pasqua del Signore!”. È l'Agnus Dei, l'agnello di Dio della liturgia che per il Cristianesimo rappresenta il figlio di Gesù Cristo, pronto a sacrificarsi per la redenzione dei peccati dell'umanità.
La torta al formaggio, il lievitato dei monasteri
Fra le torte salate, protagonista assoluta della colazione è la torta (o pizza o crescia) al formaggio, un grande lievitato soffice e saporito tipico dell'Italia centrale, in particolare di Umbria, Marche e Toscana. Parmigiano e pecorino sono i due latticini immancabili nella preparazione, ma sono tantialtri i formaggi che possono essere aggiunti all'impasto, da quelli a pasta morbida ai più stagionati, a seconda del gusto personale e delle tradizioni del territorio in cui viene realizzata la ricetta, quel ricco impasto che si gonfia durante la lavorazione, il termine dialettale crescia – infatti - fa riferimento alla grande crescita dell'impasto durante la lievitazione e la cottura in forno.
È una specialità tipica della tradizione contadina, secondo la leggenda nata nei monasteri medioevali, in particolare in quello di Santa Maria Maddalena di Serra de' Conti, in provincia di Ancona. Fra le prime testimonianze scritte, il ricettario del 1848 “Memorie delle cresce di Pasqua fatte nel 1848”, e poi “Il cuoco delle Marche” del 1864. A raccontare le origini della ricetta, però, è Tommaso Lucchetti ne “La cucina delle monache”, che descrive la tradizione del Venerdì Santo, giorno destinato alla preparazione della crescia, realizzata con 40 uova, a simboleggiare i giorni di Quaresima.
La corallina, il salame di Norcia
Immancabile compagno della torta di Pasqua è la corallina, uno degli insaccati più conosciuti e diffusi in tutta l'Umbria, composto da tre parti di carne magra di prima scelta come la spalla e le rifilature del prosciutto finemente macine, più una parte di grasso tagliato a dadini. Il nome deriva dal corallo budello gentile, ovvero il primo tratto del colon del suino, l'elemento che contiene il salame e che permette all'impasto di carne di conservarsi naturalmente a lungo senza alternarne le qualità organolettiche. Caratteristica di questo salame è la distanza fra i cubetti di grasso, di dimensioni piuttosto grandi, distribuiti in modo da non toccarsi mai tra di loro.
Da sempre un prodotto legato alla Pasqua, in passato veniva realizzato nei laboratori solo in occasione della festa, per essere consumato con la pizza al formaggio e le uova sode. A dare i natali a questa specialità, Norcia, una delle località più note per l'arte norcina (che deve, appunto, il nome alla cittadina umbra), dove da sempre si prepara con sale, pepe macinato e in grani, e aglio macerato nel vino.
Il casatiello, la torta del re
Originario della Campania ma ormai diffuso in tutta la Penisola, un posto d'onore sulla tavola pasquale è riservato al casatiello, tipica torta rustica della cucina napoletana. La sua nascita risale al Seicento, e a darne testimonianza è la favola “La gatta cenerentola” di Giambattista Basile, che descrive la tavola imbandita del re: “E,venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle? Dove li sottestate e le porpette? Dove li maccarune e graviuole? Tanto che nce poteva magnare n’asserceto formato”. Molti, però, ritengono che questo ciambellone salato sia nato ben prima del Diciassettesimo secolo, e che il suo nome faccia riferimento alla parola “casa”, che in dialetto napoletano significa formaggio.
Si tratta, infatti, di una pasta lievitata ripiena di formaggio e salumi e cotta in forno con tanto di uova intere con guscio sulla superficie, una ricetta che riprende tutti gli elementi tipici della primavera – formaggi e uova – e li unisce in una golosa e soffice torta salata. Simile, ma non identico, il tortano, in cui cambia la disposizione delle uova, che invece di essere intere e poste in superficie, sono inserite - sode e a pezzetti - nel ripieno, insieme a formaggi e salame.
La torta Pasqualina e i 33 strati di sfoglia
Altra regione, altra ricetta ormai consumata in ogni dove. E soprattutto, altre uova. Tipica di tutta la Liguria, ma in particolare della zona di Genova, la torta Pasqualina è un grande classico che celebra l'arrivo della primavera. I due ingredienti principali sono le uova e il formaggio, quelli che tradizionalmente in passato erano riservati alle grandi occasioni, e che insieme a biete, ricotta, spinaci ed erbe di campo varie, compongono il ripieno di questo guscio di pasta sottile. Un prodotto che conserva un forte legame con la liturgia: una leggenda popolare narra che in passato le massaie fossero solite sovrapporre ben 33 strati di sfoglia, numero scelto per omaggiare l'età di Cristo. Una torta rustica antica, descritta già nel “Catalogo delli inventori delle cose che si mangiano et si bevano” di Ortensio Lando, un testo del 1548, quando la ricetta era ancora nota con il nome di gattafura, perché le gatte “volentieri le furano et vaghe ne sono”. E anche lo stesso scrittore ne era ghiotto: “A me piacquero più che all'orso il miele”.
Le uova decorate e quelle di cioccolato
Elemento più importanti della Pasqua ci sono le uova, emblema della rinascita, ma anche della protezione, da sempre uno dei doni più utilizzati dai popoli antichi (i persiani, per esempio, li consideravano un segno di benvenuto alla stagione primaverile, celebrata con riti per la fecondità) e nasce proprio da questa abitudine ancestrale la tradizione moderna delle uova dolci. Pegno d'amore tra coppie e trofeo per gli sportivi nel Medioevo, bisogna attendere il Trecento perché le uova, rivestite da una foglia d'oro, diventino un regalo tipico della Pasqua, come si legge nei libri contabili di Edoardo I di Inghilterra. A raffinare l'arte della decorazione, Peter Carl Fabergé, orafo alla corte dei Romanov che, su ordine dello zar Alessandro III di Russia, nel 1887 creò delle uova dipinte con smalti e abbellite con pietre preziose, con un gioiello all'interno, diventate poi oggetto di collezionismo.
Più incerte, invece, le origini delle uova di cioccolato: una delle ipotesi più accreditate vuole che sia stato Luigi XIV il primo a realizzarle, una teoria plausibile considerando che fu proprio lui a concedere a David Chaillou, primo mâitre chocolatier francese, il diritto esclusivo di vendere cioccolato a Parigi; ma c'è chi sostiene che l'idea provenga invece dall'America Latina, paese d'origine della pianta del cacao. Quale sia la loro storia, un dato è certo: le prime uova di cioccolato iniziano a comparire in Francia e Germania attorno all'Ottocento, ma senza la sorpresa interna: le creazioni, infatti, non erano vuote, ma interamente ripiene di cioccolato.
La colomba, il simbolo della pace
Non c'è Pasqua senza uova, ma neanche senza colomba: il lievitato lombardo a base di farina di frumento, zucchero, uova, scorze di agrumi canditi, lievito e sale è la conclusione perfetta per la colazione (o pranzo) della festa. Pace e salvezza: questi i significati religiosi legati alla colomba, ripresi ancora una volta da un racconto biblico, il ritorno della colomba all'arca di Noè con un ramoscello di ulivo, segno della fine del diluvio universale. Diverse le storie all'origine della ricetta: fra le più famose, quella di Re Alboino, che nel 572 salvò la città di Pavia dal saccheggio proprio nel giorno della vigilia di Pasqua, mosso a commozione in seguito all'assaggio di un pane dolce squisito a forma di colomba.
Un'altra leggenda popolare vuole invece che il lievitato sia nato a Legnano, in seguito alla battaglia del 1176 vinta dalla Lega dei comuni lombardi contro Federico Barbarossa: per celebrare la vittoria, il condottiero fece confezionare dei pani speciali in omaggio alle tre colombe che avevano sorvegliato le insegne lombarde. Col tempo, sono nate tante versioni della colomba, arricchite con cioccolato, creme, confetture e frutta secca, ma tutte accomunate dalla stessa singolare forma e dall'impasto base.
La pastiera napoletana: la leggenda della sirena e della Regina che non sorride mai
Nata in Campania ma ormai preparata in tutta Italia, la pastiera napoletana è un dolce sempre presente nel capoluogo durante questi giorni di festa. Un dolce che nasconde tante storie sulla sua origine, a cominciare da quella della sirena Partenope, simbolo della città e protagonista della fontana di Piazza Sannazzaro. Secondo la leggenda, la figura mitologica emergeva ogni primavera dalle acque per offrire canti alle popolazioni locali, che per ringraziarla incaricarono sette tra le più belle ragazze dei villaggi intorno al golfo di consegnarle alcuni doni: grano, farina, ricotta, uova, acqua di fiori d'arancio, zucchero e spezie. La sirena portò le specialità agli dei, che le mescolarono insieme ottenendo una torta.
Un altro racconto narra invece che la pastiera sia nata per caso, dopo che le mogli dei pescatori avevano lasciato durante la notte delle ceste con ricotta, frutta candita, grano, uova e fiori d'arancio come offerta per il Mare, affinché facesse tornare i loro mariti sani e salvi a casa. C'è poi la storia della “Regina che non sorride mai”, soprannome di Maria Teresa d'Austria, moglie del re Ferdinando I di Borbone: goloso di natura, il re convinse la consorte ad assaggiare questa torta di primavera, che riuscì a strapparle il suo primo sorriso. La versione attuale della pastiera, comunque, sembra sia stata messa a punto nella cucina della Chiesa di San Gregorio Armeno. Un dolce che, ancora una volta, racchiude tutti i simboli primaverili per antonomasia, il grano – il ciclo delle rinascite – l'uovo, la nuova vita, e l'acqua di fiori d'arancio, l'annuncio della primavera.
La ricetta: coratella con i carciofi di Max Mariola
a cura di Michela Becchi