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Gasdotto Tap e la strumentalizzazione degli ulivi in Puglia: il patrimonio agricolo italiano non è un ostacolo allo sviluppo economico

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È necessario l'espianto temporaneo di 211 ulivi secolari in Salento, nella provincia di Lecce, per realizzare un progetto iniziato lo scorso anno che si propone di portare miliardi di metri cubi all'anno di gas naturale dalla frontiera greco-turca all'Italia. È il Gasdotto Trans-Adriatico, iniziativa che ha incendiato gli animi di ambientalisti e agricoltori pugliesi. Perché gli ulivi non sono un ostacolo, ma un patrimonio da tutelare. Ma prima del Tap chi si è mobilitato per il territorio pugliese?

Il Tap

878 chilometri di lunghezza per un'altitudine massima di 1800 metri tra i rilievi albanesi e una profondità massima di 820 metri sotto l'Adriatico: sono queste le misure del Tap (Trans-Adriatic Pipeline), Gasdotto Trans-Adriatico che dalla frontiera greco-turca attraverserà Grecia e Albania per approdare in Italia, nella provincia di Lecce permettendo l'afflusso di gas naturale proveniente dall'area del Mar Caspio (Azerbaigian) in Italia e in Europa. Un progetto con sede a Baar, in Svizzera, nato per iniziativa della Elektrizitäts-Gesellschaft Laufenburg (EGL), ora denominata Axpo, società attiva soprattutto nel trading di elettricità, gas e prodotti finanziari energetici; un'iniziativa che si propone di portare circa 10 miliardi di metri cubi all'anno di gas naturale, una quantità pari a quella utile per coprire il fabbisogno di 7 milioni di famiglie. Ad approvare il progetto, l'ex Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi, che il 20 maggio 2015 ha firmato il Decreto di Compatibilità Ambientale di Autorizzazione Unica, abilitando la costruzione e l'esercizio dell'opera, iniziato lo scorso maggio 2016.

L'espianto e il re-impianto degli ulivi

211. È il numero degli ulivi secolari pugliesi che devono essere temporaneamente espiantati per la costruzione del piccolo tratto italiano del gasdotto, per essere poi ripiantati nello stesso posto a lavori ultimati. 60 milioni sono gli alberi (circa 300mila quelli definibili secolari) che caratterizzano il paesaggio della regione che, da sola insieme all'Andalusia, rappresenta il 33% della produzione olivicola mondiale. Stiamo parlando neppure dello 0,1% del patrimonio regionale. Su questo si svolgono scontri, isterismi e battaglie politiche. Per carità, una ricchezza inestimabile che porta con sé millenni di storia, cultura, civiltà e tradizioni va presa sempre sul serio, anche si dovesse parlare di una sola pianta. Specie se ci sono rischi. Ma ci sono?

Abbiamo cercato di capire se è possibile re-impiantare gli alberi senza deteriorare l'eco-sistema del territorio e la pianta stessa. “Se viene conservato con cura, l'ulivo non subisce grandi danni”, spiega il professore di Scienze e Tecnologie Alimentari all'Università degli Studi di Perugia Maurizio Servili. “Occorre tenere bene inumidite le radici ma quella del re-impianto è ormai una tecnica assodata. Potrebbe esserci una piccola crisi dovuta al trapianto per il primo anno e mezzo, ma la produzione poi – prese le dovute accortezze necessarie alla cura dell'albero, dalla potatura al trasporto – ripartirebbe normalmente”. E continua: “Le vere emergenze dell'uliveto Puglia sono ben altre e le conosciamo tutti”.

La vendita di ulivi: il silenzio che va avanti da anni

Le conoscono anche i politici, manifestanti, poliziotti, attivisti coinvolti nelle proteste? Il patrimonio agroalimentare pugliese e nazionale viene strumentalizzato già da tempo: quello del Tap non è certo il primo episodio che vede le nostre piante minacciate da decisioni di governi e amministrazioni locali. Da anni, migliaia e migliaia di ulivi secolari vengono espiantati ed esportati verso le ville del resto d’Italia, dove sono utilizzati come ornamento, elemento di arredo a scopo puramente estetico. Pagati minimo 4-5mila euro l'uno, a discapito della produttività regionale. “Quante piante dalla Puglia sono partite per il Nord Italia?”, continua Servili. E aggiunge: “E quante invece si stanno seccando? Quante sono stati uccise dalla Xylella?”. Un esempio su cui riflettere che invita a ragionare sul silenzio che da anni oscura la vendita di ulivi specie in Lombardia e nel Nord Italia. Perché abbiamo dovuto attendere il Tap per prendere coscienza della rimozione di centinaia di piante? Perché gridare allo scandalo solamente ora? Perché il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, gli attivisti o i ministri non si sono mobilitati prima contro lo sradicamento degli ulivi? “Se qualcuno avrà sradicato o avrà abbattuto un olivo, sia di proprietà dello Stato sia di proprietà privata, sarà giudicato dal Tribunale, e se sarà riconosciuto colpevole verrà punito con la pena di morte.” (Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 330-322 a. C.). Risale a secoli fa questa norma del regime politico dell'antica Atene pensata dal filosofo Aristotele e oggi più che mai attuale. Ma se l'eradicazione delle piante è una pratica da eliminare, o quantomeno contenere e svolgere secondo parametri rigorosi da agronomi competenti, allora deve essere denunciata sempre, non solo quando fa comodo per strumentalizzare masse inconsapevoli.

Le proteste: i No Tap e le risposte dei politici

Le proteste anti-Tap in Salento non sono mancate. Venerdì sera (31 marzo 2017) due bombe carta sono esplose a Lecce, in piazza Carmelo Bene, vicino all’Hotel Tiziano nel quale alloggiano in questi giorni i poliziotti impegnati nelle operazioni di ordine pubblico al cantiere di San Foca, località costiera del Salento, parte della marina di Melendugno. Si chiamano No Tap e sono l'ultima forma di attivisti nata per difendere il patrimonio ambientale salentino. Il gasdotto transita per centinaia di chilometri in molti altri paesi, ma solo gli 8 km italiani stanno generando proteste. Sassi dei manifestanti e manganelli della polizia: questa la scena che si è consumata negli ultimi giorni di fronte ai cantieri e che ha coinvolto oltre 300 protestanti, con 8 feriti (nessuno in maniera grave) fra agenti e attivisti. In risposta,Emiliano ha commentato: “Il Governo dà la misura della sua incapacità di ascoltare e elaborare politicamente le richieste di una regione intera che ha nel suo programma di governo, elaborato dal basso e votato da centinaia di migliaia di pugliesi, lo spostamento dell’approdo del Tap in un’altra area”. E ha aggiunto: “La battaglia del Tap è diventata per il Governo un simbolo della sua volontà di non dare alcun peso al parere delle popolazioni residenti che devono ricevere grandi opere pubbliche ad alto impatto ambientale”. Ma il Decreto di Compatibilità Ambientale era già stato firmato, come ricorda il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare Gian Luca Galletti: "La commissione Via, organismo di valutazione indipendente dal ministero e da ogni indirizzo politico, ha prima valutato per mesi con il massimo rigore scientifico e poi dato parere favorevole con prescrizioni al progetto Tap: ciò significa che questo, ottemperate le prescrizioni della Via , rispetta in pieno le normative a tutela dell'ambiente".

I dubbi, la mancanza di chiarezza, la strumentalizzazione del patrimonio agricolo

Tanti gli interrogativi e i dubbi sul progetto. Sull'attuale tracciato (chi lo ha deciso?), sui finanziamenti pubblici europei (perché sono stati incamerati da una società-veicolo con azionisti svizzeri?) e sui privati (perché sono le aziende private a progettare dove, come e con chi costruire una grande opera tanto costosa?). E soprattutto: “È davvero necessario far passare miliardi di metri cubi di gas tra spiagge meravigliose e oliveti secolari, anziché dirottare i maxi-tubi in zone già industrializzate, che si potrebbero disinquinare con una minima parte dei fondi del Tap?”. Queste e altre criticità sono state analizzate sul numero attualmente in edicola de L’Espressoin un'inchiesta approfondita, mirata a fare luce sulle personalità coinvolte. Un'iniziativa che – non dobbiamo dimenticarlo – porterà nelle casse del comune di Malendugno circa 3 milioni di euro durante gli anni dei lavori che, se gestiti con intelligenza, potranno contribuire a migliorare l’infrastrutturazione fisica e digitale del territorio. Ma che certamente porta con sé perplessità, domande, critiche. Una sola la certezza: far passare il nostro straordinario patrimonio agroalimentare come un elemento di ostacolo allo sviluppo economico del territorio è quanto di più sbagliato si possa immaginare come strategia. Ogni protesta è utile per aumentare consapevolezza e attenzione su una questione, ma quando si travalica nella strumentalizzazione o addirittura nella violenza si ottiene esattamente il risultato opposto. Danneggiando ciò che si pretende di tutelare.


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