La querelle tra consorzi per aggiungere l'indicazione del vitigno alla Doc Piemonte è arrivata al capolinea: il Comitato vitivinicolo regionale ha detto no. Ma si apre la strada per estenderlo ad altre denominazioni, in primis al Monferrato.
Il Piemonte Nebbiolo alla fine non si farà. La decisione è stata presa dal Comitato consultivo regionale per la viticoltura, riunito per esaminare il progetto di modifica della denominazione Piemonte Doc, presentato lo scorso agosto dal Consorzio Barbera d’Asti e vini del Monferrato.
Una soluzione che soddisfa tutti?
“Siamo soddisfatti di come è andata perché abbiamo vinto tutti”, ha affermato Orlando Pecchenino, presidente del Consorzio di tutela del Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani, avversario dichiarato della proposta ed esponente di punta del fronte del no. Giorgio Ferraro, assessore regionale all’agricoltura, concludendo la riunione del Comitato, ha detto di aver “preso atto dei pareri discordanti, mentre un terreno condiviso potrebbe essere la ricerca di doc più ristrette, come disciplinare e come aree di produzione, che già consentono l'uso di uve nebbiolo e cui aggiungere la possibilità di citarlo esplicitamente in etichetta”.
Il proponente Filippo Mobrici, presidente del Consorzio del Monferrato, consorzio che di fatto funge da gestore della Doc Piemonte, alla fine si dice soddisfatto anche lui. Tutto sta nella frase del comunicato finale della riunione “Sul tema della Piemonte Doc Nebbiolo è emersa la volontà comune di approfondire soluzioni alternative che riconoscano le specifiche identità territoriali”. Vuol dire che tra qualche mese, ci sarà la possibilità per il Consorzio del Monferrato di portare a casa non il Piemonte Nebbiolo bensì il Monferrato Nebbiolo: un risultato da non buttar via. anche perché potrebbe essere una opportunità per costruire una nuova storia. “La nostra proposta” argomenta Mobrici “aveva richiesto un grandissimo lavoro a cui avevamo dedicato molti incontri con i soci e almeno 6 riunioni di cda. Infatti, tutto nasce dall’idea di valorizzare il nebbiolo sanando la situazione esistente. Peccato però che l’attenzione concentrata sul nebbiolo, non abbia permesso di esaminare anche gli altri aspetti di valorizzazione di vitigni come il cortese e il moscato. Ma va bene così, ora guardiamo avanti”.
La vicenda: favorevoli e contrari
Sostenevano i contrari all’idea di Piemonte Nebbiolo - un fronte assai vasto che comprende anche molte amministrazioni comunali, La Morra e Barolo in testa - che il nobile vitigno “ha bisogno di condizioni pedoclimatiche particolari per esprimersi al meglio che non dappertutto si possono trovare”. Come racconta Pecchenino“diversi anni fail professor Rocco Di Stefano, ex direttore dell’Istituto sperimentale dell’enologia di Asti, un vero luminare, sperimentò il nebbiolo in Irpinia, dove apparentemente le condizioni pedoclimatiche potevano essere adatte. Fu un insuccesso totale. Per questo prima di allargare l’area di produzione, bisogna sperimentare e verificare a lungo, scegliere le migliori aree dal punto di vista qualitativo e infine darsi un disciplinare restrittivo. Non si può estendere tout court il permesso all’intera regione”.
Per il “fronte del sì”, oltre alla possibilità di sistemare in modo più qualificato i vigneti di nebbioli esistenti, non è affatto da sottovalutare il richiamo esercitato dai prezzi elevati che i vini da uve nebbiolo e dell’immagine di qualità che li affianca. C’è da dire che, in Langa, tutto ciò se lo sono costruiti nel corso di anni di duro lavoro e, d’altra parte, il “fronte del no” era pure preoccupato delle possibili ricadute negative proprio su questi aspetti.
Un parere controcorrente
In questo scenario però non mancano nemmeno i pareri di chi va controcorrente. Pio Boffa (cantina Pio Cesare),langhetto che più langhettonon si può, spiazza tutti: “Premesso che non avrei mai prodotto Piemonte Nebbiolo, nemmeno se ci fosse stata la possibilità, si tratta di ragionare con freddezza e soprattutto di guardare lontano. Noi abbiamo assoluto bisogno di allargare la conoscenza del nebbiolo nel mondo e per questo motivo non ero pregiudizialmente contrario all’idea, seppur con tanti paletti. Pensiamo forse di aver raggiunto la stessa notorietà del Cabernet Sauvignon o abbiamo ancora molta strada da fare tra i consumatori? Il Cabernet Sauvignon, piantato in Australia, Sud America o anche in Italia, ha tolto qualcosa al Bordeaux oppure gli ha dato una spinta in più? Lo stesso ragionamento potrei farlo con il Pinot nero e la Borgogna. Sono gli stessi che tanti anni fa fece Robert Mondavi che di marketing un po’ se ne intendeva”. Pio Boffa non nasconde che “ci potrebbe essere concorrenza con i prezzi, ma poi il mercato filtrerebbe velocemente quelli buoni. Non dobbiamo avere paura di confrontarci con gli altri. Per la bassa qualità si tratta di far funzionare le Doc esistenti, che hanno tutti gli strumenti per intervenire”. E poi l’ultima notazione: “Con la difesa dei diritti acquisiti – praticamente la situazione esistente - non si programma mai il futuro”!.
Una riflessione sulla Doc Piemonte
Insomma, uno spunto ulteriore per discutere del lungo periodo. Non senza un’ultima considerazione ai margini della discussione Piemonte Nebbiolo o Monferrato Nebbiolo. È davvero singolare che uno dei più importanti marchi territoriali italiani come Piemonte, almeno di pari valore a Toscana, Veneto o Sicilia, presti il suo nome alla Doc Piemonte, considerata di scarso valore, tanto quanto una generica Igt. È un’anomalia anche considerando la presenza di denominazione forti quali Barolo e Barbaresco, tanto per citare due delle più note, che indubbiamente hanno la forza qualificante maggiore. Alla lunga, però, in un mondo sempre più a digiuno di geografia e che chiede di semplificare e di capire, non sarebbe poi così tanto disdicevole leggere su una etichetta Piemonte Barolo o Piemonte Barbaresco. È o non è, una terra di grandi vini? E allora perché sminuire questo valore?
Il nebbiolo nelle denominazioni piemontesi
In Piemonte ci sono 4.800 ettari di vigneti coltivati a nebbiolo, la maggior parte dei quali, 4.067 ettari, sono coltivati nelle Langhe e nel Roero. I più importanti tra i vini prodotti in queste due zone sono Barolo (13 milioni di bottiglie), Barbaresco (7 milioni), Langhe Nebbiolo (6 milioni), infine Roero e Nebbiolo d’Alba. Tra le denominazioni che prevedono il nebbiolo inoltre ci sono Albugnano, Boca, Carema, Fara, Gattinara, Ghemme, Lissona, Sizzano. Il resto del nebbiolo, viene assemblato con le altre uve, senza che sia rivendicato il nome.
a cura di Andrea Gabbrielli