Se n’è andato a Milano, dov’era nato nel 1930, malato da tempo, eppure mai stanco di lanciarsi in nuovi progetti. Gualtiero Marchesi ha attraversato da protagonista 40 anni della cucina italiana, e l’ha rivoluzionata da pioniere qual è stato, uomo di piglio, consapevole, strenuo sostenitore della cultura, del bello. E della formazione. Nel 2018 avrebbe chiuso il Marchesino, ma l’ultimo progetto – la casa di riposo per cuochi a Varese – resta incompiuto.
Dalla Francia alla cucina totale
Non si fermava mai, Gualtiero Marchesi. Classe 1930, figlio di ristoratori milanesi, il Maestro universalmente riconosciuto della cucina italiana guardava ancora al futuro come una possibilità per costruire nuovi progetti, immaginare nuovi orizzonti. Lui, che la sua storia aveva saputo legarla a doppio filo con quella di un rinnovato orgoglio gastronomico tutto italiano, ma non per questo fine a se stesso, e anzi pronto a carpire suggestioni e influenze dal mondo per rivendicare un posto privilegiato nell’universo dell’alta cucina (un concetto teorizzato nel 1980 nel libro La mia nuova cucina italiana). Pioniere in tante occasioni, dall’intuizione che lo portò in Francia, negli Anni Settanta, per respirare l’aria di quel movimento che all’epoca andava formandosi, la rivoluzione della Nouvelle Cuisine di cui in prima persona sarà protagonista; al primato stellato, nel 1986, quando il mitico ristorante di via Bonvesin de La Riva – aperto a Milano nel 1977 per concretizzare l’idea della cucina totale, in cui tutte le parti contribuiscono a creare l’esperienza del cibo – si aggiudicò le Tre Stelle, per la prima volta assegnate dalla Michelin a un italiano. Lì, nella cucina del suo ristorante, avrebbe ideato negli anni piatti iconici dell’alta ristorazione italiana: il Risotto oro e zafferano, il Raviolo aperto, il Dripping di pesce, gli Spaghetti al caviale, erba cipollina. Ma nel 2008, forte del piglio che l’ha sempre guidato, sceglieva di restituirle al mittente, le stelle, sottraendosi al meccanismo dei voti.
Gli allievi, la formazione. La cultura del gusto
E primo pure a scommettere sul valore della formazione, maestro di tanti celebri allievi – da Paolo Lopriore a Carlo Cracco, Andrea Berton, Enrico Crippa, Davide Oldani, Riccardo Camanini, Ernst Knam, ma la conta potrebbe continuare a lungo - e dal 2004 alla guida dell’Accademia Internazionale di Cucina Italiana di Colorno, di cui recentemente aveva lasciato la presidenza, per dedicarsi all’ultima delle sue sfide, la realizzazione di una casa di riposo per cuochi a Varese. Apertura prevista autunno 2018. Ora il progetto che il Maestro tanto desiderava veder coronato dovrà proseguire da sé: Gualtiero Marchesi se n’è andato, malato di tumore da tempo, all’età di 87 anni, circondato dall’affetto dei parenti, nella sua casa di Milano. Ma la sua è stata indubbiamente una vita lunga e ricca di soddisfazioni, l’impegno per nobilitare l’arte della cucina da un lato, con l’idea che la mancanza di preparazione, cultura e curiosità restituisce un cuoco a metà (la differenza che passa tra un bravo esecutore e un artista); la capacità di investire sulla ristorazione dall’altro, tracciando un modello di chef-imprenditore consapevole dei propri mezzi e preparato ad affrontare il mercato, con l’apertura del relais all’Albereta nei primi anni Novanta (1993), e poi l’invenzione del Marchesino nel 2008 (l’insegna, peraltro, sarà destinata a chiudere battenti per volontà del Maestro proprio nel 2018). Dal 2010 la sua visione confluiva nelle attività della Fondazione Marchesi, creata per diffondere il bello attraverso il gusto.
E il mondo intorno a lui, ben al di là dell’orizzonte degli addetti ai lavori, si era accorto della sua unicità. Di recente protagonista in tv per Sky Arte, gli omaggi al Maestro nel corso della sua lunga carriera non si contano. E ci limitiamo a citare, tra i più curiosi, l’omaggio a fumetti, con la citazione del cuoco sulle tavole di Topolino, in veste di Gualtiero Baroni. Sul numero di gennaio 2018 del Gambero Rosso, invece, troverete quello che probabilmente è l’ultimo scritto di suo pugno: un lungo e sferzante articolo sulla ristorazione negli anni Settanta, in cui il Maestro racconta senza mezzi termini la situazione dell’epoca, dando prova, ancora una volta, di una grande considerazione di sé. Una qualità, quella della consapevolezza dei suoi mezzi, che non l’hai mai abbandonato. A costo di risultare persino scomodo. Ma anche questo dice molto della grandezza di un uomo.