Ci tiene a rivendicare il suo ruolo da artigiano, il pizzaiolo classe 1960 che sforna pizze d'autore al Polo gastronomico di Napoli, perché il suo è soprattutto un mestiere, ancor prima che un'arte. Lui, erede di una lunga tradizione familiare, lo onora da oltre 40 anni. E ci spiega perché la sua non è una pizza a degustazione come, sbagliando, l'abbiamo categorizzata nella nostra appena uscita Guida Pizzerie d'Italia.
Una vita per la pizza
“Tu stai parlando con un vecchietto del 1960”. Mettiamolo subito in chiaro, che altrimenti a confrontarsi con un maestro pizzaiolo di lunga data come Guglielmo Vuolo, il dubbio potrebbe sorgere spontaneo. E non perché a questo professionista della pizza napoletana difetti l'autorevolezza e la sapienza che ci si aspetta da un veterano del forno a legna. Tutt'altro. Ciò che sorprende, piuttosto, è l'energia senza tempo che il pizzaiolo di Eccellenze Campane non manca di trasmettere all'interlocutore che cerchi di comprendere perché il suo “è un mestiere, ancor prima che un'arte, o una passione”. Erede di una tradizione che perdura da cinque generazioni - “la madre di mia nonna era già pizzaiola” - Guglielmo ha appreso i segreti del mestiere da suo padre Enrico, scomparso nel 2013. E i suoi figli, Enrico e Valerio, come lui hanno scelto di tenere alto il vessillo di famiglia, oggi alla guida della storica pizzeria Fratelli Vuolo a Casalnuovo.
Al telefono lo sorprendiamo con le mani in pasta, poco prima del servizio per il pranzo al Polo Gastronomico di via Brin (ma da un anno anche a via Partenope, sul lungomare di Napoli col più centrale Eccellenze Campane al Mare), lì dove i napoletani e i turisti in visita alla città arrivano per ricordarsi (o scoprire) cosa significhi pizza napoletana, e perché questa tradizione sia così sentita nel capoluogo partenopeo. Tanto da rappresentare un universo a se stante e autoregolamentato nel mare magnum delle interpretazioni regionali che all'Italia della pizza hanno garantito una fama planetaria. Non a caso i numeri di Eccellenze Campane sono da record, l'attività frenetica: “Ogni mese serviamo 15-16mila pizze. Fermarsi è impossibile”. Ritmi sostenuti che non spaventano un uomo del mestiere, che il suo legame quasi ossessivo con impasti, lievitazioni e forni lo rivendica a gran voce, “non potrei far altro nella vita”, riflette ad alta voce. Ma la prima volta quand'è stata? “Il primo grembiule l'ho indossato a 8 anni, al fianco di mio padre. Ma è intorno ai 12-14 anni che mia nonna mi insegnò a stendere l'impasto”. Da allora non si è più fermato, e oggi chi lo guarda lavorare non può dubitare: Guglielmo Vuolo è un maestro della pizza napoletana.
Un maestro della pizza napoletana. Da Tre Spicchi
Il motivo, senza nascondersi dietro etichette prive di significato o polemiche sterili, è semplice, ed è lui a rivelarlo: “È importante riconoscere ciò che sono, io so fare bene la pizza napoletana. Il resto ho imparato a farlo col tempo, non disdegno le aperture, mi piace la ricerca, amo sperimentare sulle farciture. Ma alla fine torno sempre a casa, quella di sempre, la mia: la pizza napoletana”. E nulla è lasciato al caso: dietro alla consapevolezza maturata col tempo si nascondono tecnica impeccabile e rigore professionale, due facce di una stessa medaglia che valgono il riconoscimento d'eccellenza e l'assegnazione dei Tre Spicchi sulla guida Pizzerie d'Italia del Gambero Rosso (qui i premiati dell'ultima edizione). Tradizionale per scelta, dunque, perché “non rifiuto l'innovazione, purché si inserisca in direttrici di gusto consolidate”, come quelle che gli derivano dagli affetti e dalle memoria – personale e collettiva – che l'hanno portato a recuperare ricette e tecniche antiche senza disdegnare le esigenze di consumo contemporanee.
Senza mai perdere di vista l'obiettivo: sfornare una perfetta pizza napoletana, che significa padroneggiare “impasto e cottura, le due variabili fondamentali del mio mestiere, che è fatto di manualità, e in quanto tale suscettibile di errori”. Ma, ci conferma Guglielmo “è proprio davanti all'impastatrice che impari a sbagliare, e un giorno dopo l'altro cominci a migliorare. Lo studio e l'evoluzione tecnologica sono importanti, ma mai quanto l'artigianalità”.
La pizza di Guglielmo Vuolo a Eccellenze Campane
Allora torniamo sul campo, cominciando proprio dall'impasto: acqua, farina, sale e lievito, che sia madre, di birra o criscito. L'esperienza ultradecennale, in questo caso, pesa sulle scelte di laboratorio, com'è giusto che sia per un artigiano che è anche imprenditore di se stesso: “Al di là delle ricette tradizionali, molto dipende anche dalle esigenze di lavoro. Alcune tipologie di lievito non possono adattarsi alla velocità richiesta in tante pizzerie della città. Dobbiamo fare numeri”. Bando ai romanticismi, dunque, e grande sfoggio di razionalità. Come quella che dispensa quando lo poniamo di fronte a un interrogativo diretto, quanto essenziale: perché non pizza a degustazione? “Non sono contrario alle interpretazioni gourmet, né alla ricerca di elaborazioni esteticamente più piacevoli, che del resto mi diverto a sperimentare anch'io. Quello che non mi piace, ed è altro da me, sono le derive: per me la pizza non sarà mai un disco da utilizzare come piano d'appoggio per la farcitura. Perché tutto dev'essere giocato sull'impasto, che è il vero protagonista”. Affermazioni dirette, certo, ma non affilate, perché “nel mondo della pizza c'è spazio per tutti, certo però io non sono mai cambiato, e non mi riconoscerei mai nella categoria della pizza a degustazione”. Anche perché, tenendo ferme la basi di una formazione solida che Guglielmo non ha nessuna voglia di accantonare – farina doppio 0 con una piccola percentuale (10%) di tipo 1 macinata a pietra, criscito o lievito di birra, lievitazione dalle 12 alle 24 ore a temperatura ambiente, cottura in forno a legna, cornicione alto e ingredienti di stagione di prima scelta, di cui preserva integrità cromatica e consistenza, pomodoro in primis – lo spazio per divertirsi a sperimentare non manca.
Divagazioni sul tema. Pizza all'acqua di mare e “tartare”
È così che nascono gli impasti con i semi di canapa (“un gioco divertente per consistenza”) o le cosiddette “tartare” di pizza, che pur innovando sulla forma nulla tolgono al gusto e all'esecuzione di una Margherita o di una Marinara tradizionali. “Io le ho ribattezzate pizze strane, proprio perché sono altro rispetto a quello che faccio ogni giorno”. Come l'impasto realizzato con acqua di mare, perfezionato nel 2014 per ridurre la percentuale di sale nel prodotto finale, e garantire così benefici alla salute di chi la consuma. Una sperimentazione chiacchierata che sancisce l'incontro tra pizza tradizionale e contemporanea, e restituisce meglio di tante parole l'idea di un professionista tutt'altro che diffidente, sebbene strenuamente attaccato alle radici familiari e della sua città.
E infatti quando gli chiediamo lumi sulla sua pizza preferita, la risposta non può che essere una: la Marinara. “Mio padre sosteneva che fosse la pizza più difficile da realizzare, per via della cottura. La farcitura richiede più pomodoro ed è necessario calibrare la cottura perché impasto e pomodoro risultino in equilibrio. Io poi ci aggiungo il profumo del basilico, due foglie al centro, su cui dispongo l'aglio a pezzetti”. Un vezzo d'autore? Niente affatto, piuttosto un trucco del mestiere: “Sollevando il basilico l'aglio sprigiona il suo profumo e noi continuiamo a mangiare l'odore, senza il fastidio di masticare l'aglio”. Il risultato? Il gusto della Marinara resta tale, ma chi non ama l'aglio non deve rinunciarvi. Anche in questi piccoli dettagli si vede la caratura del maestro.
Guglielmo Vuolo a Eccellenze Campane | Napoli | via Brin, 69 | tel. 081 5636303 | www.eccellenzecampane.it
a cura di Livia Montagnoli