In una scuola di Chelsea, un attore di Broadway mette in scena insolite rappresentazioni teatrali, che uniscono narrazione e cucina. L'obiettivo è quello di raccontare storie di immigrazione attraverso i piatti di chef che ce l'hanno fatta. E far capire ai commensali che l'estraneo non è un nemico. Ma protagonista è soprattutto la buona cucina d'integrazione.
Il teatro del cibo
Che il cibo sia condivisione e spettacolo, a patto di enfatizzarne la componente esperienziale, è un concetto caldeggiato (a volte abusato) da molti grandi chef. Si pensi alla proposta esclusiva e pirotecnica di Paul Pairet a Shangai, un solo tavolo per portare in scena la rappresentazione multisensoriale di Ultraviolet; o al progetto ideato qualche anno fa dai fratelli Roca, a Barcellona, sul modello dell'opera d'arte totale di Wagner. E, per altri versi, alle messe in scena di Grant Achatz per Next, a Chicago, con un format nato per raccontare a tavola la storia di tempi andati o chef emblematici, sottolineando la componente narrativa del cibo in un'atmosfera di straniamento dal contesto reale. Ma a New York, da qualche tempo, c'è chi davvero ha pensato di trasformare l'esperienza di una tavola conviviale in un momento di riflessione e intrattenimento che col teatro ha molto a che spartire. E anzi, proprio nella dimensione teatrale traghetta piatti d'autore e rituali da ristorante di livello. Con la regia, è il caso di dirlo, di chi del teatro ha fatto un mestiere, l'attore di Broadway Adam Kantor, e la complicità di Brian Bordainick, che in città organizza eventi gastronomici sotto l'etichetta Dinner Lab. Story Course, dunque, è un progetto che concilia la necessità di comunicare un messaggio sociale con il desiderio di far riscoprire il valore della vicinanza, in un momento storico che sempre di più ci porta a vedere l'estraneo come un nemico.
Story Course. Storie di immigrazione in cucina
E infatti, all'idea iniziale di rappresentare banchetti surreali ispirati al libro di ricette di Salvador Dalì si è presto sostituito il canovaccio di Story Course, 6 portate e altrettanti atti teatrali per raccontare la storia gastronomica degli immigrati in America, che più di ogni altra destinazione nel mondo ha tratto beneficio dal suo melting pot culturale, anche in cucina. La prima produzione, How do you Hug a Tiger?, sarà replicata per tutto il mese di febbraio, e ruota sull'esperienza della chef coreana Jae Jung (un passato a Le Bernardin), immigrata negli Stati Uniti nove anni fa. In tavola si alternano così piatti della tradizione coreana che si caricano di ricordi d'infanzia e suggestioni catturate nel Paese d'adozione, a cominciare dal primo approccio col cibo, sul tetto di casa, quando la mamma preparava la sua salsa speciale piccante, servita ai commensali con 7 assaggi emblematici della cucina coreana. Ma c'è anche il pollo fritto, che avvicina un caposaldo della cucina americana del Sud (Jung si è formata a New Orleans) alla ricetta tradizionale coreana (ogni riferimento a David Chang non è puramente casuale). In un crescendo di influenze della moderna cucina americana, a testimoniare il progressivo processo di integrazione della chef.
Il valore della scoperta
L'atmosfera è quella di un happening corale, che coinvolge in prima persona i commensali, chiamati a propria volta a leggere dal copione parte della storia della protagonista. E così, con l'ausilio degli attori in sala, si conversa e ci si conosce l'un l'altro, mentre il cibo svela nuovi tasselli di una cultura sconosciuta. Ma in tavola arriva anche la capacità di adattarsi ai costumi dell'altro, e di superare le difficoltà: “A New York siamo costantemente a contatto con culture gastronomiche diverse dalla nostra, 'consumiamo' storie di cibo quotidianamente, senza avere reale cognizione del contesto emotivo e sociale in cui sono maturate”, spiega Kantor all'inizio dello “spettacolo”. Alla storia di Jung, seguirà, nel mese di marzo, quella di uno chef iraniano emigrato in America con i suoi genitori in circostanze drammatiche, dopo la caduta dello Scià di Persia. E così si proseguirà nei mesi a seguire, se l'iniziativa – venduta a 175 dollari per commensale - avrà successo. Molte date sono già sold out.
a cura di Livia Montagnoli