Alla fine del 2016 è arrivata la seconda stella Michelin (le Due Forchette de Gambero Rosso invece già le aveva conquistate), per la prima volta a premiare la ristorazione trentina, che Alfio Ghezzi rappresenta da sei anni alla guida del ristorante delle Cantine Ferrari. Il suo è un percorso di riscoperta del territorio, che in cucina diventa ispirazione per trovare nuovi stimoli.
In cucina. Attraverso e per il territorio
Riappropriarsi del territorio, di ritorno tra le montagne dell’infanzia, quelle che oggi giocano da protagoniste sulla tavola della Locanda Margon. E cambiare registro, per ricominciare a lavorare in provincia. Non una fuga dalla città, piuttosto una sfida nuova, e nuovi interrogativi. Perché in fondo le risposte sono proprio lì, tra quelle montagne, le sue, quelle che Alfio Ghezzi porterà sul palco di Identità Golose tra qualche giorno, tra i relatori della sezione Identità di Montagna. E come potrebbe essere altrimenti, visto il rapporto che lo lega alle valli e alle vette del Trentino? Lui, che ad alta quota ritrova l’ispirazione, e che quando qualche mese fa si è trattato di ricaricare le batterie e trovare nuovi stimoli, è salito su un parapendio per una traversata in solitaria di oltre due settimane, da Trento all’Alpe d’Huez. Un modo estremo e dolce al tempo stesso per trovare una simbiosi più autentica con il territorio e chi lo abita: Attraverso… Senza lasciare tracce, come ha voluto ribattezzare l’esperienza, che è diventata pure case history per la platea di Ted X Trento, lo scorso 27 novembre. Cosa c’entra questo con le cucine blasonate, la mondanità del ristorante di casa Ferrari in Lunelli, la rigorosa visione gastronomica di uno chef d’esperienza allievo di Gualtiero Marchesi?
Sei anni di Locanda Margon. Tornare a casa
Più di quanto si possa immaginare prima di intavolare una lunga chiacchierata con lo chef, che di quel territorio sempre più spesso sbandierato dalla cucina contemporanea come paravento per nascondere una certa mancanza di personalità, ha fatto il baluardo di una solida identità, punto di partenza (e non di arrivo) della ricerca gastronomica: “Come posso interpretare al meglio il territorio? Quando nel 2010 ho scelto di lasciare la città per tornare tra le mie montagne è stata la prima domanda che mi sono fatto”. Un quesito sempre attuale, anche oggi che la Locanda Margon, grazie a un lavoro di continuità e alla meticolosa formazione di una brigata di giovani promettenti, veleggia tra le tavole più apprezzate della Penisola, nel rispetto del ruolo che la sua posizione gli impone – costola gastronomica delle Cantine Ferrari, suggestiva villa cinquecentesca tra le vigne della proprietà, 40 più 20 coperti in veranda – ma pure capace di rivendicare la propria autonomia. Una fisionomia precisa che porta la firma di chef Ghezzi, classe 1970, una laurea in filosofia, trascorsi importanti al fianco del maestro Marchesi prima, Andrea Berton poi. Dal 2010 al timone della Locanda, alle porte di Trento. Nel mezzo anche un Bocuse d’Or (Italia) vinto nel 2012. Alfio Ghezzi oggi è uno chef che sa parlare di etica e comarketing, formazione e imprenditoria della ristorazione incanalando il discorso su un binario coerente, pur ricco di stimoli diversi che convivono tra loro. E probabilmente questa, la curiosità di gestire spunti molteplici (“la multidisciplinarietà del cuoco”, come la chiama lui) è la sua forza.
La cucina come concetto spaziale
“Il cuoco deve essere in grado di elaborare gli stimoli, la sua cucina diventa un concetto spaziale all’interno del territorio, deve saper essere descrittiva, e ugualmente assertiva. In questo percorso l’elemento assertivo, il valore aggiunto, è l’esperienza del cuoco”. Che significa, per esempio, essere in grado di approcciare il prodotto senza una logica talebana, inventando nuovi legami tra ciò che è vicino e quanto di buono si scopre lontano. E questo succede ogni giorno alla Locanda Margon, dove arrivano la carne degli yak allevati allo stato brado in Val d’Ambez e lo zafferano della Val di Gresta (“se ne producono solo 120 grammi ogni anno”), l’extravergine dop di Riva del Garda e le chiocciole di Borgo San Dalmazzo, che brucano sui pascoli delle Alpi Marittime Meridionali: “Mi piace l’idea di una cucina contaminata, che sappia raccontare, e intavolare relazioni privilegiate con i produttori”. Una visione chiara, che negli ultimi tempi sta virando verso la ricerca di semplicità, per offrire al commensale un’esperienza immediata, poco complessa: “La nostra cucina è riconoscibile, non cerchiamo di fare capriole, ci piace togliere più che mettere”.
La Locanda Margon
Il connubio con il vino
Eppure uno chef che convive con un patrimonio vinicolo apprezzato in tutto il mondo deve confrontarsi con una sfida in più, “una vera opportunità, perché il vino diventa uno stimolo, spesso sottovalutato dalla cucina, per ideare nuovi piatti”. Come il Blanc de Blancs di baccalà con crema di porri e patate e zuppetta allo Chardonnay, oggi tra i signature dish di maggior successo. O Riso e bollicine, mantecato con erborinato di capra e Ferrari Perlé Rosé. Il processo però è complesso: “Il cuoco deve saper incontrare le esigenze dell’enologo, prestare attenzione ai profumi. E poi ci sono gli ingredienti vietati, quelli di difficile abbinamento: banditi i fondi troppo ristretti, attenzione al pepe. E invece consigliabile ricercare pseudo-dolcezze. Ostacoli che finiscono per diventare uno stimolo per tutta la brigata”.
Riso e Bollicine
La ristorazione di provincia. E la sfida del Trentino
Come del resto i premi, ultimo in ordine di tempo la seconda Stella Michelin (la prima nel 2011), lo scorso dicembre a Parma: “Sono dell’idea che per migliorare ci sia bisogno del riconoscimento. Specialmente per i ragazzi è molto importante(in cucina si lavora in 4, altrettanti sono in sala, ndr)”. Ma lui, se l’aspettava? “Da un paio d’anni cercavamo di lavorare su un cambio di passo, sulla cura dei dettagli, sulla ricerca di continuità. Se cambia la mentalità di chi sta in cucina, cambia anche l’atteggiamento di chi si siede al ristorante”.
E di fatto l’ultimo premio della Rossa ha acceso i riflettori sulla ristorazione di un territorio che più lentamente di altri sta trovando la propria strada per emergere: “Il Trentino è una zona cuscinetto, tra territori molto forti come l’Alto Adige o la zona del Garda, siamo raggiunti dal turismo internazionale. E le idee non mancano, ci sono colleghi giovani e molto preparati. Però per affermare un cambiamento di passo ci vuole tempo, bisogna costruire e saper mantenere”. D’altro canto il tempo può giocare anche a favore di un territorio di provincia: “In città è più semplice farsi notare, ma la parabola è più corta. Qui tutto è più duraturo, io sono tornato al mio modo di essere e di vivere. E anche l’ospite è più sobrio, non subisce quel bombardamento di stimoli della città. Si può impostare un discorso diverso, impegnativo, che ripaga gli sforzi”. Nello specifico dalla piazza privilegiata delle Cantine Ferrari si cerca di accontentare l’ospite locale come il pubblico internazionale in cerca dell’ambiente esclusivo promesso dal prestigio del brand.
Il Crudo e il Cotto
Il minimalismo al servizio del territorio
La chiave di volta? Una rielaborazione personale di quel minimalismo marchesiano “che ha lasciato una traccia importante”. Ma guai a parlare di moda, oggi che molti hanno scelto di votarsi al dio dell’essenzialità: “Usciamo da anni di tecnica estrema, che mentre raggiungeva l’apice della sua parabola ci aveva fatto deviare dall’obiettivo, e cioè scavare per fare meglio. Un layout minimale, due ingredienti nel piatto, cotti bene e serviti alla temperatura corretta. La complessità la riserviamo alla migliore gestione possibile della materia prima”.
Un esempio nel piatto? L’Insolito Trentino, “all’apparenza un semplice spaghetto in bianco, e invece un sorprendente equilibrio di acidità e aromaticità con gli ingredienti del nostro territorio”: spaghetti Monograno Felicetti, extravergine Uliva, Trentingrana e Ferrari Perlé. E così si ritorna ancora una volta a parlare di territorio, all’urgenza di preservarlo, di tornare a valorizzarlo senza sfruttarlo: “Vent’anni fa Serge Latouche sosteneva che un cuoco che non si interessa di ambiente è sicuramente deficiente, nel senso che manca di qualcosa. Io ho ritrovato un rapporto più autentico con la mia terra, che ora è la mia forza”. E adesso, fresco dell’ultima conquista, che succede? “Sono stati sei anni di crescita, ora è giusto far sedimentare i risultati raggiunti. Non voglio ripartire subito con un nuovo obiettivo, ma lavorare bene con tranquillità. Perché diventi la nostra quotidianità”. Anche se una priorità che detta legge nella cucina di Alfio c’è: “Lavoriamo per comunicare generosità all’ospite. E questo sarà sempre il nostro primo obiettivo”.
Insolito Trentino
Locanda Margon | Trento | via Margone di Ravina, 15 | tel. 0461 349401 | www.locandamargon.it
a cura di Livia Montagnoli