Mentre nel 2017 i consumi di frutta e verdura raggiungono livelli incoraggianti, il mercato italiano sembra sempre più ben disposto nei confronti di prodotti in arrivo da lontano, ammantati dal fascino esotico: la frutta tropicale è vantaggiosa per chi importa, ma come reagisce l’ortofrutta nazionale? Si ingegna.
Più frutta e verdura in tavola
Partiamo da un dato confortante, emerso appena un mese fa in occasione della fiera milanese TuttoFood: in Italia – lo dice Coldiretti – aumenta il consumo di frutta e verdura procapite. Il periodo di riferimento è il primo bimestre del 2017, quando buona parte del paniere ortofrutticolo ha fatto registrare un’impennata nelle vendite. I più amati? Il radicchio, e poi kiwi, patate, pomodori e carciofi. Nel complesso il trend di settore incassa un +4% rispetto al 2016: per eguagliare il record bisogna tornare indietro nel tempo al 2000. E a beneficiarne, secondo la ricerca in questione, sono anche le esportazioni made in Italy, con un andamento positivo per tutto il mercato ortofrutticolo, soprattutto alla volta di nuove piazze internazionali, come la Cina, che da noi acquista mele e pere, e il Giappone, ghiotto di kiwi (di cui l’Italia è uno dei principali produttori nel mondo). Di contro, come evidenzia un’inchiesta recentemente pubblicata da Repubblica Economia, c’è da parlare del gusto per l’esotico che si fa largo sulle tavole di casa nostra, e a quanto pare non solo in merito all’avocadomania esplosa negli ultimi mesi (tra l’altro ricordiamo che anche l’Italia, la Sicilia soprattutto, produce avocado, e di qualità).
Tutti pazzi per la frutta tropicale
Insomma, i dati di consumo degli ultimi 3 o 4 anni raccontano di preferenze sempre più sbilanciate a favore di ananas, banane, manghi – e avocado, certo, con un +37% nelle vendite ad aprile 2017 rispetto all’analogo periodo nel 2016 – rispetto alla frutta di casa nostra, arance, mele, pere. Così mentre il valore dell’export ortofrutticolo cresce (oggi vale 4,8 miliardi), il mercato delle importazioni esotiche arriva a valere 650 milioni di euro all’anno. Perché? Le ragioni sono svariate, a partire dalla moda della frutta tropicale – già ampiamente diffusa in Europa, e ora conclamata anche nel nostro Paese - per arrivare all’efficacia della comunicazione, e soprattutto al miglioramento delle condizioni logistiche, con costi di trasporto molto più vantaggiosi che in passato, anche quando si tratta di far arrivare la frutta dall’altra parte del mondo. Che ora, sempre più spesso, viaggia in aereo, e in 3-4 giorni finisce sui banchi dei supermercati, con vantaggi evidenti in termini di gusto e qualità. Chiaro che i costi restano alti, e infatti il settore garantisce margini di profitto importanti per chi decide di commerciare in frutta tropicale.
Il valore di manghi e papaye
Un altro fattore che sicuramente determina l’andamento di mercato: se c’è un vantaggio economico così netto, perché dovrei preferire commerciare in albicocche o pere rispetto ad ananas e cocchi? Ecco perché il registro di cassa parla chiaro: negli ultimi 12 mesi gli italiani hanno consumato 75 milioni di euro di ananas, 23 milioni di avocado e 22 di mango (nonostante costino 7 euro al chilo!), quasi 10 milioni di euro di papaye, che schizzano nelle preferenze al +83%.
La risposta del mercato nazionale
E l’Italia ortofrutticola che fa? Ferme restando le colture tradizionali, esplora nuovi segmenti di mercati in grado di ingolosire il consumatore, per esempio i frutti di bosco, che piacciono e assicurano un buon margine di guadagno. Se non può essere esotico, almeno che sia insolito. E poi c’è la scudo della qualità, quella che si riconosce e molte produzioni tipiche italiane e continua a mantenere vivo l’interesse dei mercati europei e internazionali. Così, mentre noi mangiamo papaye, dall’altra parte del mondo non vedono l’ora di ricevere una cassa di arance siciliane.
a cura di Livia Montagnoli