Il Noma chiude ufficialmente il 24 febbraio. A far parte di questo incredibile progetto gastronomico quattro italiani che, nonostante il lavoro estenuante, sembrano intenzionati ad accompagnare René Redzepi anche nel nuovo Noma. Nessuno, però, esclude un percorso da attore protagonista. Anzi, due di loro quest'estate apriranno un ristorante pop-up. Ecco cos'altro ci hanno raccontato.
L'ultimo servizio si terrà il 24 febbraio, dopodiché una grande festa e la chiusura di un ciclo chiamato Noma, il ristorante di René Redzepi che ha portato Copenaghen nelle prime pagine dei magazine di tutto il mondo, creando in un certo senso dal nulla la tradizione gastronomica danese e contribuendo all’evoluzione di quella scandinava. Un ciclo, dicevamo, che getta le basi per un progetto altrettanto importante in una grande proprietà acquistata dallo chef alle porte di Christiania. Sarà il nuovo Noma, pronto a trasformarsi in fattoria urbana autosufficiente. A far parte di questa impresa, passata e futura, quattro italiani (oltre ai molti stagisti) che nonostante la fatica, la pressione e le 85 ore settimanali di lavoro, sembrano intenzionati a resistere alla new wave of Noma. Loro sono Riccardo Canella, Stefano Ferraro, Edoardo Fiaschi e Jessica Natali. A loro abbiamo chiesto come si vive in questi giorni nelle cucine del Noma.
Riccardo Canella
Mestrino, 1985. Sous chef della cucina di servizio - lavora al Noma da settembre 2014
In queste ultime settimane al Noma stanno arrivando molti amici e chef. René è gasato, sembra un bambino! Tre settimane fa è venuto Ferran Adrià, erano sette anni che mancava dal ristorante. Vi lascio immaginare l'emozione di René e la tensione che si respirava. Queste ultime settimane sono più intense, è come se avessimo aperto un pop-up, siamo tutti (di nuovo) fuori dalla confort zone. È incentivante. In cucina c'è molta energia e - ma questo è un mio pensiero - c'è il menu migliore di sempre, più focalizzato sul gusto, appagante, dove ogni portata è “forte”. Dal canto mio sono orgoglioso e onorato di far parte della chiusura di questo progetto. Il 24 sarà il nostro ultimo servizio e il 25 febbraio ci sarà una grande festa, dove non cucineremo ma ospiteremo gli ex allievi del Noma, quelli che stanno vicino a Copenaghen. Ancora non me ne rendo conto, se ci penso scatta subito la nostalgia. E il ricordo necessariamente torna alla prima volta che ho messo piede nelle cucine del Noma: era il settembre del 2014, ero uno stagista con alle spalle una formazione classica. Non capivo il senso di tutte quelle fermentazioni o della cottura messa in secondo piano. Oggi mi è tutto più chiaro, e condivido in pieno la scelta di non inserire nel nuovo locale le piastre a induzione: ci saranno solo 20 metri di barbecue, che reputo il futuro della cucina, e una stufa.
Progetti futuri? Voglio far parte dell'apertura del nuovo locale e lavorarci per almeno uno o due anni. Parliamo di un edificio enorme, in cui ci saranno gli spazi adeguati, che ormai al Noma mancano, dove René penso voglia fare una sorta di scuola o fondazione. Lui ha la capacità di trovare i talenti e mettere le persone al posto giusto. Poi non escludo di aprire qualcosa di mio. In questi giorni, però, è difficile trovare il tempo per pensare.
Stefano Ferraro
Torino, 1986. Sous chef della pasticceria - lavora al Noma da aprile 2016
Se penso a quello che il Noma ha rappresentato negli ultimi anni, è decisamente emozionante. Solitamente non ci si ferma mai a riflettere, perché si è concentrati sulla routine, ma nelle ultime settimane il quotidiano countdown di René ce lo ricorda eccome che cosa sta succedendo! Ti rendi conto che stai facendo la storia della gastronomia mondiale, e che si parlerà del Noma anche tra dieci anni (un po' come è successo per il Bulli). È appagante. Così come lo è avere la consapevolezza di lavorare in un luogo dove si fa costantemente ricerca. Qui si studiano le tecniche adatte per creare le ricette dei diversi piatti. Il mio compito, per esempio, è quello di concretizzare le ricette ideate nella Test Kitchen dal pastry chef Malcolm Livingston II. E per farlo ho l'aiuto di sette persone. Ecco, un altro aspetto positivo del Noma è che può contare sul lavoro di una cinquantina di persone in cucina, con un rapporto cuochi/clienti di quasi 1:1.
Progetti futuri? Stare con la famiglia Noma per almeno altri due anni. Prima partirò per il Messico (ndr. da aprile a maggio René porterà il Noma a Tulum), poi un mese di vacanza e verso luglio tornerò a Copenaghen, per il nuovo capitolo della “storia del Noma”. Non escludo, ovviamente, l'idea di aprire un locale tutto mio di fascia medio-alta. Essendo di Torino mi piacerebbe tornare - il format tra l'altro funzionerebbe nella città sabauda - ma se penso alla burocrazia, al costo del lavoro e alle tasse italiane… mi passa la voglia. Molto meglio rimanere (e investire) a Copenaghen.
Edoardo Fiaschi
Firenze, 1990. Capo partita degli snack, lavora al Noma da maggio 2015
René nell'ultimo mese ha un atteggiamento quasi nostalgico e il clima che si respira è bello, anche a livello di team. Ci si aiuta molto di più e i momenti di tensione sono meno frequenti, sarà il fatto che lasceremo questo posto e che si sta chiudendo un bel capitolo. Ho avuto la netta sensazione di questa atmosfera surreale solo sabato, quando mi sono fermato per un attimo a riflettere. È stato anche l'attimo in cui ho tirato le somme: nei due anni di Noma non ho imparato a cucinare (qui ci entri solo se hai le basi) ma ho appreso tecniche nuove, a cominciare dal foraging e dalle fermentazioni, e ho imparato ad approcciarmi agli ingredienti con grande sensibilità, nonostante la tensione che si respira costantemente. Al Noma non ci si sente mai comodi.
Progetti futuri? Farò parte del team del nuovo Noma. Prima però, dal 15 luglio al 15 agosto, aprirò con Riccardo (Canella) e il sommelier Luca Pronzat' un pop-up all'interno di un bel locale a Biarritz: Carøe. Ci saranno una ventina di coperti e un menu di 5 o 6 portate a 50/60 euro, che cambierà praticamente ogni giorno in base al mercato del pesce. Un menu principalmente di mare che non esclude gli altri incredibili prodotti del sud della Francia, come gli insaccati o i latticini baschi.
Jessica Natali
Civitanova Marche, 1993. Chef di partita ai piatti caldi, lavora al Noma dal 2014
Al Noma abbiamo sempre vissuto gli “ultimi servizi”, penso a prima di aprire per il Giappone (pop-up di Tokyo) o per l'Australia (pop-up di Sydney), quindi questi giorni li sto vivendo in maniera abbastanza tranquilla. So che ci trasferiremo in Messico e che dopo questa esperienza inizierà un nuovo capitolo, quindi la chiusura del Noma non rappresenta affatto una delusione. Anzi, sono molto entusiasta e non vedo l'ora di iniziare la nuova avventura. Bando dunque alla nostalgia, con la consapevolezza che questi tre anni passati a Copenaghen mi hanno fatto crescere. Ora ho più fiducia in me stessa, so come tenere duro e quali sono le soluzioni migliori, da prendere velocemente, quando mi trovo di fronte a una difficoltà. Ho anche imparato a riconoscere e soprattutto a correggere i miei errori. Il Noma è una scuola, anche di vita.
Progetti futuri? Rimanere al fianco di René, anche perché ora non sento l'esigenza di cambiare. D'altra parte al Noma non ci si annoia mai.
a cura di Annalisa Zordan