Nelle prossime settimane il ddl 2037 sarà al vaglio della Commissioni Agricoltura e Istruzione in Senato, decidendo le sorti del servizio di refezione scolastica, inquadrato come parte integrante delle attività formative ed educative della scuola. Ma i genitori insorgono: e il diritto al panino?
I precedenti. La conquista del diritto al panino
Diritto al panino sì o no? La polemica che ha infiammato genitori e istituti scolastici per dirimere l'annosa gestione del servizio di ristorazione nelle scuole italiane, si riaccende un anno dopo la sentenza della Corte d'Appello di Torino, che ammetteva la possibilità di rinunciare alla mensa, fornendo i bambini di un pasto fai-da-te, da consumare in loco. Da quel momento, nel capoluogo piemontese, circa 6mila alunni – sui 40mila che frequentano la scuola dell'obbligo in città – si sono avvalsi del pranzo al sacco, e, sebbene in numero esiguo, anche i genitori di altre città d'Italia hanno colto l'opportunità per risparmiare sul servizio a pagamento in mensa, particolarmente esoso a Ferrara, Ravenna, e (ironia della sorte) Torino, che guidano la classifica delle mense più care della Penisola. Del resto, da qualunque prospettiva si guardi la cosa, il problema che coinvolge circa 5 milioni di studenti che mangiano a scuola finora ha sempre finito per scontentare qualcuno. In primis i diritti interessati, i bambini.
Petizioni e richieste sulla qualità dell'offerta
Non sono rari i casi di petizioni, sondaggi, ispezioni in cucina (molte avviate dalla Rete nazionale delle commissioni mensa, anche su base regionale o cittadina) che periodicamente chiedono di migliorare la qualità dei prodotti utilizzati e la varietà della proposta, spingendosi a volte al limite della ragionevolezza; qualche settimana fa, per esempio, mille genitori hanno depositato a Palazzo Vecchio una petizione per modificare il menu delle mense fiorentine, sulla base del gradimento dei propri figli. In poche parole, basta zuppa di cipolle, tortino di verdure, vellutata di zucca e quinoa, cecina, seppie in zimino, per scongiurare il rischio che i bimbi restino digiuni davanti a pietanze sgradite, e che il cibo vada sprecato. Largo invece a pasta con il tonno, carne rossa, bastoncini di pesce, platessa dorata, schiacciata, pane bianco. Un criterio quantomeno discutibile, per non dire diseducativo. Stessa situazione, peraltro, a Bologna, dove una ricerca di Ribò sul gradimento del servizio di refezione ha evidenziato che solo un alunno su tre finisce tutto quello che c'è nel piatto: in particolar modo, i bambini scartano regolarmente le verdure di contorno, e preferirebbero, invece, lasagne, hamburger, patatine, kebab, gelato e macedonia. Ma anche tortellini in brodo o al ragù, pasta alla carbonara e cibo cinese.
Ddl 2037. Articolo 5: la mensa è formativa
Molto più rincuorante la proposta del Governo, che alla fine di maggio, con il ministro Martina, ha presentato un emendamento alla manovra economica per sostenere la certificazione delle mense scolastiche che servono prodotti biologici, prevedendo al contempo un fondo che riduca la spesa a carico delle famiglie.Ma, per tornare al presente, in queste settimane al vaglio del Senato c’è il Ddl 2037, in materia di servizi di ristorazione collettiva; dopo gli emendamenti della Commissione Agricoltura, dopo l’estate, la legge passerà all’Istruzione, per poi approdare in Aula. L’iter, dunque, è ancora lungo (e la legislatura forse non altrettanto), ma come detto non manca di creare burrasca. Il passaggio discusso è contenuto nell’articolo 5, quando il testo si sofferma sul ruolo educativo della mensa: “I servizi di ristorazione scolastica sono parte integrante delle attività formative ed educative erogate dalle istituzioni scolastiche". E quindi obbligatori? Tra i genitori più agguerriti c’è chi teme che lo Stato stia cercando un nuovo sistema per fare cassa, minacciando a propria volta di correre ai ripari rifiutando per i bambini il tempo pieno, così che possano tornare a casa per pranzo. Chi invece questa legge l’ha presentata, la senatrice PD Angelica Saggese, difende il ddl, rivolto sì a individuare l’offerta più vantaggiosa per la concessione dell’appalto, ma comunque indirizzato “ad aumentare il livello del servizio, migliorando ciò che si mangia”. Rilanciando pure il valore egualitario della mensa, classificabile come servizio pubblico essenziale che la scuola non può sottrarsi dal fornire.
Gli impegni del Governo. Sicurezza, qualità, costi
Visioni opposte, quindi, che hanno finito per mettere in ombra le altre proposte più meritorie contenute nel testo. Come per esempio l’obbligo per il Governo di rimediare alla mancanza di spazi idonei al servizio di refezione in molte scuole italiane, o l’impegno a sottoscrivere accordi con istituti alberghieri per le gestione del servizio, che, secondo le nuove linee guida, non dovrebbe costare più di 5 euro a pasto. E ancora, la predisposizione di locali adeguati alla preparazione dei pasti in loco, la previsione della celiachia tra le patologie alimentari, la partecipazione dei genitori nelle commissioni mensa finora appannaggio del personale scolastico. L’idea di fondo è quella di ricostruire il rapporto di fiducia tra scuola e famiglie che sembra essersi incrinato, lavorando su costi, qualità, sicurezza e prevenzione. Ci riuscirà la nuova proposta di legge?
a cura di Livia Montagnoli