Davvero un brutto tipo Francois Villon: assassino, ladro, farabutto e arguto rimatore. Così continuiamo la nostra rubrica sulle poesie dedicate al vino lasciandoci alle spalle i poeti latini e ci inoltriamo nel Medio Evo.
Francois Villon
Vero nome: Francois de Montcorbier (1431 – dopo il 1463 ) il cognome di Villon lo prese da un prete che fu suo protettore dopo la prematura morte del padre. Villon seguì regolari studi e nel 1452 si licenziò presso la facoltà delle arti di Parigi. La sua biografia è quella di un cattivo soggetto: scampò dalla forca per aver ucciso un sacerdote, finì varie volte in prigione, fu una persona rissosa e dedita ai furti. Dopo il 1463 si persero le sue tracce. I temi delle sue poesie, raccolte nei Lais e nel Testament, sono i più vari e contradditori: dal riso plebeo ai crucci di un’anima tormentata, dal brutale mondo delle taverne al commosso meditare sul destino umano, dall’orrore di fronte alla morte alla nostalgia per la giovinezza perduta, agli scherni rivolti a personaggi del suo tempo, come nel caso del suo avvocato difensore (tratto dal Testament CXXV, traduzione di Luigi de Nardis).
(Prologo)
a mastro Gian Cotardo (Jean Cotart)
che in tribunale mi difese
per l’anima sua –salga in cielo!-
ho composto questa ballata.
Ballade
“Padre Noè, che piantaste la vigna,
e voi che al monte, Lot, foste a trincare,
tanto che Amore, che a ingannar s’ingegna,
con le figlie si spinse a fornicare
(non ve lo voglio qui rimproverare),
Architriclìn, maestro di quest’arte,
tutt’e tre prego in alto d’allogare
l’anima del buon mastro Gian Cotardo!
Egli discende dalla vostra razza,
e il più caro e il miglior gli piacea bere,
anche se non aveva un soldo in tasca;
fra tutti si mostrò miglior arciere;
mai strappargli nessun potè il bicchiere;
a tracannare fu sempre gagliardo.
Signori, non vogliate ostacolare
l’anima del buon mastro Gian Cotardo!
L’ho visto spesso pieno fino al gozzo
rincasar vacillando e scalpitando,
e una volta si fece un grosso bozzo,
ben mi ricordo, d’un beccaro al banco;
cercato avreste invano al mondo un tanto
bevitor, pronto a bere presto o tardi.
Fate entrar, quando udrete un grido alto,
l’anima del buon mastro Gian Cotardo!
Principe, non aveva di che sputare,
sempre gridava: “Nella gola io ardo!”
E mai la sete non potè stagnare,
l’anima del buon mastro Gian Cotardo!
a cura di Giuseppe Brandone
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