Il cibo è uno dei nodi cardine attorno cui ruota la vita delle società: riguarda economia, turismo, impresa, educazione, salute, identità, sostenibilità ambientale. È un nodo capace di mettere insieme tutti, o quasi, gli aspetti della vita sociale. Per questo la politica se ne occupa. Ma come?
Non è il tema centrale delle campagne elettorali ma, in qualche modo, in questa tornata si gioca la carta della ristorazione. Che sia per l'attenzione mediatica che suscita, o perché riguarda imprenditori dinamici con cui le amministrazioni vogliono stabilire un dialogo attivo, perché tangente ad altri settori strategici come agroalimentare, commercio e turismo, o magari per quel suo valore emozionale e identitario, fatto sta che la politica si confronta con il mondo del cibo. Ma come se ne occupa? Abbiamo chiesto ai candidati in testa ai sondaggi delle maggiori città italiane (Torino, Milano, Bologna, Roma, Napoli, Cagliari) le loro proposte (o almeno le dichiarazioni d'intenti) in merito alla ristorazione e all'agroalimentare. E il primo elemento è che dalle oltre 15 richieste inviate tramite mail o messaggi alle pagine virtuali dei candidati sindaci, abbiamo ricevuto pochissimi feedback. Un paio di promesse finite in un nulla di fatto, quasi niente nel concreto. Lo diciamo per spiegare perché quel che volevamo fosse un panorama rappresentativo, si limita a pochi nomi. Quale che sia il motivo il dato che emerge è che in oltre 10 giorni gli uffici stampa e chi gestisce le pagine online dei nostri candidati sindaco non hanno avuto alcuna premura nel risponderci, speriamo sia andata meglio ai cittadini che, a titolo personale, hanno contattato i nostri futuri amministratori.
Torino città Slow e la Milano del dopo Expo
Era solo il 24 maggio quando l'attuale sindaco Pd (e candidato a un secondo mandato) di Torino, Piero Fassino annunciava la firma di una convenzione quadro con Slow Food sui temi del cibo per ridurre gli sprechi e trarre energia dagli scarti, sviluppare gli orti urbani e scolastici, sostenere la pratica del chilometro zero, il cibo fresco nelle materne e nei nidi, l'educazione alimentare, rinsaldando il vincolo strettissimo tra la città della Mole e l'associazione creata da Carlo Petrini. Non uno dei punti del suo programma politico, ma sicuramente un tassello ben posizionato. Almeno quanto quello del candidato milanese (Pd e Sel) Giuseppe Sala, forte del successo di Expo, che sempre qualche settimana fa ha partecipato a un incontro con il Ministro Maurizio Martina e molti dei più importanti cuochi e artigiani del cibo meneghini, nell'ambito dei lavori del Food Act. Tema: lo stato di salute della ristorazione milanese uscita dai sei mesi di Expo e le prospettive per il suo sviluppo futuro. Due momenti emblematici del ruolo cardine del cibo nella vita cittadina, che però non trovano riscontro nei loro programmi elettorali.
Bologna City of Food
A Bologna il programma dell'attuale sindaco di centrosinistra Virginio Merola parla diffusamente di cibo. A partire dalla “refezione scolastica come perno di educazione alla salute”, sulla scia del lavoro che ha portato all'adozione di materie prime bio, a filiera corta o a denominazione di origine nelle mense scolastiche. Passando per il sostegno all'imprenditoria: “il food&nutritium è uno dei settori produttivi ed economici su cui puntare”per qualità, vivacità e potenzialità di sviluppo; mentre prende le esperienze come quelle dei mercati rionali, del Mercato di Mezzo e delle Erbe, come esempi replicabili di riqualificazione urbana e sociale, e di aggregazione di talenti. C'è poi, tra i nodi programmatici, l'agricoltura urbana e l'integrazione del tessuto rurale e quello cittadino, mentre si punta sul connubio cibo e cultura come una delle chiavi per il turismo, dove fa la sua parte City of Food is Bologna: l’iniziativa lanciata nel 2014 e finanziata, tra gli altri, dal Comune di Bologna, Università e Camera di Commercio, in cui la città ridefinisce la propria identità a partire proprio dalla cultura alimentare. È un progetto di marketing territoriale dedicato al cibo, alla nutrizione, alle tradizioni gastronomiche,alla biodiversità e a tutto quanto concerne iniziative collegate, in vario modo, al food. L'economia della città delle due Torri (basta leggere il programma) aspetta con ansia l'apertura del grande parco tematico dedicato alla filiera agroalimentare (F.I.CO. Fabbrica Italiana COntadina - Eataly Word Bologna), “destinato a diventare baricentrico per l’affermazione del Food Made In Italy nel mondo”.
Cagliari e la Sardegna delle diverse regioni culinarie
Da Cagliari, la candidata del Movimento 5 Stelle, Antonietta Martinez, fa sapere come tra le proposte della sua campagna ci siano appuntamenti e mostre a tema suiprodotti tipici sardi e campagne di promozione delle diverse regioni culinarie dell'isola, con il coinvolgimento dei ristoranti cittadini, a tutela del prodotto locale e della sua varietà. Perché “due turisti su tre vengono volentieri a visitare l'Italia anche per il buon cibo, lasciando mediamente, ogni anno, circa 24 miliardi di euro nel settore della ristorazione. Il turismo eno-gastronomico, nello specifico, oggi significa un giro di affari di 5 miliardi nel nostro Paese”. Ma l'associazione turismo-cibo non porta da nessuna parte se non supportata da politiche per l'imprenditoria, nello specifico “agevolazioni fiscali per le piccole attività, soprattutto nel commercio di prossimità, legate per lo più all'alimentare per favorire la diffusione della cosiddetta filiera corta”. Una proposta che fa il paio con la semplificazione della macchina burocratica, perché “il Comune non deve più essere da ostacolo alle attività commerciali e produttive ma deve diventare il supporto dell’economia locale e del lavoro".
Roma e la guida del Comune
Aveva parlato di sgravi fiscali per la ristorazionedi qualità, Paolo Guzzanti - impegnato nella campagna elettorale nella lista di Alfio Marchini - poi tornato sui suoi passi: “tecnicamente non è possibile, perché la municipalità non ha gli strumenti politici per farlo”. Dietro front allora sul come (ancora tutto da definire), rimane il cosa: “premiare la qualità e tutelare il consumatore segnalandogli quali sono i ristoranti migliori: non credo che il Comune abbia mai fatto graduatorie del genere”. Ma come individuare i più meritevoli? “Dobbiamo pendere in considerazione criteri quali rispetto delle regole, delle norme igienico sanitarie, conformità a determinati requisiti, fattori come qualità e innovazione, proteggendo e incoraggiando chi investe in modo sano”. In che modo? “Creando una sorta di classifica dei ristoranti fatta dalle istituzioni. Sarebbe una grande pubblicità per i bravi imprenditori”.
Non pensate che istituire questo registro sia una spesa? “In realtà non costa nulla: molte di queste valutazioni esistono già, ed esistono i controlli, bisogna che sia un'attività congiunta, e non per fare multe o punire chi non è a norma, ma per premiare chi fa un buon lavoro. Con l'obiettivo che siano sempre di più le attività virtuose, e che si inneschi una competizione buona”. Perché l'idea è che questa graduatoria venga aggiornata ogni anno.
Ma può il Comune prendersi carico di valutare i ristoranti? “Esistono già molte guide, possiamo partire da lì. E non pensare solo a quelli di fascia alta, ma a tutti, incluse le attività d'asporto che che stanno acquistando lo stesso rilievo della ristorazione tradizionale”. Sarebbe un punto di partenza da incrociare con il lavoro di Nas e Vigili Urbani, per esempio. Un po' come con il Testo Unico della vite e del Vino? “Mi piacerebbe che il Comune si facesse testimone della qualità. Oltre a premiare i ristoratori sarebbe una tutela per i consumatori, romani e turisti”.
Ma cosa può fare il Comune? “Faccio un esempio: ci sono gelaterie che fanno centinaia di gusti, chi assicura che siano davvero quello che viene dichiarato, che siano naturali e che il locale sia conforme alle norme igienico sanitarie? Il gelato ha un suo valore dentro e fuori l'Italia, e bisogna tutelarlo”. Fermo restando che proprio il gelato ha una sua problematica endogena dovuta alle ambiguità della legge, non dovrebbe bastare la lista degli ingredienti e l'osservanza delle norme? “La nostra è solo un'idea allo stato embrionale. Vogliamo essere i garanti della qualità e sostenere chi lavora in quella direzione. Ma dobbiamo ancora studiare come”.
Tra le proposte non si parla dei problemi che soffocano il settore, come per esempio la burocrazia, il degrado urbano, il traffico, la difficoltà dell'accesso al credito. Non avete pensato di affrontarle con gli addetti ai lavori e incentivare così l'imprenditoria di valore? “Bisogna mettersi a tavolino con gli esercenti”.
Roma e il dialogo con la ristorazione
“Le norme ci sono già, bisogna solo farle rispettare”: taglia corto Guido Barendson, firma nota agli appassionati di cibo, in corsa con Roberto Giachetti (Pd) al Comune di Roma. Storico critico gastronomico, giornalista anche lui come Guzzanti, ha un occhio sensibile e decisamente lucido sul panorama della ristorazione. “Non ci vogliono leggi nuove: basta applicare e rispettare quelle che ci sono. Così si favoriscono i lavoratori per bene”.Insomma con le leggi si può assicurare un mercato sano, leale, non inquinato “le infiltrazioni della malavita sono talmente forti da mettere fuori gioco le imprese oneste. Si deve controllare le licenze, i contratti, la pulizia e la rispondenza tra quel che viene dichiarato e quel che viene somministrato. Dunque fare controlli, non per punire, ma per raddrizzare quel che non va”. Poi ci sono le questioni legate a decoro, traffico e tavolini selvaggi. “Bisogna affrontarle perché mettono in difficoltà la ristorazione e lavorare insieme alle categorie senza pensarle come nemiche. Per questo abbiamo accolto la lettera di Heinz Beck con Luigi Cremona firmata da moltissimi cuochi e operatori della ristorazione desiderosi di essere un'interfaccia attivo nella vita politica della città”.
Non bisogna solo pensare agli esercizi commerciali, suggerisce: “Deve cambiare il sistema delle commesse degli appalti nella somministrazione dei pasti delle scuole. Roma è il più grande comune agricolo d'Italia, ci sono due grandi aziende di proprietà pubblica eppure l'agroalimentare qui è capace di perdere un sacco di soldi. E invece potrebbe essere attivo, sano, virtuoso, insomma: prima di inventarsi chissà cosa occorre mettere ordine nei nostri cassetti”.
Questa città è afflitta da una burocrazia che si muove lentissima. “La soluzione per noi è decentrare una buona parte dei servizi al pubblico facendo passare le procedure alle municipalità, che in alcuni casi a Roma sono enormi, così si ravvicinano le persone alle istituzioni”. Non si rischia un aumento della corruzione nell'allontanarsi da un organo centralizzato? “Una forte rotazione mette al riparo da questo rischio”.
Nessun tipo di sgravi fiscali, per esempio su rifiuti e suolo pubblico? “No, non è credibile e non si può fare. Quello che si può fare è rimodulare le tasse, commisurare multe al reddito, fare come accade all'estero. E organizzare meglio la vita della collettività. Integrare le attività dei ristoratori con quel che hanno intorno. La convivenza civile e pacifica premia i virtuosi”.
a cura di Antonella De Santis