La presenza mafiosa nella ristorazione è sempre più consistente. Dal riciclo allo strozzinaggio, sono molti i modi in cui la malavita organizzata entra nella ristorazione. Ma lo Stato e la società civile che fanno? Se ne parla a Milano, in un dibattito aperto, il 22 febbraio.
Secondo un rapporto della Coldiretti datato 2017, in Italia le mafie gestiscono almeno 5mila ristoranti. Ma nel ricorrere all’avverbio “almeno” si denuncia la portata incalcolabile di un fenomeno in fluviale espansione. Fonti non ufficiali descrivono un quadro più crudamente realistico. Nelle grandi città, un ristorante su cinque avrebbe rapporti più o meno stretti, più o meno volontari con la malavita organizzata. Un censimento preciso è impossibile, perché non esiste soltanto la formula della gestione diretta. I meccanismi di reclutamento sono sottili, disparati e complessi. Compongono un ampio spettro che va dallo strozzinaggio, a graduali infiltrazioni con mediazione occulta di qualche prestanome. L’unica trama comune è il riciclaggio del denaro accumulato con attività illegali.
Epidemia di nuove aperture
Se focalizziamo l’obiettivo sulle nuove aperture, la situazione mostra numeri ancor più drammatici. L’incidenza delle organizzazioni mafiose lieviterebbe a due insegne su cinque.
È una percentuale che scioglie in larga parte gli interrogativi sulla bulimia di pubblici esercizi legati alla ristorazione. Un virus che sta avvelenando il terreno commerciale nei principali centri urbani e nelle località di maggior richiamo turistico. Hamburgerie, paninoteche, polpetterie, trattorie, raviolerie, pizzerie, friggitorie, botteghe del ramen, templi del sushi, cattedrali dell’alta cucina. L’offerta surclassa la domanda, alla faccia di qualsiasi logica di mercato.
Dal mio osservatorio professionale, assisto con sgomento questa delirante proliferazione sulla mappa di Milano, come se non avessimo altro impegno che abboffarci di cibo a tutte le ore del giorno, masticando conti correnti già azzannati dalla crisi.
Il fenomeno, nelle sue macroscopiche distorsioni, è sfacciatamente evidente. Ma, sulla carta e sul web, viene limitato a sporadiche evocazioni. Il giornalismo gastronomico, che è coinvolto in prima persona, lo rimuove addirittura dalla coscienza come una colpa da celare per non turbare l’equilibrio di un settore in ascesa (soltanto) apparente. Salvo eccezioni, con acritica superficialità, si plaude ogni nuova apertura come se fosse sempre una lieta novella. Anche quando l’ombra della mafia è un sospetto incombente.
Vero che non possiamo sostituirci a magistrati e tribunali. Il nostro lavoro, tuttavia, comporta delle assunzioni di responsabilità e imporrebbe non solo cautela, ma una analisi critica delle informazioni che offriamo all’attenzione dei lettori.
Il dibattito
Allo scopo di accendere una luce su questo panorama oscuro, ho messo in piedi, assieme al collega Aldo Palaoro, un dibattito che avrà luogo giovedì 22 febbraio (ore 19) negli spazi della Libreria Open di viale Monte Nero 6, a Milano. L’incontro rientra nel programma di Doof (il contrario di food), contenitore di idee e di iniziative avviato un anno fa con Samanta Cornaviera e con lo stesso Palaoro.
Per il 22, abbiamo scelto un titolo esplicito ed essenziale: "Mafie e ristorazione".
Come reagisce lo Stato? A che punto sono le indagini? Qual è il quadro generale? Come vivono questa alterazione commerciale gli imprenditori onesti? E quale atteggiamento devono assumere critica gastronomica e giornalismo di settore?
Per tentare di rispondere a queste domande, abbiamo composto una tribuna di esperti che ringrazio sentitamente.
Alessandra Dolci (Coordinatore della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Milano), Alessandro Galimberti (Presidente dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia), David Gentili (Presidente della Commissione Antimafia del Comune di Milano), Lino Enrico Stoppani (Presidente della Fipe-Confcommercio). Arbitro dell’incontro, Cesare Giuzzi firma autorevole del Corriere della sera.
Mafie e ristorazione - Libreria Open – Milano - viale Monte Nero, 6 - ingresso è libero
a cura di Valerio M. Visintin