Da Firenze a Roma, il gigante statunitense della ristorazione veloce continua a incontrare nuovi ostacoli lungo il suo cammino per il Bel Paese. Nella Capitale, partono le polemiche dei cittadini contro una possibile apertura a Borgo Pio. Ma davvero una nuova insegna in città rappresenta una minaccia per i ristoratori locali?
Firenze e il mancato McDonald's al Duomo
Prima è stata la volta di #SaveFirenze, l'hashtag della pagina Facebook che raccoglieva le voci degli indignati per la possibile apertura di un McDonald's in centro città. Apertura mai avvenuta, intralciata da una mobilitazione di piazza, da migliaia di like di una campagna virale di oppositori che ha fatto il giro del mondo, tanto da essere ripresa dalla stampa americana. Era la seconda metà di giugno 2016 e attraverso le parole dei diretti interessati, dal sindaco Dario Nardella all'assessore allo Sviluppo Economico Giovanni Bettarini, cercavamo di ricostruire la polemica scoppiata in Consiglio fra le opposizioni. Uno scontro acceso circa un nuovo accordo sul regolamento Unesco, che aveva portato la percentuale minima di prodotti di filiera corta o del territorio al 50%, introducendo al contempo un sistema a punteggio per i ristoranti di nuova apertura. Deroga che aveva destato lo scandalo dei cittadini fiorentini, che accusavano Nardella di voler ricorrere alla modifica per consentire l'arrivo del fast food proprio dirimpetto alla cupola di Santa Maria del Fiore. Un'opzione inaccettabile per una parte della città, nonostante dietro la volontà di McDonald's ci fosse un progetto ben articolato e studiato.
Intanto a Roma...
Questa storia va avanti da trent'anni, ovvero dall'apertura del primo grande Mc a Piazza di Spagna a Roma. All'epoca il grande movimento di opinione anti-fast food fece nascere il movimento Slow Food, ad esempio. Oggi è di nuovo la Capitale a essere minacciata (?) dal possibile arrivo del gigante statunitense a pochi metri dal Passetto e dal colonnato di piazza San Pietro. Una settimana di incontri per concordare la linea e poi il comunicato, partito ieri, da parte del Comitato salvaguardia Borgo indirizzato alla sindaca Virginia Raggi e al I Municipio ha fatto partire la polemica. “Nelle aree tutelate come Borgo, riconosciuto patrimonio dell'umanità dall'Unesco, è vietato trasferire una licenza di somministrazione da un locale di cucina tradizionale a uno di cucina straniera. Ed è notorio che McDonald's segue standard applicati universalmente in tutto il mondo”, questo il punto sottolineato dai cittadini. Il ristorante di tradizione in questione, che ha chiuso per lasciare il posto a Big Mac e Happy Meal è il Ristochicco, locale a pochi passi da San Pietro che propone piatti tipici laziali e non, una cucina semplice e genuina impreziosita dal servizio veloce e attento. Questo, almeno, è quello che possiamo leggere su TripAdvisor. Su Ristochicco, infatti, considerato dai residenti un alfiere della cucina tradizionale romana al pari magari di Flavio al Velavevodetto, di Felice a Testaccio o di Arcangelo Dandini, le uniche menzioni si trovano su quel sito: nulla di nulla su guide, recensioni, riviste specializzate.
La ristorazione 'tradizionale': con o senza McDonald's
Comprensibile la preoccupazione dei cittadini per l'arrivo dell'insegna statunitense proprio al Vaticano, culla d'arte, storia e spiritualità. Un po' come tutta Roma del resto, dove i punti McDonald's di certo non mancano, neanche nelle aree del centro storico. È il caso di Piazza di Spagna, Fontana di Trevi e anche viale Giulio Cesare, proprio la strada che collega le stazioni metropolitane di Ottaviano e Lepanto, in prossimità di San Pietro. Ma McDonald's di primaria visibilità in passato (poi l'azienda ha deciso di ritirarsi da dove gli affitti erano eccessivi) sono stati aperti anche esattamente di fronte al Pantheon e in Piazza Esedra. Ergo non si capisce come mai questo del Rione Borgo debba generare più indignazione di altri. Prima di gridare allo scandalo, dunque, prima di parlare di affronto e di lanciare un hashtag #SaveRoma con seguente campagna virale allarmista, è opportuno fare delle considerazioni a margine su cosa s'intende per qualificare o dequalificare una zona. In questo caso stiamo parlando del Vaticano, l'area turistica per antonomasia, dove quotidianamente si ritrovano a transitare migliaia di turisti e pellegrini. Visitatori in cerca delle bellezze della Città Eterna, quelle artistiche, architettoniche ma anche gastronomiche. E i locali di qualità a Roma non mancano, dai ristoranti gourmet alle trattorie tradizionali, dai bar alle varie pizze a taglio: tutte queste diverse insegne – oltre a essere sparpagliate in lungo e largo per la città – possono essere intercettate proprio in zona, a pochi passi dal Vaticano, come vi avevamo già indicato in occasione dell'inizio del Giubileo.
Dunque sì, la vera cucina tricolore deve esserci (e c'è) in una zona come questa e sì, di certo contribuisce a qualificare ancora di più il quartiere, ma è altrettanto vero che, proprio perché di qualità, non verrà surclassata da un (ennesimo) punto McDonald's.
Ristoranti turistici: simbolo del made in Italy?
E non sarà una proposta di ristorazione veloce a rovinare la reputazione dei locali di Borgo Pio. Un'area che – ci teniamo a specificarlo – conta diverse insegne di qualità ma comprende anche un numero spropositato di ristoranti per turisti che (non è un segreto) troppo spesso utilizzano prodotti mediocri e propongono versioni falsate e mal realizzate dei classici della tradizione romana. Locali che abbassano nettamente la media della ristorazione capitolina e che sminuiscono il patrimonio gastronomico nazionale, tanto conosciuto e invidiato all'estero e che certamente non rappresentano le eccellenze del made in Italy. McDonald's è – e sempre sarà – una multinazionale americana, pensata per i grandi numeri e per un target ben preciso, impostata su standard di qualità non entusiasmanti per chi va alla ricerca di una cucina artigianale (nonostante gli ultimi e continui tentativi di rinnovo), ma pur sempre trasparenti e chiari.
Sicurezza e tracciabilità
Senza contare che molte delle materie prime utilizzate dal fast food sono certificate 100% italiane (elemento non trascurabile e non scontato in tanti altri indirizzi della città, ma i cittadini si accaniscono contro un ristorante che fa cucina “straniera”, testuale) e che il regolamento per l'HACCP e le regole di igiene viene applicato con cura e scrupolosità ogni giorno ed è sottoposto a rigorosi controlli periodici da parte degli enti addetti e delle procedure interne. Dunque, l'azienda non sarà di certo il simbolo della nostra tradizione alimentare e di una via sana al nutrirsi, ma le informazioni circa la provenienza degli ingredienti, i tipi di cottura e di oli utilizzati all'interno delle cucine sono alla portata di tutti ormai da anni. Come sono alla portata di tutti i conti economici, i bilanci, le tasse pagate (vogliamo parlare di quelle pagate, in media, dalla ristorazione turistica a Roma?) e i contratti dei collaboratori che, siamo pronti a scommetterci, hanno un quoziente di correttezza nettamente superiore rispetto a quelli di gran parte degli esercizi circostanti.
In realtà, invece di arroccarsi in difese assurde che già erano fuori tempo massimo trent'anni fa, i cittadini (e le amministrazioni) dovrebbero occuparsi di dialogare anche con le grandi realtà multinazionali provando la strada (che suggerimmo all'epoca della querelle di Firenze) di modificarne le standardizzazioni facendo accettare loro una sfida di qualità. Senz'altro comunque, per chi gestisce comitati di quartiere e per chi vive del consenso che questi spostano, paga molto di più attaccare la multinazionale cattiva piuttosto che il ristorante “tipico” dietro l'angolo anche se magari non paga tutte le tasse, non tiene in regola tutti i collaboratori, non ha regolarizzato i tavolini fuori e si fornisce di materie prime rispetto alle quali quelle del McDonald's sono leccornie. Tic tipici italiani, da superare dovunque e a maggior ragione nel settore della ristorazione.