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Vale la Pena a Roma. Dopo il birrificio dei detenuti arriva il pub che promuove l'economia carceraria

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Il progetto è nato nel 2014, per iniziativa di Semi di Libertà, che ha coinvolto i detenuti del carcere di Rebibbia in un percorso di formazione e inclusione applicato alla produzione di birra artigianale. Tra alti e bassi, ora l'attività è pronta a crescere: ad aprile inaugura a Roma il Pub&Shop di Vale la Pena. 

Vale la Pena. Un progetto di inclusione

In via Eurialo 22, quartiere San Giovanni a Roma, si lavora per completare l'allestimento di un nuovo pub, un piccolo locale di una cinquantina di metri appena, che presto (entro la fine di aprile) spillerà birre artigianali. Dov'è la notizia? Se è vero che la piazza capitolina ha visto proliferare nell'ultimo lustro birrerie con cucina, beershop e brewpub che hanno recepito il fermento del movimento della craftbeer italiana (in un panorama favorevole sin dagli albori, quando di publican illuminati e mastri birrai, entro i confini nazionali, si parlava ben poco), Vale la Pena non sarà un locale come tanti, ma il coronamento di un progetto di integrazione sociale e professionale nato ormai 4 anni fa. Un progetto nato per iniziativa della onlus Semi di Libertà, e del suo presidente Paolo Strano, che della produzione di birra intuiva le potenzialità formative e aggregative. Così, a settembre 2014, con la benedizione dell'allora ministro dell'Università e della Ricerca Stefania Giannini, nasceva il Birrificio Vale la Pena, ospitato nei locali messi a disposizione dall'Istituto Sereni di Roma, così che anche gli studenti della scuola beneficiassero del progetto. Ma i principali destinatari delle attività di produzione, sin dall'inizio, sono stati i detenuti ammessi al lavoro esterno del carcere di Rebibbia, al fine di contrastare le recidive, pari al 70% tra chi non gode di misure alternative: un dato sensibilmente ridotto (2%) tra chi viene inserito in un percorso produttivo.

 

Perché la birra?

Ma perché proprio la birra? “Nel 2012, quando abbiamo cominciato a ragionare sull'idea, abbiamo intuito le potenzialità di un segmento in crescita, nell'ambito di un settore come quello enogastronomico già particolarmente adatto alle attività di inclusione sociale. E data la difficoltà di ottenere sovvenzioni avevamo bisogno di un prodotto che potesse vendersi bene, così da autofinanziarci”. Ma la scelta, oculata, ha investito anche sull'importanza di comunicare il progetto a un pubblico quanto più trasversale possibile: “La birra è convivialità, mentre ne bevi una possiamo comunicarti i nostri temi. E in questo caso la divulgazione è fondamentale quanto la capacità di abbattere le barriere sociali e i preconcetti che molti si portano dietro”. Così il birrificio dei detenuti iniziava a produrre, sotto la guida di esperti birrai, da Agostino Arioli a Valter Loverier. Una piccola produzione, visti i problemi di spazio e la difficoltà di reperire attrezzature, che comunque ha portato nel tempo a sperimentare molti stili diversi, ad alta e bassa fermentazione. Con vezzi da birrificio artigianale evoluto che portano a spingersi oltre alla pils e alla ipa, proponendo pure un'ampia gamma di birre stagionali – come la Saison d'Hiver Sentite Libbero (i nomi delle etichette sono sempre molto ironici, da Fa er bravo a er fine pena, alla ReciDipa), amaricata con cicorie spontanee da agricoltura sociale - e speciali perfettamente calate nella filosofia del progetto.

 

Progetti e difficoltà, dalla RecuperAle al pub

Le ultime cotte, per esempio, hanno portato a perfezionare la RecuperAle, una pale ale chiara che utilizza il pane raffermo recuperato: “Un progetto di utilizzo degli scarti in cui crediamo molto: alla prima cotta col pane in arrivo dall'Hilton, è seguita quella di inizio 2018, col pane di Eataly. E l'idea di contrastare lo spreco ci piace così tanto che stiamo pensando di mettere in produzione altre varianti di RecuperAle, magari con le verdure in eccedenza”. Tanta voglia di fare dunque - “una città difficile come Roma ti porta alla necessità di attivare tutte le sinapsi” - anche se i problemi in passato non sono mancati: “Finora ci siamo dovuti occupare di sopravvivere, in fieri abbiamo scoperto che alla scuola che ci ospita mancavano dei permessi, quindi la produzione del birrificio è stata bloccata per due anni, fino all'inizio del 2016. Ma per non interrompere l'attività abbiamo affittato a spese nostre impianti esterni, e questo ci ha portato a indebitarci. Solo due settimane fa sono arrivati due nuovi fermentatori, che ci consentiranno di triplicare la produzione, raggiungendo i 400 ettolitri all'anno: comunque numeri irrisori, ma questo ci consentirà di ripartire con una marcia in più”. Ecco dunque, il momento giusto per investire in un locale proprio (finora Vale la Pena è stata in vendita da Eataly, e presso alcuni beershop), chiaramente non intestato alla onlus – nel frattempo diventata impresa sociale, ma comunque impossibilitata a distribuire utili - , ma a una nuova srl che unisce tre soci. Uno, il promotore, è proprio Paolo Strano: “La gestione di un locale nostro ci permetterà di coinvolgere nel progetto un maggior numero di detenuti. Al birrificio ora abbiamo due persone fisse, più il mastro birraio e il responsabile commerciale, e in questi anni siamo riusciti a formare 12 detenuti, che frequentano corsi di 4 mesi e mezzo, oltre a ragazzi autistici e persone in difficoltà in arrivo da altre associazioni con borse lavoro”.

Il pub&shop. Come sarà

Al pub di Vale la Pena, invece, potranno lavorare 5 o 6 persone, tra detenuti in permesso (obbligati a rientrare entro le 23.30) ed ex detenuti già passati nel programma, che consentiranno all'attività di stare aperta fino a tarda notte: “Ho cercato uno spazio che potesse favorire il rientro in carcere, lungo la linea della metropolitana”, conferma Paolo, che non ha trascurato alcun dettaglio. A presiedere ci sarà una figura chioccia, e anche il birraio darà una mano a gestire l'attività: “Il core business sarà legato alla vendita della birra, in bottiglia e alla spina, con 6 vie a disposizione più una pompa. Poco meno di una trentina i posti a sedere. Ma cercheremo pure di fare del locale un negozio di economia carceraria, con i formaggi del caseificio avviato nella sezione del carcere femminile di Rebibbia da Vincenzo Mancino, e il caffè Galeotto, sempre dal carcere romano”. Per la proposta gastronomica, invece, la scelta è vincolata dall'impossibilità di avere una canna fumaria: “Proporremo taglieri e gastronomia fredda o riscaldata”. Con apertura iniziale dalle 16 a tarda notte. Ma già si sogna in grande, a cominciare del festival dell'economia carceraria che Paolo vorrebbe organizzare, la prossima estate, a Roma, negli spazi della Città dell'Altra Economia: “Sarebbe il primo del genere, per ora è solo un'idea, ma sarebbe una bella opportunità per riunire tutte le realtà che lavorano con serietà all'interno delle carceri italiane”. E poi c'è il sogno nel cassetto, riunire la produzione e la vendita in un unico spazio in città, aperto al pubblico: “Un brew pub con ristorazione con un progetto solido alle spalle. Un sogno per ora, ma la nostra rinascita è appena iniziata”.

 

Vale la Pena – Roma – via Eurialo, 22 – da fine aprile 2018 – www.valelapena.it

 

a cura di Livia Montagnoli


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