Nel nuovo numero del mensile del Gambero Rosso abbiamo intervistato Marco Felluga, che dall'alto dei suoi 90 anni e delle 60 vendemmie è considerato da tutti il papà del Collio.
Dall'alto dei suoi 90 anni e delle 60 vendemmie Marco Felluga è il papà del Collio e dei grandi bianchi friulani. Ha speso la vita con passione per promuovere le potenzialità vinicole del suo territorio. E ancora indica una strada: dare il giusto peso al Pinot Bianco, grande espressione di questa terra.
La storia di Marco Felluga
“In tutti questi anni di lavoro mi sono tanto divertito”. E non ha mai smesso di fare del proprio meglio al fine di promuovere la doc Collio, le potenzialità di questo territorio, la longevità dei grandi bianchi italiani. Perché se Bordeaux sta alla Toscana per i grandi rossi, il Friuli (e in particolare il Collio) ben si difende con i suoi bianchi rispetto alla tecnologia enologica tedesca e punta a competere nel mondo con i suoi vini che – in base alla classificazione del Collio datata 1787 – erano ritenuti già preziosi dall’Impero asburgico “in ragione della loro bontà”. Marco Felluga, ai suoi primi 90 anni (celebrati con un libro firmato da Walter Filipputti: “Una storia di intuizioni”), non sente la stanchezza del tempo passato, semmai la nostalgia degli eventi trascorsi troppo velocemente: “In tutti questi anni ho sempre cercato di portare avanti un discorso coerente di territorio, di promozione e identitario. Grazie anche allo spirito consortile è stato possibile unire le forze dei singoli produttori e rafforzare l'immagine stessa del Collio. Ma nel nostro lavoro non si arriva mai, perché ogni anno ci sono nuovi progetti e bisogna cercare di fare sempre vini più buoni”. Così afferma Marco, uomo visionario, arguto, un personaggio di estrema sensibilità. Il rapporto con il vino è nel dna della famiglia Felluga da oltre cent'anni. Giovanni, papà di Marco, inizia a produrre vino in Istria per poi trasferirsi a Grado negli anni Venti per vendere Refosco e Malvasia. Da lì di nuovo in viaggio, la famiglia arriva a Gradisca d'Isonzo, nel Collio, dove scopre un territorio unico, speciale: è la prima zona in Italia a ottenere il riconoscimento della doc e nel 1964 ad avere un Consorzio di Produttori. La famiglia resta unita fino al 1956, anno in cui Marco si separa da suo fratello Livio, classe 1914, mancato nel 2016 a 102 anni (altro patriarca del vino friulano). È nel Collio, terra di confine e crocevia di popoli e culture, che Marco Felluga crea nel 1956 l'azienda che porta il suo nome a Gradisca d’Isonzo e nel 1967 acquista la tenuta Russiz Superiore che si distingue per l’emblema dei principi di Torre Tasso, a Capriva del Friuli. Il simbolo del Leone va sulle etichette dei vini, in ricordo del legame tra la Serenissima e il Collio Goriziano.
Il Collio
“La fascia collinare del Collio si articola in una forma a ferro di cavallo” – dice Alessandro Sandrin, enologo di Marco Felluga dal 2012 – “Comprende le colline della provincia di Gorizia, tra i fiumi Isonzo e Judrio, e va da Dolegna fino a San Mauro. Noi siamo proprio nella parte centrale. Nel sottosuolo, al centro dei vigneti di Russiz Superiore, è stata scoperta un'antica barriera corallina che continua a dare la caratteristica salinità ai vini e a restituire anche tantissimi reperti fossili. Qui il terreno è caratterizzato dalla stratificazione di marna e arenaria che in friulano chiamano ponca, sarebbe il cosiddetto flysch: è un terreno particolare che incamera acqua e garantisce una buona riserva idrica per tutto il periodo della vendemmia”.
Marco lavora alla costruzione prima del Consorzio Collio, poi si adopera a ottenere l'agognata doc che arriva nel 1968; nel 1970 comincia a spingere per trasformare il Collio in una zona d'elezione per i grandi vini bianchi italiani. “Per questo ho cercato di comunicare le mie idee anche con scelte più audaci. Ricordo l'incontro con Oliviero Toscani con cui cercammo di rivoluzionare l’immagine dei vini del Collio Goriziano utilizzando una foto dirompente: una bellissima modella di colore stringeva al seno nudo una bottiglia di vino; sullo sfondo la scritta “l’unico bianco che amo è il bianco più buono del mondo”. Arrivarono le critiche e togliemmo la foto di mezzo. L'azione di immagine finì lì, ma fu un grande dispiacere. Vedevo più produttori disposti a spendere soldi per la propria cantina piuttosto che a comunicare il proprio lavoro. Ma se tu non fai conoscere il tuo prodotto, nessuno saprà quello che fai e che cosa sei”, si infervora Marco.
Marco e Roberto Felluga
Come lavora l'azienda
Sono 60 le vendemmie che ha alle spalle Marco Felluga. Da oltre vent’anni è affiancato dal figlio Roberto: a lui il ruolo di buon custode della tradizione nell’estremo rispetto del territorio e del gusto. “L'azienda non ha una certificazione biologica, ma operiamo come se l'avessimo”– spiega Alessandro – “Utilizziamo ad esempio il letame per fertilizzare il terreno, a riprova che la tradizione agricola ben si sposa con le nuove tecniche enologiche. L'80% dell'intera produzione si concentra sulla valorizzazione dei vitigni bianchi come friulano, ribolla gialla, pinot bianco o sauvignon: tutti perfetti da bere giovani, ma molto interessanti se lasciati affinare per alcuni anni. Sono tutte uve figlie delle selezioni massali realizzate da Marco, che permettono di preservare il patrimonio genetico delle migliori uve autoctone friulane”. E poi c’è Roberto che ha ereditato questo patrimonio vitivinicolo e con esso l’impegno di difenderlo, di non cedere all'omologazione del gusto. Ma anche quello di aggregare più aziende italiane con l'obiettivo di affrontare insieme i mercati esteri con le loro etichette diverse per territorio, storia e cultura, ma sempre attente alla qualità elevata e al rispetto dell’ambiente.
Il Consorzio delle famiglie del Vino e i progetti futuri
“Insieme ad altre 13 aziende abbiamo creato il Consorzio delle famiglie del Vino con l'obiettivo di far emergere la qualità dei nostri prodotti all'estero e raccogliere in modo sinergico la sfida dei mercati internazionali”– sorride Marco – “Le mie aziende esportano attualmente il 40% in 50 paesi nel mondo. Tra i nuovi progetti c’è quello di porre ancora più attenzione all'ambiente: la sostenibilità, il rispetto per la natura e la valorizzazione delle peculiarità del territorio non sono nuovi trend, sono da sempre parte della nostra filosofia di vita. Il mercato oggi non chiede solo vino buono, ma un prodotto che sia in armonia con l'ambiente. È per questo che entrambe le aziende si trovano a essere capogruppo di un progetto legato alla viticoltura sostenibile che ha tra gli obiettivi quello di diffondere e applicare i principi della sostenibilità e rafforzare l'immagine del settore vitivinicolo friulano”. E se Marco rappresenta la storia e Roberto il presente, sarà Ilaria, la figlia di Roberto, a traghettare questo impero verso il futuro. Anche se Marco di cose da dire ne ha ancora un certo numero. “Mi è rimasto un unico rimpianto, un progetto che spero gli altri porteranno in avanti: far conoscere meglio le grandi potenzialità di uno dei vitigni autoctoni del Collio, il pinot bianco. Fornisce un vino prezioso e profumato che ancora non ha trovato il posto che merita sul mercato, soffocato dal muro mediatico e dalla moda internazionale del pinot grigio. Sarebbe bene che i produttori si impegnino per fargli avere il giusto spazio, la visibilità che merita”. A testimoniarlo, nel numero di febbraio del Gambero Rosso, c'è una verticale di sei annate di Pinot Bianco di Russiz Superiore.
a cura di Stefania Annese
foto di Tiziano Scaffai
QUESTO È NULLA...
Nel numero di febbraio del Gambero Rosso, un'edizione tutta nuova in questi giorni in edicola, trovate un servizio di 8 pagine dedicato al Collio,che include una verticale di sei annate di Pinot Bianco di Russiz Superiore, gli indirizzi preferiti, con mappa inclusa, di Marco Felluga (Un'anticipazione? L'Argine a Vencò c'è!) e un bellissimo racconto di Nicola Ravera Rafele.
Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store
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