Il nostro consueto viaggio nelle liriche a tema enologico oggi incontraCamillo Sbarbaro. Scrittore del gruppo riunito intorno alla rivista La Voce, visse defilato rispetto gli ambienti letterari dell'epoca. La sua fu una poesia dai toni crepuscolari e lievi.
La sua non fu una vita mondana, legata ai salotti e all'intellighentia culturale italiana. Visse infatti da impiegato e la sua attività artistica fu legata a quella della generazione di poeti legati alla rivista culturale La Voce. Le poetica di Camillo Sbarbaro (1888 – 1967) fu crepuscolare, legata ai paesaggi della sua terra, raccontata con lievi pennellate, misurata, suggestiva. Pubblicò la raccolta Resine e , soprattutto, Pianissimo che è la sua più valida opera lirica, di altissimo rilievo come i frammenti di Trucioli. Da Pianissimo, del 1914, riportiamo questa lirica.
VI
Piccolo quando un canto d’ubriachi
giungevami all’orecchio nella notte
d’impeto su dai libri mi levavo.
Come tratto da me, la chiusa stanza
all’aria della notte spalancavo
e mi sporgevo fuor della finestra
a bere il canto come un vino forte.
Con che occhi voltandomi guardavo
la camera e la casa
dove già tutti i lumi erano spenti!
Più d’una volta sulla fredda ardesia
al vento che passava nei capelli
alla pioggia che mi sferzava il viso
versai lacrime insensate.
Adesso quell’inganno anche è caduto.
Ora so come arida è la bocca
che canta spalancata verso il cielo.
Pur se ancora mi desta nella notte
quel canto d’ubriachi per la via
ad ascoltar mi levo con mozzato
in gola il fiato
e corro ancora a mettere la faccia
nel vento che i capelli mi scompigli.
Rinnovare vorrei l’amara ebrezza
e quel sottile brivido pel corpo;
il ben perduto cui non credo più
piangere come allora…
Ma non m’escono
che stente stolte lacrime oramai.
a cura di Giuseppe Brandone
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