Mentre a Lecce è di scena Rosèxpo, facciamo il punto sullo stato dell'arte del comparto vini rosati: cresce il mercato mondiale con l'Italia secondo esportatore, ma il Belpaese si porta dietro ritardi e criticità. Adesso, però, i produttori ci credono: ecco le strategie messe in atto dai consorzi.
I consumi mondiali
È una lenta ma inesorabile progressione quella di consumi, produzione e scambi di vini rosati a livello mondiale. Tendenza che si sta consolidando e assume le sembianze di un treno da non perdere, un territorio in parte inesplorato che offre spazi di manovra per quelle imprese che vogliono intercettare i consumatori del futuro, attenti alle nuove proposte.
Nel mondo, oggi, è rosé più di una bottiglia su dieci tra quelle consumate, per un totale di 23,4 milioni di ettolitri, in aumento del 30% rispetto a quindici anni fa e del 4% in un anno, tra 2014 e 2015. Francia, Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Italia e Spagna ne consumano oltre il 70%; e nuovi mercati stanno registrando progressioni importanti, come Svezia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Hong Kong. Il segmento dei rosati cresce a fronte di uno stallo del consumo dei vini fermi nel loro complesso ed è sempre più a vocazione internazionale: la quota dei rosati che prima di venire consumati hanno attraversato una frontiera è salita al 38% rispetto al 25% del 2004.
Produzione ed export
L'Europa resta il continente con il più alto consumo e anche la più alta produzione, pari a 23,6 milioni di ettolitri nel 2015 (+3% sul 2014 e +18% sul 2002). Quattro Paesi sfornano il 75% di tutto il vino rosato, che da questo punto di vista resta un affare prevalentemente europeo. La Francia, secondo le cifre dell'Osservatorio economico mondiale dei rosati (Civp, France Agrimer e Abso Conseil), detiene il 31% della produzione con 7,3 mln/hl, la Spagna il 20%, gli Stati Uniti il 15%, l'Italia il 9% (2,1 mln di hl), mentre si stanno affermando su questo comparto il Sud Africa (4%), l'Argentina (2%) e il Cile (2%). L'Italia, in particolare, è l'unico paese in cui i volumi prodotti sono in netto calo dal 2010, anno in cui si superarono i 5 milioni di ettolitri. L'uscita progressiva dal mercato dei vini di gamma più bassa ha determinato la perdita di quote nel ranking mondiale. Da quest'anno l'Italia è stata, infatti, superata dalla Francia, anche se di poco, come secondo esportatore in volume di rosati, in una classifica che vede la Spagna in testa (40%). Se, invece, si considerano i valori, l'Italia fa bene, conquistando la seconda posizione e passando dal 15% al 22% delle quote. Supera, così, una Spagna che è scesa dal 20% al 15%, a sua volta dietro agli Stati Uniti che passano dal 14% al 17%. La Francia, col 32% delle quote (in calo di un punto), resta leader incontrastata.
I rosati in Italia
L'Italia attraversa un momento delicato. I produttori, consapevoli che non si può vincere la battaglia sui volumi contro la Spagna, stanno investendo sul miglioramento qualitativo dei prodotti e sulla valorizzazione delle varietà locali. Il nostro Paese esporta mediamente metà del rosato prodotto, il resto (un milione di ettolitri) lo consuma all'interno dei suoi confini (il 4% del totale mondiale). Una buona parte passa per la grande distribuzione organizzata, che veicola quasi due terzi del vino, anche se la gamma di etichette è limitata prevalentemente ad alcune grandi referenze. Ad aprile 2017, su base annua, secondo i dati Iri per Tre Bicchieri, le vendite di rosato (nel formato in bottiglia da 0,75) risultano in crescita dell'1,3% a volumi, per un corrispettivo di spesa che aumenta del 3% (51,2 milioni di euro). Se si guarda alla tipologia spumante i dati, come è lecito attendersi, sono lusinghieri: +10,3% in volume e +7,4% in valore (a 11,5 milioni di euro).
Virgilio Romano, client solutions director di IRI, legge così il momento della categoria: “L'impressione è che in Gdo il vino rosato viaggi un po' per forza di inerzia, trascinato in qualche modo dall'intera categoria del vino in bottiglia, che fa registrare una positiva crescita del 3,2% a volume e del 5,2% a valore in un anno.È un segmento da cui ci si potrebbe aspettare di meglio, dal momento che stiamo parlando di una vino capace di interpretare bene le mode e suscitare curiosità nei consumatori. Tuttavia, non si intravede alcuna forza che gli permetta di ottenere una spinta in più”. La forza di cui parla Romano è quella che deriva dal marketing, dall'informazione al consumatore, da una strategia di promozione dedicata. La mancanza di una volontà politica e di un disegno più ampio, a livello nazionale, si fa sentire anche nell'assenza di dati statistici puntuali che sui rosati consentano di tracciare la produzione, le esportazioni e il consumo nel settore Horeca. Fino a Expo 2015, l'Italia poteva vantare anche un concorso nazionale dedicato, che però non si tiene da due anni.
Il sistema italiano in fermento
Malgrado questi punti deboli da un punto di vista strutturale, attorno alla categoria si nota un certo fermento. Il mercato sta lanciando dei segnali da cogliere. Ad esempio, al recente Pink rosé festival di Cannes, un sondaggio interno ha rilevato che i vini italiani sono stati i più richiesti assieme a quelli francesi. I buyer presenti hanno anche chiesto che all'edizione del febbraio 2018 ci sia un maggior numero di cantine italiane.
Sul fronte interno, le tre macro aree di produzione dei rosati italiani (Garda, Abruzzo e Puglia) si stanno muovendo per provare a fare il salto. Dopo il buon esito del primo Festival Sorrento rosé di metà maggio (organizzato dalle Donne del vino), il decennale di Italia in rosa, manifestazione del Consorzio Valtènesi sulla sponda bresciana del Garda, si è chiuso il 2 giugno con 8 mila presenze (4 mila biglietti staccati): numeri oltre le aspettative. Il Consorzio, che con la vendemmia 2017 inaugura la nuova denominazione Riviera del Garda classico, ha scelto di valorizzare l'appellazione Valtènesi, anche per il Chiaretto. Oggi, questo rosato a base Groppello conta 2,3 milioni di bottiglie e il dato è in crescita costante tra 5% e 10%. Il presidente del Consorzio Valtènesi, Alessandro Luzzago, guarda avanti: “Dal Garda deve partire una chiamata a raccolta delle zone italiane che hanno storicità, tradizione, vitigni autoctoni con peculiarità da spendere. L'Italia ha bisogno di creare un grande gruppo che traini la crescita dei rosati. Un'idea potrebbe essere la creazione di un'associazione di secondo livello che metta assieme i territori”. Intanto, Valtènesi e Bardolino hanno iniziato a dialogare e i primi risultati sono arrivati: “Nella primavera 2018 è molto probabile che uniremo le forze” dice Luzzago “per far conoscere i chiaretti del Garda in un grande evento congiunto”. Il presidente del Consorzio del Bardolino, Franco Cristoforetti, conferma la volontà di unire le forze e annuncia importanti modifiche alla Doc Bardolino, che potrebbe chiudere il 2017 sopra quota 10 milioni di bottiglie: “Se in generale l'Italia non sembra avere fiducia nei suoi rosati, i nostri produttori credono nella loro importanza. Al punto che rivedremo i disciplinari ed entro l'autunno chiederemo al Mipaaf la creazione della nuova Doc Chiaretto di Bardolino, che speriamo di poter utilizzare nella vendemmia 2018”. Passaggio importante che porterà con sé l'assegnazione di vigneti dedicati a queste produzioni.
Roséxpo e la produzione pugliese
Lo fanno da tempo molte aziende riunite nell'associazione deGusto Salento, che organizza per il quarto anno la kermesse Roséxpo appena iniziata a Lecce. Una tre giorni (dall'8 al 10 giugno) ricca di degustazioni, convegni, mostre e seminari al Castello Carlo V.
La presidente Ilaria Donateo punta il dito sulla quasi totale assenza dei rosati nelle carte dei ristoranti, tema al centro del convegno di apertura di Roséxpo (“Rosati italiani: come migliorare l’offerta in sala e in enoteca”): “La tipologia è un po' bistrattata. I primi a non crederci sono enotecari e ristoratori. Ecco perchéoccorre agire sul fronte della comunicazione: il rosato è un vino che può essere usato sulla gastronomia di tutta Italia, ma va destagionalizzato, non possiamo consumarlo solo da maggio a settembre. Basti pensare che in Francia, secondo uno studio sui consumi, si acquista di più nel periodo di Natale. In realtà, l'Italia con i suoi autoctoni e la grande varietà espressa potrebbe essere portabandiera dei rosati nel mondo”.
La Puglia su questo tema sta lavorando in maniera precisa, investendo in mercati come gli Usa molto ben disposti alle novità di prodotti. Lo sa bene Lucia Nettis, direttrice dell'associazione Puglia in Rosé, che proprio a New York, da giugno, ha una sede operativa: “Nonostante gli Usa siano un mercato importante per i rosé italiani, ci sono aree di consumo come la Florida dove ad esempio quelli pugliesi non sono presenti. Pensiamo che la Total wine & more, importante catena di distributori, non possiede i nostri rosati. Questo per dire che c'è molto da fare sulla promozione. Noi lavoriamo con Ice e Camera di commercio Italo-Americana. E tra gli obiettivi abbiamo l'inserimento dei vini nelle carte dei ristoranti dei club privati newyorchesi. Inoltre, partecipiamo ai grandi eventi, fondamentali negli Usa per avere la giusta visibilità”.
Roséxpo | Lecce | Castello Carlo V | dall'8 al 10 giugno2017 | http://rosexpo.it/
a cura di Gianluca Atzeni
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri dell'8 giugno
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