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È morto Bruno Giacosa, grande produttore di Langa. Il ricordo della redazione vino

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Strenuo difensore della classicità dei vini delle Langhe, Bruno Giacosa è stato l'emblema della viticoltura piemontese nel mondo, proponendosi con determinazione sul mercato internazionale sin dagli anni Sessanta.  

Se n’è andato a 88 anni, dopo una lunga malattia, Bruno Giacosa, grande tra i grandi di Langa. I suoi vini, nati sul finire degli anni ’50 del secolo scorso, sono cresciuti di fama in tutto il mondo anno dopo anno e vendemmia dopo vendemmia, dimostrando sempre che la qualità di una bottiglia nasce prima da ottime uve e poi da un’ottima vinificazione. 

Gli anni Sessanta

Forte di un successo immediatamente decretatogli dal mercato locale, con i ristoranti delle Langhe che propongono con fiducia le sue diverse etichette a un turismo enologico che si sviluppa costantemente, Bruno Giacosa decide già negli anni ’60 di proporsi con determinazione sul mercato internazionale, in particolare quello tedesco e quello statunitense. E lo fa con uno stile unico, proprio di una persona che vuole basare il successo solo ed esclusivamente sul valore dei propri vini, senza infingimenti. Quindi niente viaggi, niente cene offerte ai vip, niente soggiorni premio per chi lo vuole intervistare, niente regali per farsi ricordare: sempre e solo un assaggio dei propri vini nella propria cantina. Infatti, Bruno Giacosa è oggi riconosciuto come ambasciatore del vino italiano di qualità a livello mondiale ma è anche il viso meno noto ai ristoratori californiani o berlinesi, che conoscono invece a menadito tutte le sue etichette.

 

Il Barolo e il Barbaresco secondo Giacosa

Bruno Giacosa è stato anche giustamente conosciuto come uno strenuo difensore della classicità dei vini delle Langhe, essendosi sempre rifiutato di operare interventi tecnologici o enologici che avrebbero potuto snaturare la purezza, la tipicità e l’integrità dei suoi prodotti. In questo senso va il rifiuto delle piccole botti di legno francese, così come la continua difesa della necessità di realizzare il Barolo e il Barbaresco esclusivamente con le uve nebbiolo, mentre si erano spesso levate voci che proponevano di consentire l’aggiunta in questi vini di altri vitigni cosiddetti migliorativi. E a queste scelte si aggiunge, di conseguenza, il rifiuto più netto di impiantare uve di origine francese nei propri vigneti. Il che non vuole assolutamente dire che Bruno Giacosa non abbia continuamente fatto ricerca e sperimentazione per il costante miglioramento della propria produzione: il rifiuto dell’uso di piccoli legni che snaturino i profumi dell’uva nebbiolo non ha impedito che le sue grandi botti siano state realizzate con querce provenienti dalla Francia, tenute sempre costantemente pulitissime e spesso rinnovate al fine di eliminare ogni possibile impurità. Così come il suo senso della tradizione non gli ha impedito, a maturità raggiunta, di riprendere la secolare esperienza maturata dalle case vinicole del basso Piemonte con lo spumante, realizzando un Brut a cui ha voluto regalare il proprio nome in etichetta.

 

Ci mancherà, e mancherà a tutti gli appassionati, quest’uomo sobrio e un po’ schivo, insignito di laurea honoris causa dall’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo, così legato alla sua terra che all’ora di pranzo amava mettere in tavola, al posto dei celebri vini che i visitatori riverenti gli portavano da tutto il mondo, un bicchiere del suo Dolcetto d’Alba.


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