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Accordi sul nucleare. L'Iran post-sanzioni e l'export italiano. Quali prospettive per l'agrolimentare?

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Con lo storico accordo sul nucleare, cosa cambierà per l'export italiano nel Paese del proibizionismo? Bene meccanica, infrastrutture e metallurgia, in controtendenza l'agroalimentare, quasi inesistente il vino. L'analisi: dalla rivoluzione khomeinista ai giorni nostri.

Non sarà certo il vino il primo beneficiario degli accordi sul nucleare - e relativo stop alle sanzioni - sottoscritti martedì dall’Iran e dal gruppo dei “5+1” (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania), ma magari il vento è pronto a cambiare.

 

Gli anni prima delle sanzioni

Ricordiamo che prima delle sanzioni - nel periodo 2000-2005 - il totale dell'export italiano verso l’Iran è cresciuto a un ritmo superiore a quello delle importazioni iraniane dal mondo, 23,5% rispetto a 17,8% (dati Sace). L'Italia era tra i primi partner commerciali dell'Iran, scivolando poi al nono posto, ma rimanendo comunque nella top ten, insieme alla Germania (unici due Paesi dell'Ue). Il primo colpo alle nostre esportazioni è arrivato con le prime sanzioni all'Iran del 2006 che hanno portato a un -19% dell'export italiano. Poi, con con l'entrata in vigore del regolamento UE n. 961/2010 (contenente le misure restrittive nei confronti dell’Iran tra le più severe mai adottate in sede comunitaria) il calo è stato del 25%.

 

Rilanciare le imprese italiane in Iran

Adesso si tratta di recuperare il tempo perso, soprattutto rispetto ai concorrenti che in questi anni hanno continuato a “frequentare” questo mercato (Cina e India in primis): il ritiro graduale delle sanzioni in vigore potrebbe infatti portare a un incremento dell’export italiano di quasi 3 miliardi di euro nei prossimi 4 anni, secondo le proiezioni Sace 2018.

E il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, ha già annunciato che è pronto un piano per rilanciare le imprese italiane in Iran. “Prodotti e know how italiani sono ancora molto apprezzati in quel mercato” ha detto il Ministro “e mi auguro quindi di poter presto riprendere un percorso di collaborazione bilaterale che ci riporti ai livelli di un tempo, anche attraverso una nostra missione economica e imprenditoriale che contiamo di organizzare fin dalle prossime settimane”. Si dice pronto a sostenere questa ripresa dei rapporti anche l'Ice-agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, con la sua sede di Teheran, che anche negli anni delle sanzioni ha continuato ad assistere le Pmi italiane nel Paese.

 

L'agroalimentare

In questo contesto, merita un capitolo a sé il settore agroalimentare, le cui esportazioni non sono mai del tutto cessate, sebbene con numeri non troppo elevati, come ricorda Roberto Luongo, direttore generale dell'Ice: La meccanica strumentale rappresenta oltre il 50% dell’export destinato al mercato iraniano. Altri settori a forte potenziale di crescita sono quelli delle infrastrutture, della chimica-ambiente e della metallurgia. Le esportazioni agroalimentari italiane verso l'Iran, invece, segnalano volumi molto ridotti sebbene negli ultimi dieci anni, in controtendenza rispetto agli altri settori, sono aumentate fino ad attestarsi su circa 10 milioni di euro del 2014”. I prodotti italiani particolarmente apprezzati sembrano essere gli aceti, le conserve vegetali, l'olio di oliva e i dolci.

 

Mercato e consumo di vino in Iran

Di contro le esportazioni italiane di vino in questo Paese non sono mai brillate (storia a sé fa un eventuale “mercato nero”, impossibile da quantificare): nel periodo pre-sanzioni (2005) non superavano le poche migliaia di euro - per poi azzerarsi totalmente - e, come ci riferiscono dall'Ice al momento non è ipotizzabile una diversa tendenza se non eventualmente legata ad un futuro sviluppo turistico. Non di certo per colpa di dazi esagerati: i dazi all’importazione su tutti i prodotti vitivinicoli provenienti dall’Ue sono del 4%. Piuttosto bassi, come riferisce l'Uiv (Unione Italiana Vini).

 

Il fattore religione

Il problema, semmai, è la componente religiosa, ancora molto forte, con il proibizionismo che ne deriva. Senza dimenticare i retaggi di una politica repressiva reintrodotta 36 anni fa con la cosiddetta rivoluzione khomeinista, dal nome del suo artefice, Ruhollah Khomeini (al potere nel decennio 1979-1989). È chiaro che costumi così intransigenti, non impediscono a una popolazione giovane di avvicinarsi ai gusti e ai comportamenti occidentali (“satanici” secondo una definizione cara alla Repubblica Islamica dell'Iran): il Paese ha una popolazione di circa 80 milioni di abitanti, di cui il 70% sotto i 40 anni. Molti di loro, saputo dell'accordo e solo dopo aver finito il digiuno, lo scorso martedì si sono riversati nelle strade a festeggiare. In pubblico nessuno può bere vino, ma in privato c'è chi lo fa. Tra gli alcolici preferiti c'è l’Arak, un tipico distillato persiano. E le contraddizioni non finiscono qua. Pare che in ogni casa iraniana, non possano mancare - in una, evidentemente, non facile convivenza - il Corano e il Canzoniere del poeta Hafez (1350-1390) conosciuto soprattutto per i versi dedicati al vino: “L’eternità sta nel vino, coppiere, a me. Versane l’ultima goccia: lassù non fiorita è radura, non quale a Shiraz riva d’acque...”. Un'apertura al vino antica di sette secoli?

 

Le previsioni dei produttori

Ma torniamo alle esportazioni. Le cantine italiane interpellate dal Gambero Rosso, con l'aiuto dell'Uiv, su un eventuale sbocco nell'Iran del post-accordo rispondono con un rassegnato “Credo proprio che per noi non cambi nulla, a prescindere dalle sanzioni economiche rimosse. Purtroppo da ciò che sappiamo il consumo di prodotti alcolici in Iran è vietato è punito”. Ricordiamo a tal proposito uno dei più famosi reportage di Oriana Fallaci (comprensivo di intervista all'ayatollah Khomeini) dove veniva citato proprio il vino tra i prodotti messi al bando: “Che tu sia straniero o iraniano”, scriveva la Fallaci sul Corriere della Sera “non esiste un ristorante che ceda alla richiesta di un bicchiere di birra o di vino; la risposta è che a infrangere il comandamento si buscano trenta frustate e del resto ogni bottiglia di alcool venne distrutta appena lui lo ordinò. Whisky, vodka e champagne per milioni di dollari”. Era la fine del '79 e chi c'era ricorderà le immagini di bottiglie prestigiosissime (non mancavano i più blasonati marchi francesi) distrutte su ordine di Khomeini. Da allora poco è cambiato da questo punto di vista. Cambierà qualcosa con questa nuova apertura? Ci sono i presupposti affinché il vino torni a sgorgare nella terra che - secondo le teorie più accreditate - diede il nome al Shiraz, uno dei vitigni più noti al mondo?

 

 

a cura di Loredana Sottile

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 16 luglio.

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