Continuiamo a raccogliere il ricordo degli allievi di Gualtiero Marchesi. È il turno di Alfio Ghezzi, chef di Locanda Margon che ha lavorato con lo chef all'Albereta, a Cannes e a Roma. Lo faremo molto ampiamente anche dalle pagine del nostro mensile di febbraio, in edicola da fine gennaio.
“Che piatto cucineresti per me?” Con questa domanda Gualtiero Marchesi, nel suo salottino all'Albereta, cerca di intuire meglio il giovane che ha davanti, che poi sarà futuro chef al Majestic Barriere di Cannes, uno dei locali sotto la consulenza Marchesi. È il 2004, e il ragazzo è Alfio Ghezzi, oggi alla Locanda Margon delle Cantine Ferrari, proprietà famiglia Lunelli. È il primo incontro ravvicinato con il Maestro, per Ghezzi, ma non con la cucina marchesiana conosciuta qualche anno addietro, tra il 1996 e il 1997 a Verona, dove era commis di Silvano Prada in un locale a consulenza Marchesi; “ma il signor Marchesi non lo avevo mai incontrato”. A quella domanda Ghezzi non ci pensa su troppo: “maialino con crauti, un piatto tipico della tradizione trentina”. Un risposta non scontata da dare al Maestro della tavola moderna italiana: “volevo fargli capire la mia cucina, ma sapevo che forse era molto distante dal suo concetto: più minimale, raffinato”. La risposta piace a Marchesi che rimane molto colpito “forse questo è stato l'elemento che più ha apprezzato in quella conversazione”, e non solo per quel richiamo al suo territorio “ma per la visione semplice della cucina”, di sapore di sostanza, di gusto, non troppo elaborata né trasformata. “Alla fine credo che questo sia un po' il concetto fondamentale della cucina su cui poi ci si può lavorare, come ha fatto lui, per togliere e raggiungere l'essenzialità”. All'Albereta Ghezzi trascorrerà qualche mese prima di andare a Cannes.
Le passeggiate sulla Croisette di Cannes
Nel ristorante di Cannes la cucina è quella del Maestro, con i suoi piatti più famosi letteralmente trasportati oltralpe.“Marchesi è stato il primo cuoco in Italia con una cucina codificata, sua, riconoscibile e riconducibile a lui”. E quindi fattibilmente replicabile. Non c'è solo il raviolo aperto, la seppia con il suo nero o il risotto. “Ci sono moltissimi piatti iconici di Marchesi, quei suoi classici che noi portavamo in Francia”. Nei tre anni circa di permanenza a Cannes, gli incontri con il signor Marchesi, come ancora oggi lo chiama, non sono frequentissimi: “veniva ogni due o tre mesi” racconta “erano degli incontri densi”. Passeggiano sulla Croisette e parlano di lavoro, del menu e di cosa c'è da migliorare. Ma non solo: “Si era stabilita una sorta di affinità elettiva”, ricorda Ghezzi, appassionato di design, studi in lettere moderne, una sensibilità per la letteratura quanto Marchesi per l'arte. In quelle lunghe camminate Marchesi parla dei suoi progetti e delle sue cose “c'era un continuo passaggio dal livello dell'arte, della letteratura, la musica a quello della cucina”, una costante – questa – che ha caratterizzato tutta la vita del cuoco recentemente scomparso. “Credo che con me apprezzasse la possibilità di portare avanti questo tipo di dialogo”.
L'Osteria dell'Orso e il sogno di un viaggio in Italia
“Ho sempre avuto una grande passione per Viaggio in Italia di Goethe che ho letto molte volte”racconta Ghezzi “il mio sogno era di fare – appena laureato – un viaggio sulle tracce di Goethe e di questo libro, che si sofferma molto su Roma”. Poi la laurea non è arrivata ma a Roma è andato lo stesso, all'Osteria dell'Orso dove ha lavorato circa un anno e mezzo, dopo Luca Fantin. “Quando sono arrivato ho cominciato a rileggere il libro e la parte su Roma, su cui Goethe si sofferma molto dato che vi sosta due volte per diversi mesi, dopo essere passato per Firenze e dopo essere stato in Sicilia”. Nel libro Goethe parte dal capoluogo toscano e dopo alcune ore di viaggio arriva a Roma “dove si ferma per mangiare, rifocillarsi e far riposare i cavalli in una Ostaria. Che è proprio l'Osteria dell'Orso”. Ghezzi racconta questo passo a Marchesi e circa duecento anni dopo quel famoso viaggio in Italia si crea di nuovo la magia “Il signor Marchesi comincia a fantasticare su un evento ispirato proprio a quelle pagine”. Qualche settimana dopo, arriva una mail da Marchesi che riporta le righe che parlano dell'arrivo di Goethe all'Ostaria: lo chef, libro alla mano, vuole seguire le tracce di Goethe dalla parte della cucina. L'evento poi non si farà mai.
L'arrivo in cucina
Goloso, energico, a ogni passaggio nei suoi ristoranti Marchesi si affaccia in cucina, dove ruba la mozzarella o assaggia il gelato, “ne era goloso, a volte lo prendeva persino con la tesserina della stanza d'albergo” poi la sera si siede a tavola e assaggia “faceva i suoi commenti, gli appunti erano sempre sull'essenzialità e la concentrazione. Ma non pretendeva si facessero solo i suoi piatti, andavano bene quelli di altri purché fossero espressione della sua filosofia”. I temi fissi? “L'importanza delle forme, il gusto, la concentrazione” e poi la pulizia nel piatto “uno dei suoi insegnamenti era di non creare mai mix con carne, vegetali, salse, ma tenere questi elementi sempre separati per non sporcare tutto”. Per Alfio Ghezzi, come per molti allievi del Maestro, più che un oggetto, una tecnica o una ricetta, la consegna del magistero di Marchesi è una sorta di eredità intellettuale che si condensa in una filosofia del togliereche, ancor oggi, si ritrova in molti piatti. Un'attitudine alla pulizia.
Sette penne, sette asparagi e tartufo nero
Il concetto di equilibrio ecologico
Si chiama Sette penne, sette asparagi e tartufo nero, “uno dei piatti che mi ha affascinato di più” e che all'epoca ha fatto impazzire molti addetti ai lavori e non: “lì si traduce un altro tema fondamentale nella vita professionale marchesiana: l'equilibrio ecologico, che vuol dire rimettere un ingrediente nel suo mondo. E se questo non può avvenire direttamente, cercare una vicinanza attraverso le forme”. Così gli asparagi sono tagliati a becco di flauto allo stesso modo delle penne, in modo da avere lo stesso profilo, “quando si mettono in bocca ci sono gusti diversi, ma una sensazione simile data dal rimando tra le forme, in bocca come alla vista”. Un concetto molto caro a Ghezzi, reintepretato in un omaggio al Maestro: “Ziti e capelonghe - che inizialmente doveva chiamarsi 7 ziti e 7 capelonghe - rappresenta lo stesso concetto di equilibrio ecologico delle forme, quello che si crea nell'alternare uno zito e una capelonga con il suo fondo di cottura”. Questo piatto esprime anche un altro principio fondamentale per Marchesi, quello che unisce essenzialità e semplicità. “Diceva che un piatto semplice non è mai banale perché parte da due o tre ingredienti, e se ne sbagli uno, sbagli il 50% del piatto e tutti riconoscono l'errore, se invece fai un piatto con 10 ingredienti uno potrebbe non accorgersene”.
Marchesi alla Locanda Margon
“Lo scorso anno è venuto qui per le riprese del suo film” racconta ancora Ghezzi. “Assaggia alcuni piatti e poi mi fa 'non male questo ragazzetto'. Per me è stato importantissimo averlo da noi e sentire cosa diceva”. Ancheperché lo chef di casa Lunelli è tra gli allievi che a un certo punto hanno deciso di seguire una propria strada, per Ghezzi una strada che riporta in Trentino. Ma in un altro territorio, come cambiano gli insegnamenti del Maestro? “In un'altra zona cambiala cultura, il microclima, e al microclima Marchesi ha dato sempre molta importanza perché incide sulle coltivazioni, i prodotti, le abitudini alimentari” spiega Ghezzi “ma anche se ti adegui a un altro territorio, l'approccio deve essere sempre lo steso: rispetto e salvaguardia del prodotto, da cui devi cercare di tirar fuori le caratteristiche organolettiche migliori e che non deve essere alterato troppo”.
Perle di Trentodoc
E a proposito dei suoi piatti? “Gli sono piaciuti molti gli spaghetti cotti in un liquido a base di bollicine TrentoDoc Ferrari Perlé”. Non può che apprezzarne la semplicità, perché si presentano come spaghetti in bianco. “Ma ne apprezzava anche l'acidità”. L'acidità, un altro dei concetti portanti della sua cucina “basti pensare al burro acido nella mantecatura del risotto: diceva sempre che la cucina non deve essere atona e piatta, ma avere continuamente dei picchi, e l'acidità dà freschezza e conferisce proprio questo picco”. E poi c'è la pasta, uno dei grandi temi di riflessione di Marchesi, da quando - erano gli anni '80 - la esclude completamente dal menu a quando, anni dopo, l'ha inserita cambiando però il modo di fruirne: “Per noi italiani la pasta è una cosa molto succulenta, con fondo e sugo. Per Marchesi no. Un piatto esemplificativo è l'astice con i maccheroni, non maccheroni con astice. Dove la pasta è l'elemento accessorio. È una visione molto internazionale”. Quella del grande Maestro della moderna cucinaitaliana.
Locanda Margon - Ravina (TN) - via Margone, 15 – 0461349401 – www.locandamargon.it
a cura di Antonella De Santis