Tante e sorprendenti le somiglianze culturali con la nostra epoca di celebrity chef nel periodo che, dal Re Sole in poi, rese la cucina centrale nella cultura francese e da qui amata e imitata nel resto del mondo.
Francia e cucina. Due argomenti molto sviscerati e intimamente correlati nel nostro immaginario, certo. Non prendiamo l'argomento, però, per declinarli nel mondo odierno fatto di guide, classifiche, bistronomie e chef. Eccoci di colpo calati nel Seicento e nel Settecento, l'epoca del Re Sole e del suo Beneamato successore, quei Luigi XIV e XV che sdoganarono la cucina, rendendola moda, cultura, scandalo e argomento di conversazione.
L'autrice
Francesca Sgorbati Bosi, traduttrice e saggista, appassionata del secolo dei lumi, racconta in questo delizioso volume - edito da Sellerio - il momento storico in cui la gastronomia diventò chiave dell'identità nazionale francese, attraverso la figura del cuoco, che si fece centrale nella società nobiliare e borghese. Senza risparmiarsi in gustose curiosità su eventi noti (ad esempio si scende nello specifico sugli accadimenti e le motivazioni che precedettero il suicidio di un maître famosissimo al tempo come Vatel) o nel riportare i ricettari dell'epoca nel dettaglio, tra jus, ragoût, potage e bouillon. Quest'ultimo, insieme ad altre basi, diventò fondamentale nel processo di razionalizzazione delle preparazioni: il rigore (e il conseguente successo) della struttura “francese” in cucina passò anche e soprattutto dall'ottimizzazione dei processi, che, suddivisi e categorizzati in modo da poter essere gestiti a piacimento, permettevano di variare i piatti con minore dispendio di tempo e risorse.
Le stagioni della cucina francese
A fine '600 si abbandonò la sovrabbondanza di spezie, aceto e di zucchero nei piatti, a favore di erbe aromatiche, frutta e verdura (prima ingiustamente colpevolizzate per antiche credenze mediche). Nella teoria di una “nuova cucina” (si, proprio nouvelle cuisine) si accorciavano i tempi di cottura, si criticavano le salse troppo coprenti, si esortava a rispettare il gusto dei cibi (soprattutto ne Les délices de la campagne di Nicolas de Bonnefons, 1654). Certo, nonostante molti avanzamenti concettuali e l'auspicio di parecchi cuochi a modernizzare i piatti con un avanzamento verso l'essenzialità e la semplicità dei sapori, le preparazioni si costruivano sempre con un numero eccessivo (ai nostri occhi) di ingredienti che spesso tra loro non c'entravano nulla.
Basta un'occhiata a testi sacri come Le Cuisinier françois (1651) di François Pierre de la Varenne o Le Cuisinier royal et bourgeois (1705) di François Massialot per rendersene conto. Da quest'ultimo, ad esempio, prendiamo la lapalissiana ricetta del potage di cappone alle ostriche: “Dopo aver disossato il cappone, conservatene la pelle e farcitela con un trito di carne di cappone, grasso di bue o di midollo, lardo, erbe aromatiche, sale, pepe, noce moscata, rossi d'uovo. Chiudete la pelle e mettetela a cuocere nel brodo. Passate in padella ostriche, champignon e farina, poi aggiungete il tutto al cappone quando sarà quasi cotto. Servite con succo di limone e champignon”.
I cambiamenti comunque ci furono e furono molto sensibili nella pratica della tavola, traghettando i pasti verso l'età moderna. Il dolce venne spostato alla fine del pasto, negli entremets che precedevano l'ultima portata, cioè il dessert di frutta. Si abbandonò l'uso di bestie scenografiche, come cigni, gru e pavoni, a favore della carne degli animali da allevamento, dal pollame al maiale.
Dalla cucina galenica a quella edonistica
Argomentando con dovizia di particolari e facendo ricorso a numerose fonti bibliografiche, la Sgorbati Bosi rende innanzitutto evidente una cesura fondamentale accaduta in quel periodo: tra Medioevo e Rinascimento ancora a tavola ci si basava sugli insegnamenti medici di Galeno (e quindi di Ippocrate e Empedocle) e sulla divisione dei cibi in caldi/freddi/umidi/secchi, categorizzazione per cui, ad esempio, la frutta fresca era considerata il male mentre spezie e salse erano viste come medicamenti. Il salto al Seicento del Re Sole vide lo sdoganarsi del cibo da vincoli religiosi, culturali e veterosalutistici: si mangiava per gusto e per piacere, oltre alle sontuose prelibatezze dei reali finalmente si prendeva in considerazione anche l'organizzazione della tavola borghese e nasceva la figura del gourmet. Nell'atmosfera edonistica settecentesca l'intenditore di cibo e vino diventò di moda nel bel mondo: i commediografi prendevano spesso di mira i costeau, gli esperti che al solo assaggio erano in grado di riconoscere da che costone (costeau, appunto) di una collina arrivasse il vino di un certo terroir.
La letteratura enogastronomica
I commensali dovevano essere fini degustatori per riconoscere le qualità dei cuochi e molti nobili esibivano come vanto in società le proprie capacità culinarie. Con una clientela di tale spessore ed esigenze, i prodotti rinomati diventarono oggetto del desiderio, dai polli di Bresse al burro di Isigny, contribuendo a cementare nell'immaginario europeo la grandezza francese tout court. Nel '600 e nel '700 tra i profondi cambiamenti che modernizzarono la tavola ci fu sicuramente la proliferazione della letteratura enogastronomica. I testi, concentrati prima sull'orgoglio nazionalistico e poi sull'idea di elaborare moderni manuali scientifici, parlavano già nei titoli: Le Cuisinier François, Le Jardinier François, Le PatissierFrançois, Le Cuisinier Gascon, Le Cuisinier Moderne, Nouveau traité de la cuisine, La Nouvelle Cuisine, La Science du maître d'hôtel cuisinier,avec des observations sur la connaissance & propriétésdes alimens.
La nascita dei ristoranti
La regia dei pranzi reali restava sempre enorme e complicata, i servizi e i menu erano infiniti e costituivano vere e proprie occasioni pubbliche, in cui i re facevano sfoggio della sontuosità di corte. La strutturazione e la ricchezza dei pasti era talmente radicata nella mentalità dell'epoca che pure il 12 agosto del 1792 (due giorni dopo la presa delle Tuileries e la deposizione di Luigi XVI) è documentato che alla famiglia reale in ostaggio dell'Assemblea Legislativa fu servito un pranzo composto da 2 potages, 8 entrées, 4 arrosti, 8 entremets. Sul mangiare fuori proprio il regno di Luigi XVI determinò il cambiamento definitivo (e non la Rivoluzione Francese, come spesso si pensa): i traiteurs che offrivano consommè ebouillon restaurant (da cui la parola ristorante) si diffusero nel costume, cominciarono a farsi pubblicità sulle riviste, inserirono i tavoli separati, ebbero il permesso di stare aperti fino a sera tardi. La Rivoluzione non fece altro che diffondere a macchia d'olio le insegne, perché i tanti cuochi, rimasti disoccupati per la scomparsa dell'aristocrazia, aprirono attività private: si pensi che se ne contavano già centinaia nell'Almanach des gourmand del raffinato Grimod de la Reynière (1805), la prima guida gastronomica con recensioni di ristoranti. Ma questa è tutta un'altra storia.
A tavola coi re. La cucina ai tempi di Luigi XIV e Luigi XV - Francesca Sgorbati Bosi - Sellerio Editore Palermo - 464 pp. - 20€
a cura di Pina Sozio