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L’orto sul tetto coltivato dai clochard. Da Atlanta un esempio di solidarietà e innovazione agricola

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Una comunità di 500 persone che ogni giorno chiedono un tetto sopra la testa e un pasto, un’organizzazione trentennale e l’idea dell’orto pensile in piena città: l’esempio della Metro Atlanta Task Force che combatte la povertà e produce cibo sano e biologico. E lavoro per tutti.

Metro Atlanta Task Force for the Homeless. Non solo solidarietà

Stati Uniti terra dei sogni di gloria di molti emigranti in cerca di fortuna. Un tempo come ai giorni nostri. Eppure l’immagine di una potenza mondiale che non deve chiedere mai è scalfita dalle statistiche demografiche che raccontano di un tasso di povertà davvero elevato e le strade delle grandi metropoli sono il regno di schiere di clochard che si arrabattano per vivere ai margini della società. È in questo contesto che emergono realtà di assistenzialismo spontaneo che fanno il giro del mondo per l’efficacia del modello messo in opera. Dal lontano 1981 la Metro Atlanta Task Force for the Homeless opera nella capitale della Georgia per fornire un sostegno a indigenti e bisognosi, garantendo loro un riparo per la notte, un impiego e assistenza sanitaria. E già da un paio di decenni la struttura può vantare uno degli spazi più efficienti e articolati di tutto il sud-est statunitense, pronto ad accogliere ogni giorno tra le 500 e le 700 persone.

L’orto sul tetto. Colorato, biologico, innovativo

La storia che tutti dovrebbero conoscere è quella che prende le mosse dal tentativo di rendere il centro di accoglienza autosufficiente, garantendo al tempo stesso un impiego a molti senzatetto che trovano ricovero nell’edificio all’angolo tra Peachtree Street e Pine Street. 

Dal 2009, sul tetto dell’edificio è sbocciato un orto urbano che si distingue per l’attenzione alla coltivazione biologica e per l’utilizzo di moderne tecnologie (ma anche per l’ingegnoso sistema di raccolta dell’acqua piovana, riutilizzata per irrigare le colture) che assicurano cibo sano a fresco di giornata all’intera comunità. Sul colorato roof top di Atlanta grandi e bambini si impegnano a seminare e raccogliere i frutti di un lavoro che li fa nuovamente sentire accettati dalla società. È così che crescono zucchine e carote, lattuga e radicchio, peperoni, pomodori, cavoli e crescione; mentre una parte dell’orto è destinata all’impollinazione per la produzione di miele. Negli anni la produzione è cresciuta, tanto da assicurare non solo l’autosufficienza del centro di assistenza, ma anche la creazione di una rete di vendita che rifornisce mercati e ristoranti locali.

Futuri agricoltori crescono. Il corso da urban grower

Per non parlare delle opportunità di reinserimento nel mondo del lavoro: dalla collaborazione con un moderno centro di orticoltura urbana (Truly Living Well) è venuta l’idea di offrire agli homeless impegnati nella cura dell’orto un corso di formazione da Urban grower – della durata di sei mesi – che possa garantire loro una competenza da rivendere all’esterno (semina, selezione delle piante, conoscenza dei sistemi di irrigazione). Un ottimo esempio da sottoporre all’attenzione di Expo, mentre a Milano continua a riscuotere consensi e attenzione mediatica l’iniziativa del Refettorio Ambrosiano, che per ora unisce le forze di grandi chef e volontari e tutti si augurano possa avere seguito nei mesi a venire.



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