Continua la nostra indagine alla scoperta delle migliori aziende olivicole nazionali. A Morigerati, in provincia di Salerno, è quella di Nicolangelo Marsicani a distinguersi per qualità del prodotto e soprattutto per il lavoro in frantoio.
Le origini
1928, Cilento. Per la prima volta l'attività di frantoio oleario della famiglia Marsicani viene registrata alla Camera di Commercio di Salerno. Una passione di famiglia, quella per la trasformazione dei prodotti agroalimentari, inizialmente incentrata sulla molitura di grano, cereali e olive, oggi tutta focalizzata sull'oro verde. Un'evoluzione naturale per l'azienda, negli anni passata in mano a Nicolangelo Marsicani, attuale proprietario, che nel 2007 decide di modernizzare l'attività e puntare sempre di più all'alta qualità del prodotto. E di farlo attraverso uno studio costante portato avanti insieme a Oleum, Assaggiatori Oli Salerno, associazione volta a valorizzare la cultura dell'extravergine di qualità con corsi di formazione e degustazioni. Un percorso che gli è valso il premio come Frantoio dell'Anno nella la guida Oli d’Italia 2017 del Gambero Rosso. Ma il lavoro di Nicolangelo continua: “da 4 anni sono amministratore Oleum e mi occupo di sostenere i piccoli olivicoltori” racconta.Perché la scuola negli anni si è rinnovata e, oltre ai corsi di analisi sensoriale, offre anche servizio ai giovani agricoltori per aiutarli in campo e in frantoio.
La produzione
6500 piante per 35 ettari di terreno, coltivazione tradizionale e quattro varietà principali: la pisciottana, tipica del territorio, il frantoio, il leccino e il moraiolo. Ma ci sono, in quantità minori, anche la rotondella e la ravece, che vengono impiegate principalmente per il blend. Quattro etichette in tutto: l'Algoritmo Dop Cilento, blend prevalentemente a base di pisciottana, frantoio, leccino; il Ditirambo, monocultivar di pisciottana, il Viride, monocultivar di coratina bio “realizzato con olive acquistate da altri terreni che lavorano a regime biologico”, e un blend che rappresenta la seconda linea dell'azienda, prodotto con la testa e la coda della lavorazione. Cosa si intende con questi termini? “Durante la produzione, la parte iniziale e finale del prodotto vengono scartate, perché per realizzare oli di ottima qualità si utilizza solamente il 'corpo'. Il nostro blend invece è a base di testa e coda delle lavorazioni di tutte le cultivar, più tutte quelle olive che non riusciamo a raccogliere in tempo e che sono, quindi, leggermente più mature”.
Interpretare le cultivar
“Ogni varietà va interpretata”, questa la prima regola di Nicolangelo. Perché non basta conoscere tecniche e macchinari, occorre avere consapevolezza delle cultivar presenti in azienda. “In base all'annata, ogni oliva si comporta in maniera diversa a seconda della quantità di acqua che riesce ad assimilare, agli attacchi parassitari, allo stress che la pianta subisce e così via”.
Per esempio la pisciottana è molto difficile da gestire:“È una cultivar selvaggia in grado di restituire aromi piacevoli, ma non grandiosi. Al momento stiamo lavorando per cercare di intensificarli”. Come? “A partire dagli anni '80, tanti alberi di pisciottana sono stati abbandonati per far posto a leccino, frantoio e altre cultivar più semplici da gestire. Ho pensato di recuperarne alcuni e creare un campo sperimentale”. Uno spazio dove fare ricerca e lavorare su questa varietà, “mantenendone il patrimonio genetico originario ma innestando sulla pianta varietà diverse come leccino, frantoio e coratina”. Per innesto, in agronomia si intende l’inserimento in un albero di una porzione di un’altra pianta, per migliorarne l'aspetto quantitativo e qualitativo. “Dovremo aspettare qualche anno per vedere eventuali risultati, ma ci stiamo impegnando molto”.
Il recupero degli ulivi
La caratteristica più ostica della pisciottana? La maestosità degli alberi, “che possono arrivare fino a 18-20 metri di altezza”. Recuperare le piante non è semplice, specialmente se si tratta di varietà così complesse. A raccontarci nel dettaglio il progetto è l'agronomo Leonardo Feola, che gestisce per Marsicani tutto il lavoro in campo. “Gli ulivi abbandonati sono pieni di muschi, licheni, occhio di pavone (unfungo che attacca l'ulivo, ndr) e altre malattie in grado di radere completamente al suolo la superficie fotosintetizzante della pianta”. Per cercare di riattivare il ciclo produttivo dell'albero occorre “reimpostare l'intera impalcatura, a cominciare dalla chioma”. Ma per recuperare una pianta malata occorrono anni, “almeno 4-5 per la pisciottana”.
Ma perché nella provincia di Salerno ci sono così tanti ulivi abbandonati? “La nostra zona detiene più della metà della superficie olivetata regionale, ma trae comunque poco reddito da questo settore per diversi fattori di tipo culturale”. Come la tendenza a concepire la produzione di olio come hobby e non come lavoro dato che “molti non credono si possa vivere di olio”, la percezione dell'extravergine solo come condimento o “ingrediente marginale e non imprescindibile”.
Insomma, ci sono dei luoghi comuni e miti da sfatare, delle credenze sbagliate da cancellare attraverso la divulgazione di corrette informazioni: “Persone come Nicolangelo sono in grado di cambiare le cose. Insieme, cerchiamo di stimolare i più giovani a fare meglio ma, soprattutto, con un lavoro ben fatto si crea fra i produttori uno spirito di emulazione che può migliorare la qualità generale del prodotto”. Inoltre, Marsicani offre anche la possibilità ad altri olivicoltori di molire le proprie olive nel suo frantoio: “Io mi occupo dell'accettazione dei frutti”, spiega Leonardo, “e sono molto rigido. Se c'è, per esempio, un attacco di mosca che supera il 3% su tutte le olive, scelgo di non procedere. Le drupe devono essere in ottime condizioni per poter essere molite da noi”.
Il lavoro in frantoio: quantità o qualità?
Uno studio profondo sulle varietà, dunque, che si traduce in frantoio in una attenzione maniacale a ogni fase della lavorazione. Ed è di nuovo Nicolangelo a parlare, che lavora in prima persona al processo di estrazione affiancato da Leonardo e dal presidente di Oleum, Gaetano Avallone, “deus ex machina del nostro olio”. Un lavoro di squadra che coinvolge più menti e soprattutto più palati, perché "l'assaggio è una fase fondamentale della produzione: l'analisi sensoriale ci consente di capire se stiamo procedendo nel modo adeguato, e soprattutto se ci sono dei dettagli da modificare o migliorare".
Ma come si fa un buon prodotto? Sono due le condizioni:“materia prima eccellente e pulizia dei macchinari. Ogni oliva deve essere perfetta e il frantoio impeccabile”. Senza queste due premesse, “l'olio non si può fare”.
Dopo la raccolta, “metà ottobre per la pisciottana”, le olive vengono portate immediatamente in frantoio, “nella peggiore delle ipotesi dopo 6 ore”, dove comincia il processo di estrazione. L'impianto scelto è l'Alfa Laval NX x17, una macchina che lavora 10 quintali di olive all'ora, “teoricamente a tre fasi, ma alle volte lavoriamo a due”, con frangitore a dischi e tre gramole, “ma spesso ne utilizziamo solamente due”. La pisciottana viene lavorata a tre fasi senza aggiunta di acqua, “o con al massimo solo un 3%”, e passa poi poco tempo in gramola, “una dozzina di minuti a circa 23/4°C”, una scelta che comporta una perdita di resa “perché in questo modo la macchina perde capacità lavorativa”. Ma quanto? “Invece di 12 quintali di olio, ne avrò all'incirca 8”. Ben 4 in meno. Ma vale la pena? “Per me l'olio è emozione, istinto, impulso, passione. Sì, vale sempre la pena perdere la resa per la qualità se si ama il prodotto”. Dopo la fase di gramolatura e decantazione, l'olio viene filtrato e conservato sotto gas inerte.
Le tecniche di frangitura
Come abbiamo detto, però, ogni oliva richiede un tipo di lavorazione diversa. Un esempio? “Ho notato in questi anni che le olive che presentano un sentore di pomodoro” come l'itrana (oliva di Gaeta) “solitamente sono quelle che richiedono meno tempo in gramola di tutte. Poco meno di 10 minuti e poi subito nel decanter”. Questo perché hanno una quantità ridotta di fenoli, le sostanze che conferiscono l'aromaticità al prodotto, e per questo motivo “occorre lavorarle poco per preservare tutti i profumi”. Bisogna stare attenti anche con il frangitore, da adoperare con cura “per riuscire a conferire le giuste sensazioni di amaro e piccante”. Perché è proprio in questa fase che le percezioni tipiche dell'olio vengono sviluppate e i modi di lavorare anche in questo caso sono diversi: “i frangitori variano a seconda delle griglie o dei dischi, che possono essere più o meno ravvicinati”. Più che i tempi, quindi, secondo Marsicani in questa fase è “il settaggio del frangitore” a fare la differenza.
L'annata difficile, i trattamenti e la potatura
Scegliere la qualità a discapito della resa implica una perdita produttiva notevole, specialmente in un'annata come quella appena trascorsa. Per Nicolangelo, l'ostacolo maggiore durante la scorsa campagna olearia è stato rappresentato da“tutta l'acqua che c'è stata a giugno, che ha fatto ingrossare il nocciolo, e poi la seguente siccità e le ultime piogge, proprio nel momento della raccolta. L'oliva risultava ingrossata ma praticamente priva di olio”. E la mosca? “Non è il problema principale. Oramai abbiamo tutti gli strumenti per combatterla. La conosciamo da tempo, non ci sono più scuse: chi vuole fare un buon lavoro sa come evitarla”. Insomma, non bisogna mai perdere di vista quel che accade in campo: “Se continuiamo con questo ritmo – un'annata buona e una cattiva – non saremo più in grado di sostenere la mole di lavoro”.
Fondamentale per la qualità delle olive è la potatura, in questo caso di tipo meccanico, che avviene alla fine di ogni inverno, “ma attualmente stiamo valutando di effettuarla anche durante la fase di mignolatura, ovvero l'emissione delle infiorescenze chiuse”, racconta l'agronomo Leonardo. “Questo ci consentirebbe di intervenire sulla pianta a seconda del potenziale di olio che ha, ma per ora è ancora in fase sperimentale”.
E la potatura sulla chioma come deve essere? “Ci sono tante credenze antiche secondo le quali all'interno della chioma dell'ulivo ci dovrebbero essere spazi sufficientemente grandi per il passaggio degli uccelli”. Ma la realtà è molto diversa e, leggende contadine a parte, la potatura deve essere contenuta: “Nel momento in cui apriamo di più la chioma, favoriamo l'immissione di luce, per cui limitiamo il ristagno dell'umidità con seguente occhio di pavone, ma riscontriamo poi dei problemi di efficienza della distribuzione della linfa”. La distanza ideale? “Per frantoio, leccino e moraiolo noi ci teniamo sui 2 metri di spazio massimo fra rami e tronco”.
Nicolangelo Marsicani | Morigerati (SA) | Contrada Croceviale | tel. 0974 982063 | www.marsicani.com/
a cura di Michela Becchi
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