Può una cucina all’apparenza estremamente lineare regalare al palato emozioni così forti da renderla indimenticabile? Sì se la mano del cuoco riesce sublimare a tal punto la materia prima da farne la protagonista assoluta del piatto. La sfida tutta italiana di Niko Romito
L'Abruzzo in marcia
È difficile parlare dell’Abruzzo, sconquassato da una serie di eventi catastrofici da cui sempre la gente di qui si rialza con determinazione. Ed è anche difficile parlarne in termini entusiastici legati al piacere della tavola, anche se pare di intuire qualche segnale di rinnovamento. Più d'un lumicino che in queste ultime stagioni sembra segnare la strada. Il confronto con Niko Romito, però, è molto di più: lascia intravedere una speranza viva e vitale, le sue parole, le sue riflessioni, anche in termini di piatti e di sperimentazioni ai fornelli, hanno una forza propulsiva incredibile.
“In un anno circa”spiega lo chef abruzzese “almeno cinque ragazzi usciti dalla scuola di formazione di Casadonna hanno aperto dei loro locali dopo aver fatto qualche esperienza in giro: a Pescara e Acri, a Roccaraso, Rivisondoli e Teramo. Credo sia un segnale molto positivo: ci sono giovani, forze fresche, che ci credono, che investono e che stanno invertendo quella che era la tendenza classica di un Abruzzo di qualche anno fa: i cuochi non vanno più fuori a cucinare, non devono per forza espatriare, possono investire qui e lo fanno, portando sul nostro territorio molte persone”.
Cambiando, di fatto, la direzione di un percorso che, fino a poco tempo fa, era a senso unico:“l’Abruzzo sta diventando una regione in cui vale la pena venire a conoscere territori ricchi, a scoprire sapori antichi e nuovi allo stesso tempo. Non è un caso che nonostante la crisi e le tragedie degli ultimi mesi, qui sia il vino che l’agroalimentare e la ristorazione diano segnali positivi, forse gli unici in questo momento”.
Maialino croccante con purea di patate all'olio
Niko Romito e la tradizione
Uno dei protagonisti di questa rinascita è sicuramente lo spazio formativo che Niko ha costruito a Castel di Sangro: non solo “scuola professionale di cucina”, ma pratica viva del territorio, lavoro sulle tradizioni e sulle prospettive della cucina italiana fondata su ciò che la distingue da tutte le altre, ovvero l’estrema ricchezza e varietà delle materie prime. “Mi dispiace vedere che molti ragazzi usciti da diverse scuole puntino più sugli insegnamenti di cucine non italiane: penso a quella del Nord Europa o alla Spagna. E che non vedano invece quanta ricchezza e quante possibilità avrebbero a concentrarsi sulle nostre produzioni e tradizioni”. Detto da un cuoco che ha fatto dello stravolgimento dei modi di percepire ingredienti tradizionali, un segno distintivo, sembra quasi una provocazione. Come apparvero una provocazione il suo carciofo del 2013 o i tortelli di pollo serviti tal quali, senza alcuna salsa nel piatto.
“Proprio perché faccio una cucina tutta centrata sulla materia e sugli ingredienti è la tradizione la mia fonte principale di ispirazione,”sorride Niko “la mia emozione di base. La verza nasce dalla verza e patate classica dell’Abruzzo. Il carciofo idem: un carciofo quasi alla romana. I tortelli di pollo anche: partono dal pollo alla cacciatora. Poi, certo, vado avanti nella ricerca, nell’alleggerimento e nella concentrazione, nella nettezza dei sapori. Pensate agli spezzatini, alle carni stufate… il mio tortello di pollo parte dall’intingolo del pollo alla cacciatora. La cucina francese, ad esempio, parte invece più dalle salse, dai fondi. L’intingolo è parte specifica del piatto nel suo nascere e nel suo farsi”.
Liquirizia aceto e cioccolato bianco. Foto Roberto Sammartini
Comprensibilità e astrazione
Vista dal punto di osservazione concreto dei piatti, la cucina di Niko esprime un senso di estrema semplicità: sembra una cucina scarna, dove il togliere è preoccupazione maggiore dell’abbinare, dell’aggiungere. In bocca la musica cambia completamente: resta la centralità monumentale dell’ingrediente – sempre più spesso un vegetale – che però parla un linguaggio finora sconosciuto. I suoi piatti sono così essenziali tanto quanto poi sono complessi e profondi al palato. E sono di una leggerezza assoluta: pochissimi, e molto spesso assenti, i grassi aggiunti; pochissimo e quasi inesistente il sale aggiunto; idem per gli zuccheri. E sempre più ingredienti lavorati a crudo, a freddo, proprio per mantenerne il più possibile integre le caratteristiche sia organolettiche che nutraceutiche. “Anche se non è questa la molla principale della mia ricerca”spiega il cuoco, arrivato ai vertici della nuova ristorazione italiana d’autore partendo da una mancata laurea in economia (mancavano solo 4 esami) e percorrendo la difficile strada dell’autodidatta. “Il mio scopo, che poi è la mia passione e il mio profondo interesse, è lo studio approfondito dell’ingrediente e dare alla materia la sua massima espressione e la massima centralità. Poi, certo, uno dei risultati è la salubrità dei piatti. E un altro risultato è che la mia cucina non piace solo ai critici, ai gastronomi, agli appassionati e ai palati addestrati: anche i neofiti, chi non ha mai avuto esperienze gastronomiche importanti, non restano intimoriti dalle mie portate perché le riconoscono, capiscono perfettamente di cosa si tratta, sia visivamente che gustativamente. Il carciofo è il carciofo, la verza è verza”.
Niko e Cristiana Romito. Foto Alberto Zanetti
L'arte del levare
Togliere, quindi, alleggerire, limare, sottrarre. Ma se l’ingrediente protagonista è riconoscibile in maniera assoluta, è anche vero che per loro complessità le preparazioni di Niko hanno quasi la forza e lo spessore delle grandi tele astratte del Novecento in cui il tono su tono amplifica le possibilità del colore. E quindi, il lavoro non consiste solo nel togliere: ma probabilmente nel togliere le cose “sbagliate”. “Probabilmente”continua Niko “io aggiungo per poter ottenere un risultato di sottrazione: è un punto di arrivo dopo una fase molto complessa, anni e anni di prove attraverso fasi diverse. Di sicuro, a me non piacciono i piatti troppo complicati, sono per le cose semplici: se mangio verza, voglio verza allo stato puro”.
E ripercorre la genesi e l'inseguirsi dei suoi piatti “Già dal 2000 ho cominciato a lavorare sulle estrazioni, poi sulle concentrazioni e ancora dopo sulla stratificazione, ingrediente su ingrediente per accentuarne il gusto. Il carciofo, che nasce nel 2013, non era una provocazione: era semplicemente un piatto centrato, preciso, tutto concentrato sull’ingrediente. Poi è stata la volta della melanzana, e ancor di più la verza: qui cambia anche la forma in cui si presenta e in cui l’abbiamo sempre conosciuta”. Tappa dopo tappa, a percorrere una strada coerente e conseguente “La prima è l’assoluto di cipolla, poi viene il carciofo, quindi la melanzana e infine la verza. L’assoluto era la pura estrazione dell’ingrediente. Poi, col carciofo, l’estratto viene concentrato e diventa una sorta di vernice di carciofo che va a laccare, a condire, a spennellare il protagonista: si parte sempre dall’estrazione, la struttura rimane quella classica del carciofo. Con la melanzana, invece, si cambia forma e struttura: diventa un cubo e la sua consistenza si fa più importante. La verza è la sintesi ultima di tutto questo lavoro: si concentra, si stratifica, si cambia struttura, si mangia con forchetta e coltello. E si introduce la fermentazione che apporta complessità. Così, si riconosce immediatamente la verza: uno degli ortaggi più comuni, tradizionali e poveri diventa protagonista assoluto del piatto. Io ho sempre lavorato con ingredienti che tutti conosciamo: non ho mai tentato abbinamenti strani. La mia è una cucina molto italiana, molto nostra”.
A parlare di “sottrazione” e di cura assoluta per la materia prima, in Italia, è stato Gualtiero Marchesi negli anni ’80: pietra miliare il suo libro La mia nuova cucina italiana. Come si rapporta Niko l’autodidatta con quel tipo di insegnamento? “Non mai frequentato Marchesi, anche se ho studiato a fondo i suoi piatti, i suoi libri, le sue idee. Ma non sono certo un marchesiano. Certo, alcuni suoi piatti sono di una modernità e attualità eccezionali. Prendi il suo spaghetto freddo con caviale: è esplosivo e modernissimo”.
Ma poi ritorna a raccontare la sua, di cucina: “La mia semplicità parte sempre dagli ingredienti, che devono essere di altissima qualità, ma si avvale di tecniche e tecnologie nuove e diverse. E poi, per me, il vegetale è sempre più protagonista, diventa sempre più il centro di interesse. Lavorare sul concetto di semplicità, significa anche rispettare molto di più la filiera produttiva. La materia prima che un produttore ti consegna dopo averci lavorato per anni, dà al cuoco una responsabilità in più: quegli ingredienti devono essere studiati, conosciuti e rispettati, non stravolti. Non puoi sporcare il frutto della vita di una persona che ci ha messo l’anima per produrlo”.
Reale | loc. Casadonna | piana Santa Liberata snc | Castel di Sangro (AQ) | tel. 0864 69382 | www.ristorantereale.it
a cura di Stefano Polacchi
foto di copertina Alberto Zanetti
Articolo uscito sul mensile di Marzo 2017 del Gambero Rosso. Per abbonarti clicca qui
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