Per chi vuole ridurre il consumo di glutine, 9 dolci tipici che non contengono farina di frumento.
Esiste una tradizione, in Italia, di dolci che tradizionalmente non impiegano farina di frumento. Non si possono dire, per questioni di possibili contaminazioni ambientali, senza tracce di glutine al 100%, quindi adatti a chi soffre di celiachia. Ma sono un valido aiuto per chi ha l’esigenza di ridurre il consumo di glutine ai minimi termini, senza per questo rinunciare ai dolci o trovare traduzioni gluten free non sempre apprezzabili nel gusto.
Dimenticate certificazioni, marchi registrati, spighe barrate. Qui parliamo di tradizioni e tipicità che, ben prima di ogni insorgenza di malattie, scelte più o meno obbligate, mode alimentari propone una varietà di prodotti che potrebbero dare la visione di un panorama gastronomico più vario e vivo di quanto le pigre consuetudini alimentari ci lasciano supporre. Perché, ben prima delle proposte che l’industria alimentare ha messo a punto, ogni regione conserva un patrimonio di ricette in grado di dare delle risposte a chi, non per motivi strettamente medici, cerca prodotto con bassissima presenza di glutine. Quasi nulla. Ma attenzione: quasi non significa completamente. La certezza assoluta si ha solo nel caso di una produzione il luoghi (stabilimenti artigianali o meno) in cui non siano presenti farine che possano contaminare il prodotto. Insomma: vi vogliamo raccontare dei dolci a basso impatto glutinico, perfetti per chi non ha bisogno di certificazioni, ma di varietà. Di cui la quotidianità è nemica giurata. E siamo venuti fino a Torino per visitare gli stand di prodotti (non solo Presìdi tutelati da Slow Food) e scovare qualche dolce di cui, forse, si è persa un po’ la memoria.
Amaretti di Mombaruzzo. Sono dolci morbidi della provincia di Asti, a base di mandorle, albumi e zucchero, con il caratteristico sapore amarognolo dalle armelline, l’interno dei noccioli di pesche e albicocche. In mancanza di questi, si possono usare le mandorle amare. Non è però la ricetta originale che risale al ‘700.
Dalla provincia di Catanzaro la Cupeta di Montepaone, un dolce di origine antica, realizzato con semi di sesamo, miele, zucchero, vino cotto e mandorle tostate, che nella ricetta originale provengono dal Golfo di Squillace. Sono lunghe stecche caramellate o piccoli panetti, spesso aromatizzati anche con buccia di agrumi, possibilmente mandarino e un po’ di succo di di arancia.
Biscotti di Ceglie Messapica, in dialetto chiamati U’ Piscquett’I. Si tratta di dolcetti quadrati di pasta di mandorle tostate ripieni di marmellata di uva o di ciliegie. Un tempo una produzione casalinga legata alle feste, soprattutto le nozze, e consumato frequentemente con il rosolio, è una sintesi di territorialità: mandorle cegliesi (almeno per il 70%) e altre varietà della zona, necessariamente del territorio comunale di Ceglie Messapica, secondo il disciplinare del Presìdio che ne tutela la sopravvivenza. Anche la marmellata deve provenire da ciliegie o uva locali, Capa di Serpa, Mascialora o Ciarlona, per le prime, Verdesca, Bianco di Alessano, Fiano, Susumaniello, Ottavianello, Bombino Francavilla e altre varietà per l’uva. Locali anche miele, uova, rosolio da aggiungere all’impasto, scorza di limoni per aromatizzare.
Anche in Sardegna non mancano dolci tipici che si preparano senza farina di frumento: è il caso del Pistoccus de Nuxi. Dolce tradizionale della Barbagia, un tempo tipico dei rinfreschi di nozze, come lascia intuire il nome. Preparato con e preparati con noci, albumi, zucchero e limone grattugiato. Si riconosce dalla forma irregolare e dalla glassa candida.
Frutta secca, fichi e mandorle, noci e semi di anice stellato: nessun altro ingrediente per il lonzino di fichi tranne, in taluni casi, un po’ di saba (mosto d’uva) o di mistrà (liquore a base di anice). Tipico delle Marche è un dolce che ricorda, nella forma, il salame, viene legato con uno spago, proprio come l’insaccato e servito a fettine che mostrano, nella grana, l’impasto di fichi macinati non troppo finemente. Perfetto accompagnato da qualche goccia di saba, o abbinato a formaggi e vini passiti. È frutto dell’ingegno contadino, nato per conservare al massimo i fichi che maturavano in grande quantità poco prima della vendemmia.
Sono diversi i dolci tipici del Piemonte che valorizzano la nocciola tonda e gentile delle Langhe, uno dei prodotti più noti e pregiati della zona. Ci sono i nocciolini di Chiavasso, nel Canavese: quei minuscoli bottoncini a base di albume e nocciole sgusciate e tostate. Nient’altro: una ricetta che risale al 1850 ed è la gioia dei golosi. Si consumano da soli, o per completare i dolci al cucchiaio, per esempio lo zabaione. In piemontese si chiamano anche Noasèt. Langarola è invece la tradizione della torta di farina di nocciole, nella maggior parte dei casi a base, unica farina utilizzata, insieme a uova e zucchero. Dolce, morbida, profumata.
Può considerarsi un’antenata delle caramelle, e infatti è usata moltissimo come dolcificante dall’industria dolciaria, la manna delle Madonie. Alla vista simile a un candelotto di forma irregolare. È un prodotto dei frassini: se ne intacca la corteccia e il fluido che fuoriesce, nel caldo delle estati siciliane, si rapprende in stalattiti bianchicce e dolcissime. Quando scivola fuori senza toccare la corteccia né null’altro si ha il prodotto più puro.
A pasta dura o più friabile, a base di frutta secca, albume, miele, zucchero o glucosio: il torrone è un dolce tradizionale che, con piccole varianti, è presente un po’ in tutta la Penisola. Quello di Caltannissetta con mandorle e pistacchi è cotto in caldaie con il fondo di rame per otto ore a bassa temperatura, dopo le quali viene pressato e tagliato.
a cura di Antonella deSantis
foto di apertura Oliviero Toscani