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Viaggio nelle torrefazioni italiane di ricerca. Ventunesima tappa: Little Bean di Rivanazzano Terme

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Una torrefazione nata all’interno di un ampio progetto di formazione sul caffè, uno dei primi in Italia. Ne percorriamo la storia insieme al proprietario, per capire a che punto è la formazione sugli specialty coffee oggi nel nostro paese.

Sono passati oltre 10 anni da quando Andrea Lattuada e Mariano Semino hanno aperto le porte della 9bar, scuola di formazione per baristi nella provincia di Pavia. Era il 2005, e gli specialty coffee erano ancora un argomento sconosciuto fra gli italiani. Oggi, gli specialty iniziano finalmente a trovare il posto che meritano fra i banconi dei bar, e i progetti di formazione sono in notevole aumento. Ma a spianare la strada sono stati i 2 soci, che da 3 anni hanno iniziato anche a tostare. Abbiamo chiesto ad Andrea di raccontarci la loro storia.

Come ti sei inserito nel settore del caffè?

Ho iniziato da ragazzo a lavorare dapprima come bartender, successivamente come barista, per ammortizzare i costi delle spese universitarie. Fondamentale è stato l’incontro con il marketing manager della ditta produttrice di macchine per espresso Brasilia. La società aveva in mente di aprire una scuola per baristi e il progetto mi ha incuriosito fin dall’inizio. Ho seguito dei corsi con diversi professionisti fra i fondatori della SCAE, come Alf Kramer. Con Mariano Semino, il mio socio, abbiamo deciso di prendere in mano il progetto: io ero già appassionato di caffè, lui lavorava come manager del controllo qualità per una catena di caffetterie. Dal 2006, siamo entrambi trainer autorizzati SCAE.

E la torrefazione come è nata?

Dopo aver girato per diverse piantagioni, caffetterie e torrefazioni del mondo, nel 2013 abbiamo deciso di iniziare a tostare noi stessi il caffè. La torrefazione al momento è molto legata ai corsi, ancora non ha un’identità propria. È questo il nostro obiettivo futuro: presentare Little Bean come una realtà ben distinta e indipendente.

Che tipo di caffè utilizzate?

Abbiamo diversi specialty, 100% arabica, ma facciamo anche 2 miscele commerciali, destinate principalmente alle pasticcerie e le bakery. La richiesta del mercato per i blend più tradizionali è ancora molto alta.

Che corsi sviluppate all’interno della scuola?

Tutti quelli legati alla SCAE e al Coffee Diploma System, il percorso formativo sul caffè. Organizziamo circa un corso a settimana, fra sensory, roasting, barista skill e brewing.

A che punto è la formazione sul caffè in Italia?

Dobbiamo ancora lavorare molto, ma le iniziative e le scuole stanno crescendo sempre più, e così l’interesse da parte dei professionisti.

Undici anni fa però la situazione era ben diversa.

Sì, ed è stato difficilissimo comunicare il nostro progetto. Fin da subito, ci siamo inseriti nelle fiere di settore e nell’organizzazione dei campionati italiani baristi. Manifestazioni di questo genere sono indispensabili per fare comunicazione sulla professione del barista. È in momenti come questi che si capisce quanta tecnica e studio c’è dietro la realizzazione di un espresso e un cappuccino, e sono queste occasioni a far capire agli addetti ai lavori l’importanza di un percorso formativo.

Come funzionano le fiere estere? Quali sono le migliori a livello europeo?

Le manifestazioni a cui partecipo più spesso sono quasi tutte all’estero. La Cina sta lavorando molto bene sul caffè e sugli eventi che lo riguardano, ma probabilmente la fiera più bella è il London Coffee Festival. Anche in Italia comunque diciamo la nostra con festival realizzati ad hoc, Host e Sigep fra tutti.

Quali sono le principali caratteristiche che deve avere un trainer?

Voglia di imparare e mettersi alla prova sempre, anche dopo anni di esperienza; e poi passione, aggiornamento costante. Quello del caffè è un settore in evoluzione: ogni mese c’è una novità, che sia sul prodotto, sulle macchine, sui sistemi di pulizia.

A proposito della pulizia. Molti bar su questo punto sono ancora indietro.

Questo è veramente un tasto dolente. La maggior parte dei baristi purtroppo sono legati a luoghi comuni e tradizioni antiche, secondo le quali pulire la macchina espresso e il filtro equivale a perdere l’aroma. Il lavoro da fare è tanto, e i falsi miti da sfatare moltissimi. La detersione di macchinari e strumenti è un passaggio fondamentale, che va compiuto con attenzione e con i prodotti appositi. Tutto il resto sono solo leggende.

Le caffetterie italiane che ti piacciono di più?

Ditta Artigianale (sia la prima che quella nuova) a Firenze, Bugan Coffee Lab a Bergamo, Coffe Box a Riccione, Drupa Caffè a Livorno… Queste sono quelle che mi vengono in mente per prime, ma ce ne sono altre valide.

E all’estero?

Quella che più mi ha colpito è stata la Proud Mary a Melbourne, ma all’estero ce ne sono davvero troppe per nominarle tutte.

Qual è il paese europeo che sta lavorando meglio sul caffè di ricerca?

Sicuramente i paesi nordici. Londra, Oslo, Stoccolma sono città in continuo fermento per gli specialty.

E in Italia? Qual è la zona che si sta muovendo di più?

Colpisce molto il Sud Italia, perché si tratta di un’aerea da sempre fortemente ancorata alle tradizioni. Ci sono professionisti che stanno completamente rinnovando i bar del Meridione: penso alla Puglia, a Edoardo Quarta, con la sua linea Edo Quarta Specialty Coffee, alla torrefazione VeroNero di Bari. E poi penso alla formazione: tanti campioni come Francesco Sanapo arrivano dalla Puglia; anche lo stesso Angelo Segoni, attuale campione barista italiano, è di origine abruzzese ma lavora in Salento insieme a Edoardo. E poi la Sicilia, regione molto portata per l’estetica, e quindi la Latte Art. Non a caso Giuseppe Fiorini, campione italiano Latte Art 2016, viene da Siracusa.

9bar | Rivanazzano Terme (PV) | via Baracca, 6 | tel. 0383 1914563 | www.9bar.eu

a cura di Michela Becchi

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