La sostenibilità non è solo un obbligo dei pescatori, che devono sottostare alla legge 154/2016 che regolamenta la pesca in Italia, ma anche dei consumatori: sia privati che ristoratori o chef. Gianfranco Pascucci, ne ha fatto uno stile di cucina.
Saper individuare le diverse specie di pesce d'acqua salata, dolce o salmastra. Conoscerne le stagioni e le caratteristiche, per poi valorizzarne la carne con differenti tipi di preparazioni. Saranno queste le tematiche dell'appuntamento “La lista della spesa. Il pesce, ci vuole occhio”, durante Gourmet Food Festival (Torino Lingotto Fiere, il 18 novembre 2017), che vede come protagonista Gianfranco Pascucci, chef di una delle migliori tavole di pesce d'Italia ed entrato da poco a far parte della compagine dei volti di Gambero Rosso Channel con il programma Com'è profondo il mare. Prima di conoscere il pesce, bisogna però far chiarezza sulle dinamiche di pesca, e sulla legislazione che la regolamenta. Abbiamo approfondito il tema con la Professoressa Daniela Mainenti, docente di diritto processuale penale presso la Facoltà di Giurisprudenza della Università Link Campus di Palermo e Catania e Direttore del Centro di ricerca sulla Comparazione giuridica Research Unit One, che spesso dimostra come gli Stati Membri dell'Unione Europea marcino a velocità diverse per quanto riguarda le legislazione. Ne è emerso un quadro sconcertante.
La legge che regolamenta la pesca, in Europa e in Italia
La legge di riferimento è la numero 154/2016 (Art. 39), entrata in vigore lo scorso 25 agosto. Legge che ha suscitato l'ira dell'intero comparto in quanto recepisce il regolamento (CE) n.1224/2009 con delle sanzioni che ammontano anche a 150.000 € se si pescano specie ittiche di taglia inferiore alla taglia minima di riferimento per la conservazione. Avete letto bene: 150.000. Una legge che purtroppo, così com'è, penalizza i pescatori italiani rispetto ai colleghi europei, come ci spiega la Professoressa Daniela Mainenti. Ma andiamo con ordine.“Questa legge è un punto di arrivo di un percorso che dura da quasi vent'anni: il legislatore europeo ha compreso, sulla base di rapporti scientifici e segnalazioni da parte di associazioni ambientaliste, che c'era una flessione della risorsa ittica nei mari europei”. Lo sfruttamento derivante da pesca industriale e l'aumento della temperatura hanno infatti causato un progressivo impoverimento dell'ambiente marino, provocando in alcune specie il rischio estinzione, pensiamo al caso del tonno rosso del Mediterraneo, particolarmente richiesto nel mercato orientale.
Dato il quadro allarmante “si è cercato di ricorrere ai ripari attraverso una politica comune, che mirasse a regolamentare la pesca rendendola più sostenibile, da qui nascono il regolamento (CE) n. 1005/2008 e il n. 1224/2009 che ha istituito un regime di controllo comunitario per garantire il rispetto delle norme della politica comune della pesca”. Ovviamente a ciascuno Stato membro è stato chiesto di recepire il regolamento, introducendo un sistema a punti applicabile alle violazioni gravi per le licenze relative a determinati pescherecci. Ma la risposta degli Stati non è stata univoca: “Le norme di questo regolamento rientrano nel campo del penale, dato che si parla di pesca illegale, e sul tema penale ciascuno stato mantiene la propria sovranità”. Come? “Declinando la normazione secondo la propria sensibilità e secondo il proprio codice penale”. Cosa che in Italia non è avvenuta, per una serie di concause.
I pescatori italiani sono penalizzati rispetto ai colleghi europei
“Mentre era in discussione il passaggio parlamentare del D.Lgs 9 gennaio 2012, n. 4 (cd Collegato agricolo) che ha condotto all’entrata in vigore della Legge 154/2016 (ndr. con la quale il legislatore italiano ha recepito il regolamento 1224/2009), Federpesca ci ha commissionato uno studio comparato su come il regolamento europeo in questione fosse stato recepito dai diversi Stati membri, per verificare se i pescatori italiani fossero penalizzati rispetto ai colleghi europei”. I risultati parlano chiaro: i pescatori italiani risultano penalizzati perché le nostre norme sanzionatorie sono particolarmente severe e sproporzionate. “Da un’attenta analisi della normativa in esame, focalizzando l’attenzione sul peso delle singole sanzioni e contravvenzioni applicabili in caso di pesca illegale, risulta un'eccessiva sproporzione tra le finalità della normativa in esame, rispetto ai profili sanzionatori previsti. Sembrerebbe che il legislatore, nel tentativo di razionalizzare il sistema sanzionatorio, abbia dato più peso alla finalità punitiva tralasciando quasi, se non del tutto, la finalità rieducativa”. Centrato l’obiettivo della dissuasione, quindi, ma non altrettanto quello della proporzionalità, condizione essenziale per rispettare il principio di legalità nel nostro Paese.
Le sanzioni in Italia sono ingenti mentre in alcuni paesi risultano essere tanto esigue da rappresentare un rischio accettabile per molti pescatori. La conseguenza è che si creano fenomeni assimilabili a quelli della concorrenza sleale. Non a caso esiste attualmente una risoluzione adottata da alcuni parlamentari europei volta a rendere più omogenee le sanzioni.
Le motivazioni della penalizzazione
Perché siamo arrivati a questa legge? Perché in Italia le sanzioni, penali e amministrative, appaiono sproporzionate, soprattutto in considerazione del fatto che molto spesso i trasgressori sono piccoli o medi imprenditori? “Il caso italiano è emblematico e ha due concause: in primo luogo abbiamo rischiato una procedura di infrazione perché gli ispettori europei hanno verificato che, nonostante il regolamento 1224/2009, in Italia continuavano gli illeciti, soprattutto in Calabria con la pesca illegale di pesce spada. Poi, proprio per questo motivo, siamo stati soggetti ad embargo del prodotto ittico da parte degli Stati Uniti”. In pratica una legge fatta in fretta: di punto in bianco ci siamo trovati di fronte a una minaccia di procedura di infrazione e all'embargo americano, così il legislatore italiano è corso al riparo, senza essere sufficientemente preparato e senza condividere i lavori con le associazioni dei pescatori. “Ne è uscita una legge imperfetta e sproporzionata rispetto ai nostri canoni e non compatibile con il nostro codice penale”. Ovviamente con delle conseguenze drammatiche su tutto il comparto.
Le conseguenze su altri settori
A rimetterci, non solo i pescatori: “I controlli in mare sono quelli che sono (ora la Guardia Costiera è principalmente impegnata sul fronte immigrazioni), così le ispezioni si sono spostate in terra ferma, colpendo in maniera illogica la grande distribuzione e i ristoranti, che rischiano fino a quindici giorni di chiusura, nonostante il più delle volte il pescato arrivi già confezionato in blocchi di ghiaccio quindi è impossibile verificarne la taglia”. Chi vince la partita? Nessuno. Eppure sarebbe bastato che il legislatore italiano avesse tenuto maggiormente conto dei rilievi delle associazioni di categoria, nel giusto equilibrio con i dati scientifici e le osservazioni delle associazioni ambientaliste, prima di recepire il regolamento, e fosse stato maggiormente vigile nel renderne più coerente, con il sistema giuridico interno, il contenuto. Quanto meno per arrivare preparato sul tema prima di sedersi al tavolo europeo delle trattative (cosa che hanno fatto Spagna e Francia).
Gianfranco Pascucci - foto di Andrea Di Lorenzo
La responsabilità del consumatore e degli chef
Il consumatore può fare qualcosa in merito? “In primo luogo deve chiedere e pretendere le informazioni circa la provenienza del pesce che compra o mangia al ristorante, penso per esempio a un locale che metta a disposizione un QR Code dove il cliente possa leggersi con calma tutta la storia del pescato in questione (in Norvegia esistono realtà che già lo fanno). Poi dovrebbe seguirne di più la stagionalità , per esempio il pesce spada andrebbe mangiato solo a maggio, che è il periodo in cui transita nel Mediterraneo. Infine non dovrebbe consumare sempre le stesse tipologie di pesce”.
Dello stesso parere è Gianfranco Pascucci, chef del ristorante Pascucci al Porticciolo a Fiumicino, in quella che è la periferia iodata di Roma, come la chiama lui. “Quando si va al mercato o in pescheria si dovrebbero abbandonare i retaggi quotidiani, quelli che ti portano ad acquistare un prodotto perché lo si vuole acquistare. Al mercato si compra quello che è stato pescato, punto”. Non si può stilare una lista della spesa, ma ci si deve far guidare dalla stagione, dalle condizioni climatiche, dagli umori del mare. Che consegnano un pesce buono in tutte le sue parti: “Fatevelo curare e sfilettare, ma non dimenticatevi di farvi dare anche gli scarti, con i quali potrete preparare un sugo eccezionale”.
Il Crudo di muggine di Gianfranco Pascucci - foto di Andrea Di Lorenzo
La sostenibilità secondo Pascucci, non si limita all'utilizzo degli scarti, ma coinvolge anche specie generalmente poco apprezzate dai consumatori, come i muggini freschi (al di là della bottarga). Lui utilizza quelli dell'oasi del lago di Burano di Orbetello, realtà con la quale ha avviato un progetto di valorizzazione di questo prodotto unico. “Il muggine un tempo era trattato dai pescatori come il colera perché nessuno voleva comprarlo, così veniva venduto a pochi euro al chilo. Eppure è un pesce eccezionale, tipico dell'acqua salmastra, con una carne consistente che si presta a diverse preparazioni. Da quando ho iniziato questo progetto, il suo prezzo è aumentato. Ora è quello giusto”. A Gourmet Food Festival, lo presenterà “quasi crudo”, ma non vogliamo svelarvi troppo. “L'obiettivo è di sorprendere il palato con qualcosa che abbiamo vicino a noi, così torniamo tutti a guardare con occhi diversi un prodotto per troppo tempo sottovalutato”.
Pascucci al Porticciolo | Fiumicino (RM) | viale Traiano, 85 | tel. 06 65029204 | www.pascuccialporticciolo.com
Gourmet Food Festival | Torino | Lingotto Fiere, via Nizza, 294 | dal 17 al 19 novembre 2017, venerdì dalle 17 alle 23, sabato dalle 10 alle 23, domenica dalle 10 alle 20 | www.gourmetfoodfestival.it
a cura di Annalisa Zordan