Il racconto del cibo non è solo legato alla trasmissione delle ricette, ma ricopre anche un ruolo culturale e sociale. E rispecchia una parte centrale della nostra vita, soprattutto da quanto il cibo è approdato in tv. Dai primi programmi degli anni '50 a oggi, ecco come è cambiata la televisione gastronomica secondo Maurizio Costanzo.
“Bello” importante quanto “buono”, il piacere del cibo che diventa ossessione e le ricette, che da protagoniste diventano comprimarie: i media, soprattutto web e tv, ci raccontano di come è cambiato il rapporto tra italiani e cibo. In questa trasformazione il “come si prepara” un piatto non è più la cosa più importante, o almeno non l’unica. La cura nell’impiattamento non è più esclusiva dei grandi chef e, dall'altra parte, prima di mangiare qualcosa bisogna fotografarla. Siamo nell’era del foodporn; ma quand’è che scambiarsi le foto del cibo ha preso il sopravvento sullo scambio di ricette?
Cibo e identità nazionale
Storicamente, prima ancora del Talismano della Felicità di Ada Boni(prima pubblicazione 1925, prima edizione originale 1927) la trasmissione delle conoscenze avveniva per tradizione orale, con raccolte di appunti casalinghi e attraverso i manuali. Se è alla tv che si attribuisce l’unità linguistica, è La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene a rappresentare la prima pietra miliare nella ricerca di un’identità gastronomica nazionale. Pellegrino Artusi nel cibo come Mazzini e Garibaldi nella politica; non solo per lo sforzo unificatore nell’aver censito 790 ricette, ma anche per aver dato voce a una sapienza che all'epoca (1891) era propria delle donne, col merito (oggi troppo spesso dimenticato) di essere ricordato anche come tappa significativa del percorso di emancipazione ed unificazione culturale del Paese.
Il federalismo gastronomico
Ma a ben guardare, a distanza di più di un secolo e malgrado la tv, ancora non è facile dare una definizione di cucina nazionale, a meno che non ci si limiti alla semplicità e alla freschezza degli ingredienti. Perché, anche e più di altre, quella italiana si caratterizza come una cucina delle regioni, delle centinaia di tipicità locali, e in questo si esalta. Fin dalle origini la tv ci ha raccontato di un’Italia caratterizzata da una sorta di federalismo gastronomico, dove l'unità è fatta dalla coesistenza di tante diversità, particolarità, e dove il campanilismo gioca da protagonista.
L’era moderna: dai tutorial ai talent
Anche in Italia è Gordon Ramsay che segna l'inizio dell'era moderna della cucina in tv. A lui si devono i format televisivi di successo degli ultimi anni. Con Ramsay l'attenzione non è più tanto sulla sapienza culinaria quanto sul protagonista. E malgrado sia uno chef pluristellato non propone una tv tutorial, tutt'altro. Insomma. Con lui cambiano la scena e le dinamiche: la cucina non è più un ambiente familiare con la morbida massaia che spiega, ma un inferno; non più un luogo dell'accoglienza ma una trincea, dove i concorrenti sono nemici da eliminare e il conduttore un Cerbero, il mostro a guardia degli inferi. Così il mosaico del cibo in tv si arricchisce di un altro tassello. Insomma: dai tutorial ai talent, oggi in Italia l'offerta televisiva di cibo è quanto mai variegata. “C'è cibo a qualsiasi ora e ogni volta mi chiedo se non ci sia del sadico nei confronti del pubblico, perché la tv non ha odori e sapori. Per me una tortura” dice Maurizio Costanzo “Ce n'è talmente tanto che si può anche ingrassare. Io poi sono a dieta da tutta la vita; conosco più dietologi che cuochi”.
Quando è che ci si accorge che il cibo in tv funziona?
Col giornalismo, col reportage d'autore, con Mario Soldati e il Viaggio nella valle del Po (1957). Quella era un tv colta, aveva uno spessore diverso, cercava le persone, i luoghi, le storie intorno e attraverso il cibo. Era però un periodo molto diverso da oggi.
Poi il tempo di Ave Ninchi e della sora Lella...
Una sora Lella oggi funzionerebbe ancora, magari in qualche talk show. Lei però era brava come ospite, ma attenzione: in tv sono molto diversi i ruoli di ospite e protagonista.
Lasciamo le origini: dopo gli anni delle ricette della tradizione, in tv arrivano le diete per dimagrire
Sì, consideri che negli anni ’50 e ’60 si doveva ingrassare, il benessere era associato all’opulenza, alla quantità, perché venivamo da periodi tremendi e di povertà. Negli ’80 e ’90 invece il contrario: i modelli di bellezza cambiano, arrivano Jane Fonda, l’aerobica e le diete per perdere peso.
Nel suo show non sono mai mancati dietologi, nutrizionisti ed esperti a vario titolo nel dimagrimento, come il dott. Lemme, quello che sostiene di poter far dimagrire specifiche parti del corpo, anche solo una caviglia o un gomito. Chi c’è in cima alla sua lista?
Pietro Migliaccio; mi ha fatto perdere 35 chili. E Sara Farnetti.
Con la tv contemporanea sono cambiate tante cose: dalla figura e il ruolo del cuoco ai nuovi stili alimentari, da una maggiore conoscenza diffusa ai temi etici.
Oggi in Italia i cuochi sono più famosi dei cantanti in hit parade: anche per loro ci sono le classifiche, chi sale chi scende, chi vince... E poi sono tanti e diversi, non c'è un unico modello di cuoco. Propongono cucine alternative e antagoniste fra loro, hanno riconoscibilità e credibilità, sono dei veri e propri personaggi; anche perché comunque sono bravi. Oggi un cuoco in vista è un leader carismatico. Sono anche loro che stimolano la disputa fra stili alimentari; sono diventati dei capi fazione.
Nel presente si è aggiunto un nuovo ruolo televisivo: dopo quello del cuoco, del concorrente e del dietologo ormai in tv c'è spazio per il ruolo del militante etico. Vegetariani, vegani, crudisti e tutte quelle appartenenze con marcate connotazioni ideologiche. Oggi nel cibo si è chiamati anche ad una scelta etica, di campo, di valori. È forse in cucina che si possono trovare alcuni spazi di confronto e scontro lasciati vuoti dalla politica?
In questi schieramenti c'è senz'altro una ricerca di identità, di appartenenza, consapevole o meno, soprattutto per le generazioni più giovani. È vero, è cambiato molto, e la politica non ha la stessa forza attrattiva di qualche decennio fa. Ma non è solo apprezzabile idealismo, le consideri anche come mode e opportunità di business. Ora ci sono i vegani? Benissimo: il mercato crea un segmento nuovo... Tutto sommato è buono per l’economia. Comunque il più bravo a fare il vegano è Crozza.
Ma lei in cucina…
No guardi, si fermi: io non so cucinare, non ho mai avuto la passione per la cucina, non so fare nemmeno il caffè.
D’accordo, niente cucina, ma il suo cibo di conforto?
Il gelato al cioccolato, ma siccome sono sotto tutela, senza zucchero.
a cura di Dario Pettinelli