Il nuovo embargo russo affonda i consumi. Anche quelli vinicoli che registrano un netto -37%. Come si spiega questo calo per un prodotto non sanzionato? E c'è la possibilità che finisca nella lista nera? Lo abbiamo chiesto a chi conosce bene questo mercato.
La situazione
Che Mosca avrebbe prorogato le contro-sanzioni era abbastanza scontato, data la conferma delle sanzioni Usa-Ue; proroga avvenuta con largo anticipo sulla scadenza e sostanzialmente invariata rispetto alle precedenti, che già sono costate svariati miliardi ai produttori italiani, quasi ce ne fosse bisogno. Per la verità, qualche ritocchino in questa nuova lista di prodotti bloccati c’è stato, soprattutto per il comparto lattiero-caseario. Ma niente in confronto al paventato allargamento ad altre merceologie, quali fiori, cioccolata e caffè tostato. Soprattutto gli ultimi due sono segmenti importanti per il nostro Paese, che nel 2014 sono stati esportati rispettivamente per 63 e 55 milioni di euro (fonte Ice-Mosca su dati Dogane russe), ma che già nell’anno in corso dimostrano una tendenza negativa in virtù della crisi. Crisi innescata dal perdurare del basso prezzo del petrolio, che in una struttura pesantemente indebolita dalle sanzioni, ha portato a un significativo deprezzamento del rublo, che si sta rivelando anche un devastante boomerang, soprattutto per i Paesi europei. Sono in molti, qui, a pensare che questi mercati siano persi e molti nostri prodotti non si vedranno più sugli scaffali russi. Quasi non bastasse, per alcuni prodotti si innestano una serie di leggi e normative interne che penalizzano ulteriormente alcuni settori, quale quello del vino, uscito indenne dalle liste di contro-sanzioni.
Andiamo con ordine. Già dal 2013 in Russia sono state introdotte misure drastiche per contrastare il dilagare dell’alcolismo, misure che avevano per obiettivo soprattutto il consumo della vodka, ma che di fatto son ricadute anche sui vini, inseriti nella categoria degli alcolici, e non in quella delle birre, come richiesto più volte, senza successo, da importatori e produttori locali. In sostanza, il vino già scontava i divieti dei superalcolici: divieto di pubblicità in ogni media, divieto di vendita prima delle 10 e dopo le 22, divieto di vendita via internet (in fase di ratifica), prezzi minimi di vendita per vodka e vino. A questi si aggiunge un altro pacchetto di normative di emanazione locale, che in alcune regioni andrà in vigore nelle prossime settimane: anticipazione del divieto di vendita alle ore 17 la domenica, licenze di vendita revocate ai negozi con meno di 50 mq di superficie, divieto di servire vini ed alcoolici a bar e ristoranti con sala di servizio inferiore a 50 mq, divieto di vendita per asporto di alcolici sfusi da caffè, bar e ristoranti. Tutto questo si somma a un aumento che, nel primo trimestre del 2015, ha interessato i prezzi del vino importato fra il 30% e il 40%, mentre i prezzi dei vini prodotti localmente sono cresciuti tra il 15% ed il 20% (per quelli prodotti da uve importate) e del 10% per i vini prodotti interamente con materie prime russe.
I motivi della crisi del vino
In questo caso, la responsabilità esclusiva del brusco calo del vino è della svalutazione del rublo, che ha causato in molti casi addirittura il blocco dell’attività commerciale, o il fallimento, di alcuni operatori del mercato vinicolo russo. Secondo alcuni esperti del settore, la crescita dei prezzi e la diminuzione del numero dei vini importati sono ormai una tendenza inevitabile. Ecco come si spiega il dato del -37,2%. E poco consola i nostri produttori l’essere, nonostante tutto, il primo Paese esportatore di vini in Russia (davanti a Francia e Spagna). Dispiace, perché il crescente interesse per la nostra produzione vinicola, ben documentato da Marco Sabellico nel report sulla terza edizione della kermesse Taste of Moscow, è realtà: la cultura del vino qui sta crescendo in modo esponenziale, ma corriamo il rischio che diventi appannaggio di una colta élite. L’Italia deve crederci, come ha scritto il poeta Fyodor Ivanovich Tyutchev: “La Russia non si intende con il senno, né si misura col comune metro: la Russia è fatta a modo suo, in essa si può credere soltanto”.
Il punto di vista degli esperti
Ma per capire meglio la situazione, relativamente al vino, e soprattutto, per poter fare delle previsioni, sebbene a breve termine, abbiamo chiesto a due esperti del mercato: Vittorio Torrembini (annoverato da Milano Finanza fra i 50 italiani che più contano in Russia), console onorario a Liepetsk e vice presidente di Gim, la storica associazione degli imprenditori italiani in Russia. E Pier Paolo Celeste, direttore dell'Ice di Mosca, da sempre in prima linea nel promuovere e supportare il business italiano.
Come mai il vino continua ad essere salvato dalla lista nera dei prodotti embargati?
Torrembini: Per un motivo molto semplice, ovvero che i Paesi che non sono stati embargati non sono in grado di fornire la qualità e i quantitativi dell’Italia o della Francia, anche se si riscontra un forte aumento dei vini cileni e argentini.
Celeste: Il motivo principale è senz’altro legato alla difficile sostituibilità di questo prodotto sul mercato. Anche se la produzione interna sta avendo un notevole impulso grazie a forti investimenti statali, l’offerta locale resta per ora piuttosto limitata sia in termini quantitativi, sia qualitativi e non sarebbe in grado di soddisfare la domanda totale.
Pur non essendo sotto embargo, il vino subisce cali notevoli: ritenete derivi solo dal deprezzamento del rublo e dalla crisi che ha ridotto i consumi, o vi sono altre ragioni?
Torrembini:La vera bestia nera è stata la svalutazione del rublo (più del 40%) che ha messo in seria difficoltà la fascia media delle nostre marche. Il segmento alto e quello molto basso continuano a registrare segnali positivi.
Celeste: Non c’è dubbio che dipenda dal fattore prezzo - pesantemente influenzato dalla svalutazione del rublo - con la conseguente contrazione dei consumi. Molti, pur di non rinunciare a un buon bicchiere di vino, sia a casa sia al ristorante, si sono spostati su prodotti di fascia più bassa o comunque di prezzo minore. Alcuni vini di produzione locale hanno così potuto beneficiare di queste dinamiche.
Da dove è stato maggiormente eliminato il vino: supermercati, enoteche, ristoranti?
Torrembini: Non direi eliminato, ma è sicuramente diminuita la scelta nei supermercati e nei ristoranti della fascia media o bassa.
Celeste: Per fortuna il vino italiano continua a essere presente in tutti e tre i canali citati, assistiamo in questa fase solo a una diminuzione degli acquisti. In questo senso, l’offerta sul mercato russo rimane molto variegata sia in termini di Paesi produttori, sia di assortimento. Inoltre la ristorazione italiana resta un punto di forza per i nostri vini, che vedono in questo canale uno sbocco assolutamente privilegiato. I consumatori più attenti ed esigenti, infatti, continuano a preferire i prodotti italiani quando desiderano un vino di qualità.
Con quali vini, e di quali Paesi, è stato sostituito il vino italiano?
Torrembini: Come dicevo sopra, in gran parte con vini di Cile, Argentina, e in piccola parte Israele e Sudafrica. Oltre, naturalmente, ad alcuni vini prodotti in Russia.
Celeste: Innanzitutto, va detto che la diminuzione delle importazioni russe di vino dal mondo ha subito nei primi quattro mesi del 2015 un rallentamento generale del 37% (dati Dogane russe) che ha coinvolto non solo l’Italia ma – seppur in misura diversa – quasi tutti i principali Paesi fornitori della Federazione. L’Italia – storicamente primo fornitore della Russia – pur a fronte di una forte diminuzione è infatti riuscita mantenere in valore la propria quota di mercato del 27%, con un totale di 40 milioni di euro di export. Spagna, Cile e Australia, grazie a una politica di prezzi molto aggressiva, hanno conquistato una piccola fetta degli spazi lasciati liberi dalla Francia che, invece, nell’ambito dei vini fermi, ha fatto segnare un forte calo. In questa partita, un nuovo ruolo è giocato da alcuni vini locali, come quelli crimeani e del territorio di Krasnodar. Parliamo di prodotti che, pur se qualitativamente ancora poco “maturi” e non in grado di reggere la competizione coi vini di importazione, stanno conquistando sempre più spazio sugli scaffali della grande distribuzione grazie a prezzi molto accessibili.
Quali le prospettive da qui al prossimo anno?
Torrembini: Se il cambio del rublo andrà verso una stabilizzazione dovremmo cominciare il recupero.
Celeste: Lo scenario è senz’altro complesso e soprattutto mutevole, per cui non è facile fare previsioni a breve. Tuttavia il mercato russo resta di grande interesse per le nostre aziende: pur nel nuovo contesto i vini italiani continuano a essere apprezzati dal pubblico russo, l’offerta è variegata e di alto livello, i marchi sono conosciuti e il vino è percepito come un piacere che fa parte dello “stile italiano”. È chiaro che le aziende oggi devono comprendere che il mercato attraversa una fase di transizione: un potenziale investimento sulla Russia – per un’azienda ancora non presente sul mercato – dovrà essere pertanto valutato in un’ottica di medio/lungo termine, avviando cioè un percorso che potrà rivelarsi particolarmente premiante quando la fase di congiuntura negativa sarà superata.
I produttori della Crimea chiedono l'embargo anche sul vino
Anche il vino europeo potrebbe finire nella lista nera? È quanto chiede il Bureau dell'uva e del vino della Crimea, l'associazione di categoria che comprende i maggiori produttori di bevande alcoliche della penisola. “Ci accingiamo a discutere, durante la prossima riunione del Bureau, la questione di una nuova richiesta alle autorità del Paese relativamente all'introduzione del divieto di importazione di vino europeo”, dice Janina Pavlenko, presidente del gruppo, secondo quando riporta Russia24, quindicinale a cura di Banca Intesa San Paolo, in collaborazione con Il Sole 24 Ore. “È già passato un anno da quando i Paesi dell'Ue hanno avviato le proprie sanzioni, non solo contro determinati settori dell'economia, ma anche nei confronti di produttori di vino presenti in Crimea: Massandra, Magarach e Novyj svet. Riteniamo che si tratti di una concorrenza sleale. Ci hanno letteralmente eliminati dai mercati europei, e per di più in modo abbastanza selettivo". Al di là di queste dichiarazioni, al momento non ci sono disposizioni che farebbero presupporre un pericolo imminente per il vino italiano e neppure l'Ice ha informazioni in tal senso. Ma secondo alcuni rumors, oltre al vino, i prossimi prodotti a rischiare sarebbero dolci e pesce in scatola.
a cura di Gianguido Breddo
L'autore è giornalista enogastronomico, vive e opera in RussiaQuesto articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 23 luglio
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