La viticoltura non è solo fatta di filari: oltre ai più comuni metodi di coltivazione a spalliera esistono altri sistemi, ormai praticati solo in aree molto circoscritte della Penisola. Oggi vi parliamo della maggiorina.
L’immagine consueta di un vigneto è un susseguirsi di filari, che con il loro andamento geometrico, creano un paesaggio lineare e ordinato. L’allevamento della vite a spalliera, che consente la meccanizzazione parziale o totale del lavoro, ha ormai preso il sopravvento sulle forme più antiche, che si adattavano alla diversa conformazione del terreno o a condizioni climatiche particolari.
Tuttavia, un sistema d’allevamento della vite ereditato da un lontano passato, esiste ancora nel novarese, in particolare nella zona di Boca e Maggiora. Si tratta dell’impianto a maggiorina, conservato da pochi produttori come memoria storica della regione. Fin dai tempi degli antichi Romani, l’Alto Piemonte è stato un territorio molto vocato per la viticoltura. Dall’epoca Medioevale in avanti troviamo numerose testimoniane della fama dei vini delle colline novaresi, che venivano esportati il Lombardia, Francia e Svizzera. Una tradizione che si è consolidata nel corso dei secoli, rafforzando il carattere prettamente agricolo dell’economia dell’area.
La trasformazione del paesaggio del novarese nel '900
All’inizio del secolo scorso, il vigneto della zona di Boca e dintorni aveva un’estensione di circa 10.000 ettari, che oggi si sono ridotti a qualche decina. Alcune devastanti grandinate e soprattutto il rapido processo d’industrializzazione del secondo dopoguerra, hanno cambiato il tessuto sociale e il volto del paesaggio. Le industrie manifatturiere, con la promessa di un salario sicuro e di una vita meno faticosa, hanno attratto molta manodopera, che ha abbandonato progressivamente le vigne. Nel giro di pochi decenni, un patrimonio secolare di viticoltura è stato travolto dal progresso industriale.
Si resta stupefatti e increduli di fronte alle foto aeree del periodo di massimo splendore del grande vigneto del novarese, messe a confronto con il paesaggio odierno. I boschi si sono riappropriati delle colline, espandendo via via la loro superficie. Se ci si addentra tra alberi e arbusti, si possono ancora trovare le tracce di terrazzamenti e dell’antico lavoro dell’uomo per adattare i terreni alla coltivazione della vite. È un’esperienza straniante e paradossale, un viaggio nel tempo a ritroso. Per solito, infatti, siamo abituati a vedere paesaggi, che da selvaggi e incolti si sono trasformati in terre sfruttate da un’agricoltura intensiva, e non l’esatto contrario. Le ampie zone boschive, che oggi coprono gran parte delle colline, contribuiscono a creare un ambiente con una grande biodiversità di flora e fauna e proteggono le vigne dai venti freddi che scendono dal Monte Rosa.
La superficie vitata oggi
Questa radicale diminuzione della superficie vitata, ha avuto il vantaggio di salvare le parcelle migliori e storicamente più vocate.Le esposizioni soleggiate rivolte prevalentemente a sud, il clima fresco ma temperato e le notevoli escursioni termiche, garantiscono la produzione di uve di grande qualità. I terreni sono costituiti da suoli ricchi di scheletro, con poca terra, sabbie e ghiaie generate dal disfacimento di rocce di porfido rosa, che poggiano su un substrato di porfidi e graniti, generato da antiche eruzioni vulcaniche. La zona di Boca si trova, infatti, in prossimità dell’enorme caldera dell’antichissimo grande vulcano fossile del Sesia.Sono terre povere e con ph acido, che possiedono una grande varietà di minerali, utilissimi al sostentamento della vite.
La maggiorina
La tecnica della coltivazione della vite a maggiorina era realizzata piantando 3 o 4 viti molto vicine, al centro di un quadrato di circa quattro metri per lato. I lunghi tralci si allungavano verso i punti cardinali, sostenuti da otto pali di legno conficcati nel terreno. I ceppi potevano essere, a loro volta, sostenuti da un palo centrale ed erano tenuti insieme da legature a salice. Era un sistema adatto per coltivare la vite su terreni in pendenza e spesso battuti da forti venti. In prossimità della vendemmia, il peso eccessivo dei grappoli, soprattutto nelle giornate ventose, poteva far cedere i pali di sostegno, con il conseguente crollo dell’impianto. La struttura a quadrati indipendenti limitava il rischio a poche piante, preservando il resto del vigneto.
Tuttavia i danni erano spesso ingenti e fu l’architetto Antonelli, progettista della famosa Mole di Torino e originario di Maggiora, a modificare la forma della maggiorina. Tenendo conto dell’inclinazione dei terreni e del peso dei tralci carichi d’uva, definì il giusto grado d’inclinazione dei pali di sostegno, in modo che potessero sostenere le viti senza rischi. All’interno dei vigneti a maggiorina la densità delle piante è di circa 2000 ceppi per ettaro e spesso nello stesso quadrato convivono diverse varietà. Insieme al nebbiolo capita di trovare viti di vespolina, uva rara e croatina. Una compresenza figlia di un’antica consuetudine, che rispecchia l’uvaggio tipico del territorio, molto lontana dalla rigida monocoltura dei vigneti moderni.
Le vigne a maggiorina sopravvissute a Boca e Maggiora ci offrono una preziosa testimonianza del passato e dobbiamo ringraziare alcune aziende come Le Piane e Cantine Conti del Castello se questa tradizione è stata tenuta viva. Si tratta di una coltivazione che consente solo lavorazioni manuali e richiede una presenza continua in vigna e una cura costante delle piante. La libertà dei tralci, che possono crescere assecondando il naturale sviluppo di una rampicante come la vite, rende i ceppi molto longevi, con piante centenarie ancora perfettamente sane e produttive. Un pezzo della nostra memoria enologica da conservare, che vale un viaggio in queste terre ricche di storia e tradizione.
Le Piane | Boca (NO)| piazza G. Matteotti, 1| tel. 348 335 4185| http://www.bocapiane.com/it/home/
Cantine Conti del Castello | Maggiora (NO)| via Borgomanero, 15| tel. 0322 87187| http://www.castelloconti.it/
a cura di Alessio Turazza
foto: Le Piane
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