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Racconti in nuce. Leonardo Romanelli firma una raccolta di brevi racconti dedicati alla colazione

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Ci sono quelle consumate in fretta, e quelle fatte con calma, quelle opulente, quelle frugali, quelle dolci e quelle salate. Sono le colazioni, non solo un pasto, ma il momento in cui ogni cosa si mette in moto. Leonardo Romanelli, nel volume “Racconti in nuce” fotografa 50 frammenti di vita quotidiana che si dipanano a partire dalla colazione.

Leonardo Romanelli - cuoco, sommelier, autore e conduttore radiotelevisivo, food writer e collaboratore del Gambero Rosso - firma Racconti in nuce, una raccolta di brevi scritti, 50 “frammenti narrativi” che traducono in parole altrettanti tasselli di vita domestica. Istantanee di quel momento della giornata in cui tutto inizia e si mette in movimento: la prima colazione. Elemento comune di storie che raccontano esistenze diverse, risvegli difficili o partenze serene, nuove avventure o consuetudini rodate. Tutti illuminati a partire da quel primo sorso di caffè, da quel boccone che introduce alle ore a venire, alle emozioni e ai dolori della vita che avanza, nonostante tutto. È il morso d'avvio, attorno a cui tutto si avvolge, il pasto più importante della giornata che introduce Storie di risvegli e vite quotidiane, come recita il sottotitolo.

 

Pubblichiamo qui alcuni dei racconti del libro. Sono brevi storie, da leggere tutte d'un fiato magari al mattino, mentre si sorseggia il primo caffè della giornata. Ne presentiamo 7, come i giorni della settimana. Quasi un invito a creare un nuovo rito per celebrare il giorno che inizia, tra parole, bevande calde e qualche boccone goloso.

Un caffè ai macelli

La tentazione di scaraventare la sveglia dalla finestra era forte, ma riuscì a poggiare un piede a terra, poi l’altro e ad andare in cucina, dove la caffettiera era già pronta sul fornello. Accese il gas ed iniziò la veloce vestizione, finita prima che il caffè iniziasse a gorgogliare. Lo bevve d'un fiato, una moka da due a stomaco vuoto, e si avviò alla porta, senza scordarsi il pranzo al sacco. Pioveva. Si calò sulla testa il berretto, il cappotto serrato e iniziò a camminare sotto i tetti, come i gatti, per arrivare alla fermata dell'autobus: ne aveva già smarriti cinque di ombrelli, non aveva voglia di comprarne ancora. Mentre camminava, i pensieri vagavano a quanto era successo negli ultimi dodici mesi: da uomo di successo a spiantato, da auto di lusso a una bicicletta mezza rotta. E fuori dal giro che frequentava nei locali dove spendere tanto era la parola d'ordine. Si sentiva come un giocatore di poker che aveva perso tutto all'ultimo piatto, dopo anni di una vita in bilico. Arrivò l'autobus e lo prese pensando quando a quell'ora del mattino andava a dormire, dopo notti piene baldoria. L’università, le borse di studio per non pesare sul bilancio della famiglia rimasta al paesello, poi il lavoro, la banca, la borsa, i rischi, la caduta. Ma era riuscito a rialzarsi, a ricominciare, al contrario di altri suoi colleghi, pensava che fosse anche merito di quello che gli avevano trasmesso i suoi genitori: una casa più modesta, un posto ai macelli, carne e sangue dal primo mattino, vivere con pochi soldi. Ce la stava facendo, era ripartito da zero, ma ce la stava facendo. Lui che non mangiava frattaglie, ci metteva le mani tutti i giorni, in mezzo a odori così lontani al suo vecchio mondo. Viveva questa esperienza come una sorta di espiazione; era anche l'unico italiano tra i suoi colleghi di lavoro, e questo l’aveva aiutato a cambiare il suo modo di pensare rispetto agli immigrati. Poi aveva conosciuto lei, l’unica donna dei macelli, un’impiegata, anche lei con una storia pesante alle spalle. Si erano annusati, le confidenze inizialmente solo accennate si erano fatte ogni giorno più profonde. Se la mattina riusciva ad alzarsi, era perché sapeva di incontrarla: l'unica volta che era rimasta a casa per un’influenza gli era mancata moltissimo. Arrivò ai macelli, si avviò verso gli spogliatoi per cambiarsi, la incontrò, le sorrise e lei, con i suoi guanti senza punte, la sciarpa multicolore ed un berretto di lana, lo salutò con un bacio sul naso, lontano da occhi indiscreti. Entrò nello spogliatoio con il cuore che gli batteva forte e, appena uscito, lei era lì con due tazze di caffè. Guardandolo gli chiese: "Un cucchiaino scarso, vero? E' già girato". Lui stavolta non indugiò come altre volte e le rispose solo: "Alle otto stasera, accanto all'ingresso del parco. Mettiti bella, te lo meriti".

 

Dopo le periferie

Le periferie estreme delle città avevano per lui un fascino particolare, qualcosa gli era rimasto dentro della laurea in architettura, ora dimenticata in fondo a un cassetto. Vagava spesso nelle zone più degradate della città. Gli scheletri delle fabbriche abbandonate, i condomini mai terminati e occupati da chi una casa vera non poteva permettersela avevano su di lui una potenza immaginifica straordinaria, gli facevano immaginare quello che si sarebbe potuto cambiare, ristrutturando, adattando, modificando. Lei in questo non lo seguiva affatto, questa che a lei sembrava una insana passione, non la coinvolgeva affatto. Capitava spesso che, partiti per le vacanze, passassero i primi due giorni separatamente, senza nemmeno sentirsi per telefono. Lui cercava informazioni su internet e una volta arrivato in una città nuova andava a cercare le baraccopoli e le zone più degradate che avrebbero alimentato la sua visionarietà. Camminava senza orologio, senza telefono, senza tablet, con pochi spiccioli e le mani nelle tasche. Percorreva strade fangose, pieni di topi, conosceva da vicino la realtà di cento persone che dormivano nell’unico grande stanzone di una fabbrica abbandonata, condivideva sigarette e parole con loro e con chi dormiva sotto i ponti. Per lui, un vero genio dei nuovi dispositivi digitali, della rete, del virtuale, essere a contatto con quella parte del mondo così cruda era il modo per non separarsi dalla realtà e per costruire progetti umanitari che potessero essere utili agli ultimi. Lei e lui su questo non si capivano, ma secondo un tacito accordo non si costringevano l’uno con l’altro ad accettare i punti di vista dell’altro. Dopo un paio di giorni, tornava in albergo al mattino presto, entrava in camera silenzioso, si faceva una doccia e la svegliava con l’odore della lavanda fresca, che lei adorava. Si trovavano poi muti di fronte alle colazioni più standard e banali del mondo ad inzuppare fette biscottate con marmellate plastificate in caffè solubile. L’importante era farlo insieme.

 

50 sfumature di fame

Anche quando non doveva lavorare, si svegliava presto. Quella mattina, in campagna, aveva acceso il camino alle 6, preparato la camomilla, sistemato la coperta in poltrona e aveva iniziato a leggere vestita come dovesse affrontare un scalata. Stava leggendo "50 sfumature di grigio" solo per capire il perché del successo del libro: già dopo le prime venti pagine si era stufata, ma voleva arrivare in fondo per poter spiegare con cognizione di causa, a se stessa e agli altri, la noiosità di quelle pagine. Da esperta correttrice di bozze e redattrice, sapeva quanto potesse essere difficile descrivere scene di sesso, che comunque non dovevano annoiare il lettore. Quando si trovava insieme alle amiche, le faceva divertire con i suoi trucchi del mestiere applicati ai generi letterari dei più disparati, dal fantasy al poliziesco, passando dalla saggistica al genere erotico. Si alzò per andare ad aggiungere acqua alla camomilla e sorrise pensando a com’era intabarrata e a quello che stava succedendo nel libro; non riusciva proprio ad entrare dentro la trama, non riusciva ad appassionarsi né alla vicenda né a com’era raccontata. Poco dopo iniziò a considerare anche la possibilità di fare colazione. Non era tipo da spremutina d'arancia e tisane; soprattutto in campagna le si apriva una fame considerevole. Tolse da sopra a brace le patate, affettò la pancetta e ne ricavò due tranci da mettere in padella, insieme a rosmarino e alloro; quando fu ben sfrigolata, ci unì le patate, insaporendole col pepe, poi ci ruppe un uovo. Tagliò due fette di pane di segale, mentre si rapprendeva l'albume Portò la padella a tavola, si versò il caffè nero bollente e iniziò a mangiare. Finire il libro sarebbe stato faticoso, ma mai come stare dietro ai 3 figli e al marito rimasti in città per le vacanze di natale. In fondo, quelle scene sadomaso non erano poi così noiose da leggere.

 

Al canile

L'adorava, certo; altrimenti non si sarebbe mai trovato in quella situazione la mattina di Natale, alle 5, quando il mondo, almeno quello occidentale, dormiva saporitamente. La colazione ai clochard della stazione l'aveva già fatta come esperienza, ma di andare in un canile, al mattino così presto,non ci pensava nemmeno fino a due giorni prima. Vestito a strati e con una cappellaccio di lana per cercare di combattere il freddo, pedalava in maniera regolare, maledicendo in cuor suo il momento nel quale aveva prestato l’auto alla sorella. Ovviamente pioveva ed il pane che aveva nel cestino si stava bagnando; lo coprì con un telo di plastica, mentre la rabbia stava montando, soprattutto perché lei era allegra e serena e lui non riusciva a capirne il motivo, anche perché la pioggia a un certo punto diventò nevischio e i guanti non impedivano alle mani di congelarsi. Terminata la consegna, accarezzati quasi tutti i cani, lei andò verso di lui trotterellando felice e guardandolo negli occhi esclamò: "Pronto per la visita all'ospizio dalla zia?". Fu il colpo di grazia, non rispose, la seguì come un automa. Fecero visita alla simpatica vecchietta, quindi il ritorno a casa alle 9, l’ora in cui a Natale le persone normali sono ancora sotto le coperte. Non aveva ancora riaperto bocca. Si buttò sotto la doccia bollente, per smettere di battere i denti e distendere i nervi. Solo dopo che il vapore si fu diradato la vide: era in piedi, appoggiata allo stipite della porta del bagno, con addosso solo un delizioso completino che non le aveva mai visto e in mano un vassoio con due tazze di cioccolato e i biscotti di mandorla che lui adorava. Simpatici questi cani, pensò.

 

I fiori, il tassista, la cioccolata.

Fin da piccola, si rifugiava nei libri per mascherare il disagio di stare in compagnia di bambini che non la interessavano: essere più matura, più riflessiva, più “grande” l'aveva spesso costretta a isolamenti e solitudini. A scuola furono anni di studio matto e disperato: amava Leopardi! Approfondiva ogni argomento, ma poi cercava di dimostrare di sapere meno per evitare di essere derisa dai compagni. Anche all'università non ci fu modo di stringere solide amicizie, di ragazzi nemmeno l'ombra. Ci stava pensando, quella mattina, mentre aveva interrotto la consueta lettura di inizio giornata per mettere dell'acqua a bollire. Dovette arrivare al primo incarico di ricercatrice prima di avere un invito a cena. Sorrise ancora ripensando all'imbranataggine di entrambi, alla difficoltà di arrivare al dolce, ai silenzi imbarazzanti che facevano avvertire chiaro il rumore delle posate. Poi arrivò lui, un'esperienza completamente nuova rispetto a come aveva vissuto fino ad allora. Tassista, simpatico, riuscì a colpirla mentre la portava alla stazione: non riuscì mai a capire come fece ad ottenere il suo telefono. Iniziò una corte puntuale, mai tropo assillante, fatta di mazzi di fiori, inviti al cinema fino a che, quando accettò l'invito a cena, capì che era l'uomo adatto a lei: non era sicuramente un intellettuale, la fece ridere, tanto, in maniera buffa. Più giovane di lei di 8 anni, ma non immaturo. Ci pensava mentre metteva il miele nella camomilla e si apprestava a riprendere il libro, non fece caso a un piccolo rumore alle sue spalle. All’improvviso una mano le chiuse gli occhi. Riconobbe la sua pelle e il suo profumo. Riuscì a posare la tazza, provò a farfugliare qualcosa, sentì che lui le stava passando sulle labbra qualcosa di cremoso: stette al gioco, si lasciò guidare e avvertì un crescendo di sapori che univano la nocciola alla vaniglia, con sentori di lavanda nel sottofondo. Una pralina morbidissima che svelò al suo interno del peperoncino non aggressivo ma potente… il libro poteva attendere.

 

Un caffè speciale

Quel sabato mattina avrebbe potuto svegliarsi tardi, oziare, prendersela veramente con tutta calma. Invece era ancora buio e aveva gli occhi sbarrati. Lei riposava al suo fianco, con una quantità incredibile di roba addosso per combattere il freddo assurdo di una casa col riscaldamento rotto da due giorni. Senza far rumore, lui scivolò fuori dal letto e andò in bagno. Si osservò allo specchio: cappuccio di lana, tuta pesantissima, calzerotti di lana. Freddo a parte, si sentiva bene; la sera prima aveva mangiato poco, aveva poi dormito poco ma profondamente. Decise di uscire, infilandosi il cappotto sulla tuta e le scarpe da ginnastica sui calzerotti. Uscendo, il vento lo sorprese e benedì il momento nel quale aveva indossato la sciarpa. Incontrò gli ultimi tiratardi, che tornavano dalle discoteche, con le brioches in mano. In un bar pasticceria appena aperto ne comprò sei e rientrò veloce a casa: era troppo freddo per continuare a gironzolare. Un pensiero gli passò per la testa, facendolo andare indietro con gli anni, a quando era ragazzo: decise di fare un caffè speciale e nella moka versò grappa al posto di acqua, mise il caffè nel filtro e accese il fornello. Quell'odore che fuoriusciva dalla macchinetta lo inebriava, non era un caffè corretto, bensì un vero e proprio liquore al caffè. Abbassò il fuoco, lo fece passare lentamente fino all'ultima goccia e se ne versò un'intera tazza. Poi un’altra ancora. Una strana e piacevole sensazione lo avvolse, il caldo lo attaccò da tutte le parti: si spoglio in un attimo e decise di tornare nudo sotto le coperte, con la testa piacevolmente annebbiata. Lei si stava svegliando, ma decise di abbracciarlo e di provare ancora ad abbandonarsi alle braccia sue e di Morfeo.

 

Nel bosco

Il trillo della sveglia alle 4 del mattino aveva ormai un suono familiare: si alzava con circospezione per non svegliarla, quindi metteva la macchinetta del caffè sul fuoco, tagliava e metteva ad abbrustolire le fette di pane. La cucina economica emanava ancora un certo tepore, lui la ravvivava solo un attimo prima di andare via, così che lei la potesse trovare alla giusta temperatura. Spalmava il burro sulle fette di pane, poi la marmellata di more, la sua preferita, e inzuppava tutto nel caffè, osservando il grasso che galleggiava a formare piccoli anelli sul nero. Si riteneva comunque fortunato, malgrado quello che era successo: aveva una casa, la donna rimasta insieme a lui, un lavoro. A raccontarlo sarebbe sembrato del tutto normale, ma quasi sorrideva a pensare a come era prima, al suo attico di duecento metri quadri, al lavoro in Borsa, alle feste e a tutto il resto: lo shopping sfrenato, le corse in moto, le vacanze alle Seychelles per Natale, seguite da quelle sulla neve, il mare in Sardegna. Anni formidabili, finiti dall'oggi al domani. "Una stupenda bolla di sapone", l'aveva definita il suo amico prevedendo con un po' di anticipo il crac.

Ora doveva affrettarsi; la corriera passava alle 5 e lui doveva camminare per mezz'ora nel bosco per arrivare alla fermata. Si infilò il berretto, la giacca, andò in camera e la guardò nell'ombra, infagottata nella tuta di lana: se la ricordava nuda o con la sottoveste di raso, nel letto a forma di cuore che avevano in camera. E uscendo si stupì per l'ennesima volta che lei fosse stata disposta a seguirlo, quando le aveva detto che era tutto finito: vacanze, auto di lusso, ristoranti, vestiti costosi. Era stato fortunato a non avere avuto problemi con la giustizia, al contrario di tanti suoi conoscenti finiti in prigione. Le sue origini umili lo avevano aiutato a saper ricominciare; aveva rischiato, guadagnato molto, perduto tutto, ma la casa che aveva comprato ai genitori era riuscita a salvarla e ad assicurare loro così una vecchiaia serena. Arrivò il pullman, salì e continuò a seguire il filo dei pensieri: sull'amore di una donna e sulla loro capacità di cambiare. Lui era diventato taglialegna, un mestiere che nemmeno sapeva più che esistesse. Lei si era messa a pensare alla casa e a quel po' di terra che la circondava; ed era lì non solo perché non avrebbe saputo dove altro andare. Prima le capitava di non ricordare dove aveva lasciato un vestito o una borsa o un libro, se nella casa di Gstaad, quella di Porto Cervo o quella di campagna in Toscana; ora con sé aveva portato poco, quasi nulla.

Lui arrivò all'appuntamento con gli altri, un saluto frettoloso e allegro; e poi nel bosco. Lei intanto si era alzata e aveva trovato sul tavolo un sacchetto: un pout pourri con le erbe trovate da lui nel bosco. Si guardò allo specchio: trucco e parrucchiere appartenevano a un'altra vita, ma non se ne dispiaceva, si sentiva in pace con se stessa: addentò una mela e aprì la finestra, la giornata andava ad iniziare.

 

Racconti in nuce | Leonardo Romanelli | Mauro Pagliai Editore | I non ricettari | pp. 96, euro 6,5

 

 

 

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