Quarta edizione per il congresso regionale Meet in Cucina, una giornata che chiama a raccolta chef, artigiani e interpreti della tradizione abruzzese, per presentare e promuovere i punti di forza della gastronomia locale.
La manifestazione
Organizzare un festival dedicato alla gastronomia regionale significa ripercorre usanze e tradizioni di luoghi dall'animo antico, genti e comunità, andando alla ricerca di quell'identità complessa e sfaccettata che caratterizza la cultura di ogni popolo. Riuscire a portare avanti un lavoro simile per 4 anni, portando alla luce sempre temi originali e personaggi di spicco che stanno dando una nuova luce alla cucina locale, è sinonimo di crescita. Per la regione, per il panorama ristorativo, quello artigianale ma anche per i consumatori. Per questo Meet in Cucina rappresenta un'occasione unica di confronto per fare il punto della situazione e chiedersi, anno dopo anno: “Dove sta andando la cucina abruzzese?”. Dopo l'edizione marchigiana di qualche mese fa, il congresso gastronomico organizzato dal giornalista Massimo Di Cintio è tornato di nuovo in terra abruzzese, alla Camera di Commercio di Chieti, dove ieri, 29 gennaio 2018, gli addetti ai lavori si sono dati il cambio sul palcoscenico per raccontare il loro rapporto con l'Abruzzo. Storie di famiglie, di cambi generazionali, ma sopratutto di tanti ritorni alla terra, di chef-contadini, di giovani che scelgono di scommettere di nuovo sulla loro regione.
Il ritorno dei giovani: dall'Australia alla Costa dei Trabocchi
Il dovuto omaggio a Gualtiero Marchesi e Paul Bocuse, padri dell'alta cucina da poco scomparsi che hanno segnato profondamente le sorti della ristorazione internazionale, il ringraziamento alla stampa, sempre più interessata e attenta alla regione Abruzzo, e poi subito parola agli chef. La quarta edizione del congresso si apre con la storia di Matteo Crisanti del ristorante Zì Albina di Vasto, sulla splendida Costa dei Trabocchi, “un'insegna storica che ho scelto di rilevare dopo tante esperienze all'estero, mantenendo invariato il nome ma rinnovando la cucina”. La scuola alberghiera, i primi tentativi ai fornelli a Barcellona, la stagione estiva a Porto Cervo, e poi Dublino, Londra, ancora l'Italia e infine l'Australia, dove conosce la sua fidanzata Ilaria, attuale sommelier del ristorante, con la quale intraprende un lungo viaggio (anche) gastronomico da Sydney a Perth: il percorso del giovane chef è costellato di momenti significativi: stage, tirocini e prove difficili. Dopo la Terra dei Canguri, poi, il ritorno a casa, nella sua Vasto, dove riporta in auge quel vecchio locale creando una sorta di trattoria contemporanea, un format che si sta sempre più imponendo in tutta la Penisola. Lì prepara il brodetto alla vastese “alla mia maniera”, un caposaldo della cucina della costa della provincia di Chieti, una zona ricca di eccellenze sconosciute, ma anche fritti di mare, zuppe e primi a base del pescato del giorno.
Rivisitare i grandi classici: l'interpretazione dei cuochi moderni
Da Giulianova, nella provincia di Teramo, arriva invece il racconto di Enzo De Pasquale, giovane cuoco appassionato con un vissuto simile a quello di Matteo. “I miei genitori non volevano che lavorassi in cucina, tanto che ho dovuto falsificare la firma per l'iscrizione alla scuola alberghiera”. Quella piccola bugia adolescenziale, col tempo, gli ha portato fortuna: “Negli anni, poi, la mia famiglia si è rassegnata, anzi, è stata felice della mia scelta. Infatti, grazie ai miei genitori, oggi possiedo un piccolo orto dal quale ricavo il 70% delle verdure utilizzate nei miei piatti”. Serviti al Bistrot 900, dove mescola ingredienti e tecniche della tradizione con prodotti e tendenze acquisite in Florida, dove ha lavorato al fianco dello chef Santin, “che mi ha insegnato a vivere la cucina, a stare dietro ai fornelli, ma soprattutto mi ha trasmesso il rispetto per il lavoro e l'importanza dell'armonia fra tutti i membri di una brigata”. Oggi, Enzo riprende i grandi classici della tradizione, li destruttura, reinventa e interpreta con gusto e personalità. Sul palco del Meet, si dedica alla preparazione del pollo con le patate, in un piatto familiare, insolito per un ristorante, che presenta con un nome evocativo, “Pensa a un pollo con le patate del Fucino”. Assaggiando la ricetta dello chef si possono percepire uno a uno tutti gli elementi tipici del piatto della domenica, ma con qualcosa di diverso.
La crescita dei consumatori
Alla vista, però, il pollo con patate si presenta in maniera ben diversa: pelle di pollo cotta a 85°C per 12 ore con aglio, alloro e rosmarino e poi ripassata alla griglia, con spuma di patate del Fucino, “una delle migliori varietà abruzzesi”, frullata con acqua e rosmarino, e chips di buccia di patate. Tutto servito con un brodo di pollo arrosto. “Un cliente una volta è rimasto un po' deluso dal piatto, perché non era come se lo aspettava. Devo dire, però, che molti consumatori ora sono più aperti verso un altro concetto di cucina, e riescono ad apprezzare anche ricette meno consuete”. Una duplice crescita, dunque, quella che sta avvenendo da qualche anno in Abruzzo, che comprende sia i consumatori che i professionisti: aumentano gli indirizzi di qualità, il numero di cuochi intraprendenti e innovativi si fa sempre più elevato, e di pari passo si sviluppa una consapevolezza e un curiosità sempre più forte da parte della clientela.
Generazioni a confronto: la rivincita dell'arrosticino
Ci sono i giovani che mettono in discussione e ripensano le basi della cucina tradizionale, ma ci sono anche casi in cui vecchia e nuova generazione decidono di lavorare fianco a fianco, in uno scambio continuo, spesso difficile, un confronto fatto anche di contrasti e scontri, ma mai vano. Esempio perfetto di questo lavoro a quattro mani sono Marcello e Mattia Spadone, padre e figlio in forza a La Bandiera di Civitella Casanova, un modello di evoluzione all'interno di una strada familiare. “Spesso guardo il lavoro di Mattia con curiosità, e, lo ammetto, anche qualche perplessità. Ma insieme siamo una bella squadra, ci completiamo”, racconta papà Marcello. Lo dimostra il piatto che i due preparano insieme, l'Arrosti-Gin, una reinterpretazione del cibo da strada locale per antonomasia, l'arrosticino. “Civitella Casanova è la patria dell'arrosticino, solitamente preparato con coscia e filetto della pecora. Con le parti rimanenti, si prepara la callara, una sorta di spezzatino al sugo”. La ricetta degli Spadone è un fagottino di pancia di pecora con verza affumicata, lardellato con guanciale. A conferire una nota aromatica persistente, il ginepro fermentato, “bacche fresche lasciate in salamoia con acqua e sale per 10 giorni, a cui poi vengono aggiunti miele e spezie”, spiega Mattia. “L'arrosticino rappresenta una parte importante della nostra tradizione”, aggiunge Marcello. “Per molto tempo è stato considerato un piatto povero, da trattoria di basso livello. Oggi, finalmente, stiamo assistendo a una rivalutazione di questa specialità, e non potrei esserne più felice”. A completare il piatto, pane con pomodoro - “omaggio alla cucina catalana, alla quale sono molto legato”, racconta Mattia, che si è fatto le ossa in Spagna - una riduzione di latte di pecora e un'insalata di erbette al profumo di gin.
Il legame con le radici e la figura dello chef-contadino
Si gioca con gli ingredienti, con le forme, le consistenze e gli abbinamenti, ma senza mai dimenticare le proprie radici, la cucina della nonna, quei sapori schietti e autentici che caratterizzano la cucina abruzzese in Italia e nel mondo, quell'essenzialità e purezza di gusto che anche i più grandi chef, Niko Romito in primis, hanno scelto di adottare come mantra. A Montepagano, una delle più antiche frazioni di Roseto degli Abruzzi, nella zona del teramano, c'è D.one dove lo chef Davide Pezzuto crea piatti gustosi ispirandosi alla natura: “Mi definisco un cuoco di campagna. Non sono un contadino, anzi: nel mio orto, sono i tecnici professionisti a occuparsi della cura delle piante, io sono solo un manovale. Amo la stagionalità, seguo il ritmo della terra, e dalle verdure traggo gli stimoli per i miei piatti”. Come l'insalata dell'orto, ricetta vegan nata da un'intuizione semplice: “Stavo andando a comprare dei contenitori di polistirolo per le piante, e all'improvviso l'immagine delle piccole insalate allineate mi ha fatto venire un'idea”. Nel suo piatto, ricreato in una ciotola, ci sono diversi strati: “La parte delle radici è rappresentata da tre creme, cavolo rapa, rapa rossa e sedano rapa, mentre il terriccio da un fris-cous, ovvero una frisa integrale sbriciolata. lascito delle mie origini pugliesi, con funghi essiccati, olio extravergine di oliva, e aceto”. È poi il momento dei cuori di lattuga, conditi con un filo d'extravergine, “un blend di produzione propria”, e pepe di sichuan. “Infine, lascio ai clienti la possibilità di aggiungere un fermentato di carota viola, 'innaffiando' direttamente il “vaso””.
La tradizione della carne di pecora
Davide, però, non fa solo piatti vegani: “Sono molto legato alla carne di pecora, che acquisto intera da Gregorio Rotolo del bioagriturismo Valle Scannese. Mi piace cuocerla in una nuova griglia che ho comprato, con affumicatore compreso, un gioiellino unico che mi permette di avere una cottura perfetta”. Un pezzo di cosciotto, uno di filetto, uno di lombatina e uno di pancia, tutto cotto nella sua nuova macchina: “Lo scrittore Lee Child una volta ha detto che la differenza fra bambini e adulti sia nel costo dei loro giocattoli. Questo perché non ha mai conosciuto gli chef!”. E fra uno scherzo e una risata del pubblico, con il suo spirito gioviale Davide finisce il suo piatto adagiando la carne su una tavoletta di liquirizia di Atri, “specialità abruzzese spesso dimenticata”.
Niko Romito: “Il mio Abruzzo dal 2000 a oggi”
Non poteva mancare, infine, l'intervento più atteso, da sempre momento clou del festival: a fare il punto sulla cucina abruzzese di oggi è Niko Romito, lo chef che meglio di tutti è riuscito a cogliere natura e fondamenta della tradizione, farli propri e riproporli nel piatto in maniera unica, con l'intelligenza e la sensibilità dei grandi artisti, la manualità e la tecnica di un professionista e il puntiglio dei veri ricercatori. “Quando ho portato per la prima volta la mia idea di purezza in tavola, con l'Assoluto di Cipolle nel 2009, la strada per una cucina di qualità in Abruzzo era ancora lunga e tortuosa. C'erano tante insegne di tradizione, osterie discrete, ma poco lavoro di ricerca”. È il racconto di chi l'Abruzzo da mangiare lo ha visto nascere e svilupparsi, entrare in crisi e riprendersi, rialzarsi con la tenacia e la risolutezza tipica della gente del luogo. E prosegue: “Penso all'Abruzzo di 15 anni fa e non posso non emozionarmi vedendo i tanti progressi fatti. Sono figlio di pasticceri, e fin dall'inizio il mio interesse per la lievitazione è stato evidente. Quando servivo il pane di solina, saragolla e altri grani antichi locali, i primi tempi dovevo sempre spiegare bene di cosa si trattasse. Oggi, invece, tanti consumatori sono più preparati e non si stupiscono più”.
Il pane: la memoria sensoriale e la ricerca dei grani antichi
Un prodotto, il pane, la cui storia è indissolubilmente legata a doppio filo con quella dell'uomo, “un ingrediente che ha una sua sacralità, un valore inestimabile. Ricordo ancora che, ogni volta che cadeva accidentalmente in terra, mio nonno raccoglieva la pagnotta e la baciava”. Una memoria forte, palpabile in ogni parola: “Uno dei profumi che più mi legano all'infanzia è quello della farina mescolata con acqua e lievito. I miei genitori preparavo dolci e lieviti, e ricordo perfettamente l'odore intenso e pungente del grano”. Comincia così la ricerca per i cereali autoctoni, i grani antichi del territorio abruzzese che da anni lo chef si impegna a rimettere in pista. Nel suo ristorante Reale, ma anche nei punti Spazio, nei progetti della Niko Romito Formazione. Impossibile, a questo punto, non citare l'ultima fatica dello chef-imprenditore, l'evoluzione del progetto nato a Rivisondoli nel 2013, il nuovo Spazio Roma, con l'esordio di Spazio Pane e Caffè in piazza Verdi. “Uno dei primi appunti che mi sono stati fatti riguardava la colazione. I romani sono abituati a cappuccino e cornetto, per cui in molti credevano che l'idea del pane al mattino non avrebbe funzionato”, racconta sorridendo. “La primissima cliente è stata una signora, che mi ha chiesto proprio la brioche. Mi è venuto da ridere ma, a parte questo episodio, l'offerta sembra andare bene”.
Chef-imprenditori: sì alla (buona) standardizzazione
Il segreto del suo pane? “Io lo chiamo “patto tra crosta e mollica”. Il taglio della fetta è importante, e il rapporto fra i due elementi deve essere proporzionato. In realtà anche questa caratteristica nel tempo è stata motivo di discussione”. In molti, infatti, prediligono un pane con più mollica, “che è sicuramente buono, ma non goloso. E poi è più pesante. Il mio pane subisce 36 ore di fermentazione e presenta almeno un 80% di idratazione. Questo perché le farine di solina e saragolla hanno un basso contenuto di glutine, che rende dunque difficile lo sviluppo della maglia glutinica, in grado di assorbire acqua. In base a questi elementi, il peso specifico del pane cambia”. Nel nuovo Spazio di Roma, l'obiettivo è preparare circa 1000 chilogrammi di pane al giorno. Numeri significativi, da vera impresa: “Vorrei, infine, spezzare una lancia a favore dell'imprenditoria nella ristorazione. Sono stato accusato di non passare più tempo in cucina, da quando gestisco più locali: la verità è che la rete di ristoranti permette anche al Reale, e di conseguenza all'alta cucina, abruzzese ma più in generale italiana, di essere conosciuta”. Oltre all'importante progetto di Intelligenza Nutrizionale negli ospedali. Mantenere eccellente la qualità dell'offerta è dunque possibile anche se si sceglie di ricorrere a una (buona) standardizzazione. Come? “Con l'economia di scala, gli accordi con i produttori. Standardizzazione non è una parola negativa. Io ho studiato il sistema dei fast food, delle grande industrie, e l'ho applicato al mio lavoro, mantenendo integra la mia filosofia di alta qualità. L'imprenditoria fa circolare tecnici, tecnologi, esperti, conoscenze”. E se questo non bastasse: “Pensiamo a Ducasse, Robuchon... Loro hanno standardizzato l'alta cucina senza snaturarla. Il mio obiettivo? Riuscire a replicare la loro impresa con la tradizione italiana”.
a cura di Michela Becchi