Cucina romana e cocktail? Chi l'avrebbe mai detto. Eppure il bere miscelato va d'accordo coi colossi della tradizione capitolina, dai sapori decisi e la spiccata componente grassa. Così il regno della ristorazione del quinto quarto cambia le carte in tavola e apre il suo cocktail bar.
Chi è di Roma con tutta probabilità conosce Checchino, il ristorante che dal 1887 - come recita l'insegna - è lì a testimoniare la storia gastronomica romana. E in un certo senso a crearla. Perché è anche qui, nel locale nato davanti al mattatoio poco prima che questo fosse costruito, che nell'800 origina la cucina del quinto quarto, ovvero delle frattaglie, le parti di scarto che avanzano dai quarti nobili delle bestie macellate. Quelle date a integrazione della magra paga di vaccinari e scortichini che lavoravano al mattatoio, che quel cartoccio portavano nelle trattorie alla buona affinché gliele cucinassero.
Nascevano così, nella Roma Papalina, i rigatoni con la pajata e la coda alla vaccinara, la trippa alla romana e gli altri piatti che compongono la sapida cucina romanesca. E grande parte ha avuto Checchino che, primo tra tutti, ha saputo creare ricette nuove poi diventate storiche, dare lustro alla cucina povera, consolidare e valorizzare le pietanze locali in una struttura che, negli anni, non ha mai visto incertezze.
La cucina
Cucina romana senza deroghe. Ma negli anni non sono mancate innovazioni, anche in anticipo sui tempi. Come nella cantina (bellissima, incastrata nel monte dei Cocci): erano gli anni '50 e già comparivano le prime etichette francesi, 20 anni dopo la carta dei vini era enciclopedica, con centinaia di etichette e il carrello delle grappe. Oggi si continua su quella strada e la sterzata la dà l'ultima generazione, la sesta, che rimescola le carte per dare vita al Ch1887. Cocktail bar che alloggerà nella sala superiore del ristorante dalla fine di maggio. L'anima di questo progetto è Simone Mina, trentatreenne figlio di Marina Mariani (oggi ai dolci) e nipote di Elio e Francesco Mariani (in cucina e in sala), barman Aibes e brand ambassador del rum guatemalteco Botran. Un'esperienza maturata in sala, nel ristorante di famiglia, e dietro al bancone. Un nonno paterno allievo di Escoffier e cuoco al Quirinale, la famiglia materna portavoce della cucina regionale. “Mio padre invece era giornalista di politica interna: è stato importante per imparare a parlare e trovare i modi e gli spazi per inserirmi nell'attività di famiglia”.
Miscelazione internazionale e cucina romana
Un cocktail bar di stampo internazionale in un ristorante come Checchino? “In fondo non è molto diverso dal lavoro fatto 30 anni fa sui vini: figuriamoci cos'era avere 500 etichette in un ristorante tipico come il nostro. Non c'era nessuna cultura, e nell'immaginario comune il vino era una cosa di basso livello, per ubriaconi. E così per i cocktail fino a pochi anni fa, se escludiamo i grandi bar d'albergo. Il bere bene e bere consapevole sono arrivati dopo”. Come ritagliarsi uno spazio proprio in una storia così importante? “Con la diplomazia. Prima di me 5 generazioni hanno passato la vita da Checchino, persone aperte e disposte al dialogo, ma molto legate alle cose che hanno creato lì”. Inutile negare qualche reticenza di fronte a una cosa che potrebbe contaminare una tradizione lunga 130 anni. “Ma nel momento in cui riesci a realizzarla hai già risposto a tante domande che ti trovi avvantaggiato perché non te le dovrai più fare dopo”.
La macchina oggi è avviata. Ma inserirsiin una struttura dall'identità così forte non è cosa facile, a partire dagli ambienti: lo stile rimane quello Checchino, solo un po' reinterpretato; con bancone, sgabelli e due tavoli sociali “per restituire al bar la funzione di luogo di condivisione e di incontro. Anche se non siamo su strada non vogliamo diventi un posto elitario, ma sia collegato al ristorante”anticipa Simone, che ricorda come questi lavori siano legati agli imminenti festeggiamenti per i 130 anni, “quandoavremo anche drink in edizione limitata”. A celebrare anche l'unione tra queste due anime.
La lista dei drink
L'obiettivo? Portare “sperimentazioni da cucina liquida in un ambiente mainstream”. E farlo senza stravolgere niente ma con decisione: 60 drink in carta, dai grandi classici, ai twist come il Negroni a base rum e Vermouth bianco (con Campari, bitter all'arancia e al cardamomo, miscelato con la tecnica del rolling “a metà tra mescolato e shakerato, che lo rende più morbido e beverino”), ai signature drink. Un locale non concentrato su un solo genere, sia il tiki o gli anni del proibizionismo come molti speakeasy, ma con un'idea di grande miscelazione e la voglia di tirar su un pubblico sempre più competente, anche con l'aiuto di una lista “parlante”, capace di raccontare non solo la composizione dei drink, ma anche la loro storia e l'origine. “Un po' quel che fanno i barman quando parlano con i clienti al bancone”.
Il ristorante e cocktail bar
Inizierà con tre giorni di apertura, dal giovedì a partire dall'aperitivo fino all'after dinning, per riservare l'inizio della settimana a degustazioni ed eventi a tema “il legame con un'associazione di categoria come l'Aibes porterà i suoi frutti”. Ma senza che ci sia una cesura con le altre attività: “Il ristorante deve entrare nel cocktail bar e viceversa” dice, e aggiunge: “il bar seguirà una strada parallela ma comunicante con quella di Checchino”. Che significa: una piccola proposta gastronomica di accompagnamento ai cocktail coerente con quella del ristorante. “Due formule aperitivo, una con scarpette con sughi romani come amatriciana o coda, e un'altra con bruschette e assaggi di altri piatti già presenti in menu”. Eredità del cocktail futurista Avanvera riportato in auge da Fulvio Piccinino. Ci sarà poi una piccola carta con un paio di proposte per il cocktail bar. “E gli abbinamenti con i piatti nel menu del ristorante”. Con un food pairing inedito.
Gli abbinamenti
“Affiancheremo una miscelazione di stampo internazionale alla cucina romana”: la parte alcolica ben si abbina ai sapori forti e mette in equilibrio la componente grassa. Qualche esempio? “Per la pajata arrosto uno dei signature drink: El Gringo Italiano (Ron Botran Solera 18; Marsala Florio; Maraschino; Fernet Branca; gocce di succo d'arancia; affumicatura del bicchiere con il sigaro Romeo & Julieta) con la cacio e pepe il Vodka Martini del mio maestro Domenico Maura (del Time al Jumeirah di Roma): un Martini shakerato con miele (che richiama la parte grassa) e aromatizzato pepe rosa che tira fuori profumi affini al piatto, con la vodka che richiama proprio al cereale della pasta. La versione smoked, al toscano, è per la gricia”. Sono abbinamenti per assonanza, “il contrasto è già presente con il cocktail”. In ogni caso l'idea è proporre il singolo drink con il singolo piatto.
Gioie e dolori della tradizione
Come la vede un giovane di 33 anni che ha nel suo Dna proprio quella tradizione? “Non mi piacciono i posti in cui si dimentica che si sta facendo ristorazione, gli show room. Il cliente deve sentirsi a casa, essere coccolato, viene per fare un'esperienza ma soprattutto per mangiare. Con i drink e il cibo vendiamo emozioni, possiamo far passare una bella o una brutta serata. Va bene la sperimentazione, ma ci deve essere sostanza”. E questo vale anche per i cocktail: “ci sono colleghi che si dimenticano che lavoro stanno facendo” e magari preparano drink invernali in piena estate, pure sulla spiaggia, o ne creano di improbabili. Nei bar si sperimenta di più, senza che la tradizione metta dei limiti. Perché, pure se esiste persino una codifica internazionale dei drink, quella dell'Iba, questi non rivestono da noi un ruolo identitario come accade invece per la cucina, quindi si è più liberi, anche di sbagliare: “bisogna stare con i piedi ben piantati per terra”. E dire che l'Italia ha vissuto stagioni felici nella miscelazione, basti pensare ai cocktail futuristi, e le creazioni degli anni '30 o '40.
Il pubblico
Chi sono i clienti di Checchino oggi? ”Per fortuna non sono più i tempi in cui si pensava che la cucina romana fosse per forza greve e di scarsa qualità. C'è un nuovo interesse da parte degli italiani e anche dei giovani verso la cucina tradizionale. E in sala oggi ci sono sempre più persone che parlano lingue diverse”. Metà italiani e metà resto del mondo. Ma c'è stata una fase in cui erano solo gli stranieri (abituati anche a pasteggiare con distillati e cocktail) a guardare alla nostra cucina come a una cosa valore: in Italia si correva dietro la sperimentazione.
Ma non sono neanche più i tempi delle grandi star di Hollywood o di casa nostra, dei personaggi mitici per la competenza gastronomica. Qualche aneddoto? “Mi hanno raccontato di scene pazzesche, come la cena del centenario, con tanti personaggi famosi, e Tognazzi che raccontava le ricette preparate per Elizabeth Taylor. O delle visite di Rémi Krug. Roma non è più così internazionale e anche i personaggi nell'ambiente sono cambiati”. Più facilità a reperire informazioni, ma meno cultura. “Ognuno si sente autorizzato a dire la sua, ma non sempre è all'altezza e sa le cose in modo corretto. Un tempo informarsi era difficile, e chi era preparato lo era davvero, aveva passione, si documentava e voleva capire a fondo. Parlare con alcuni di questi personaggi, e di molti ho solo avuto racconti in famiglia, era incredibile”. Oggi si trova tutto in rete, ma non sempre è giusto. L'idea del menu dei drink nasce anche dalla voglia di ricreare quel tessuto ricco di conoscenza. E di creare una nuova tradizione.
Checchino dal 1887 | Roma | via di Monte Testaccio, 30 | tel. 06 5743816 - 06 5746318 | http://www.checchino-dal-1887.com/
a cura di Antonella De Santis