Dal cyber-squatting su Internet ai negoziati Ttip con gli Usa, dal dossier etichettatura della Commissione Ue al sistema autorizzazioni per i nuovi impianti. Intervista al presidente francese di Efow, Federazione europea delle denominazioni d'origine
Da poco più di un mese guida la Federazione europea dei vini a denominazione d'origine (Efow), il sindacato che rappresenta nei tavoli istituzionali gli interessi delle filiere vinicole di cinque grandi Paesi produttori del vecchio continente, Francia, Italia, Spagna, Ungheria e Portogallo. Bernard Farges, 51 anni, produttore-viticoltore a Mauriac en Gironde, in quel di Bordeaux (è anche presidente di Cnaoc e del Civb), ha oggi il delicato compito di proseguire il complesso lavoro fatto da Riccardo Ricci Curbastro (Federdoc) nei suoi due mandati. Tutela e promozione delle Do, i principali obiettivi della Federazione. Ma le questioni aperte non mancano. Anzi, Farges si è da subito trovato una difficile matassa da sbrogliare come il dossier etichettatura proposto dalla Commissione Ue. Ed è proprio su questo tema ha voluto porre l'accento.
La proposta di semplificazione della Commissione europea sta andando in una direzione che, secondo Efow, non favorisce le denominazioni d'origine. Avete parlato di rischio "smantellamento" del Regolamento 607/2009. Perché?
Crediamo che con questo dossier la Commissione stia cercando di rimettere in gioco le regole del settore. Per questo siamo preoccupati e lo siamo per due ragioni in particolare. Innanzitutto, è inaccettabile che solo una parte dei testi venga discussa ai tavoli; questi testi devono sostituirne altri e per noi è impossibile fare un'analisi d'insieme. Inoltre, smantellare uno dei testi base del settore (il regolamento 607/2009) sparpagliando le singole disposizioni in testi legislativi diversi, che di solito sono di tipo orizzontale, come ad esempio le norme sul commercio, non rappresenta per noi il modo giusto per semplificare. E anche per gli operatori del settore non vediamo alcuna semplificazione.
Qual è l'altro punto che non convince?
Ci sembra chiaro che la Commissione Ue tenti di rimettere in discussione i delicati equilibri delle ultime riforme, del vino del 2008 e della Pac 2013. A guardare i testi, notiamo che il progetto provoca problemi a numerose regole del settore, soprattutto per i vini a denominazione. Nel dettaglio, non ci sono più in questi testi alcuni elementi essenziali su cui poggiano le Do, come l'impossibilità per i prodotti senza Ig di indicare un'origine geografica inferiore a quella del Paese d'origine. Ma ci sono anche tutta una serie di modifiche sostanziali alle attuali regole, dalle menzioni tradizionali ai nomi dei vitigni, fino alla forma delle bottiglie. Ecco perché chiediamo alla Commissione di rivedere il metodo e di rispettare gli equilibri delle ultime riforme.
Però, il commissario all'Agricoltura, Phil Hogan, ha rassicurato l'Italia e il ministro Maurizio Martina sul fatto che non ci saranno rischi per i vitigni autoctoni. L'Italia teme per Lambrusco, Vermentino e altre Dop. Dobbiamo fidarci di Hogan?
Deve tenerne conto e garantire l'equilibrio trovato nel 2008, nell'ultima riforma. Sono in molti coloro che non vogliono rimettere in gioco l'attuale legislazione all'interno del settore vino, tra gli Stati Membri e nel Parlamento europeo. Ci auguriamo che Hogan capisca quale sia la posta in gioco prima di intraprendere qualsiasi modifica della legge comunitaria.
Veniamo agli accordi Ttip. Gli Usa sono in piena campagna elettorale per le presidenziali. E si ha la sensazione che, da ora in avanti, ci sarà un rallentamento dei negoziati. L'argomento vino, purtroppo, non è stato affrontato. Nel frattempo, il governo Obama ha firmato a fine 2015 il Trans pacific partnership (Tpp) con l'area asiatica. La situazione attuale non è propriamente quella auspicata, giusto?
Gli Stati Uniti sono il nostro primo mercato, dove il consumo è cresciuto in modo importante nell'ultimo decennio. Infatti, dal 2013 gli Usa sono il più grande consumatore mondiale. La discussione sulle indicazioni geografiche è ferma dalla fine della prima fase dell'accordo sui vini tra Ue e Usa nel 2006. Tuttavia, il fatto che il Parlamento Ue, un gran numero di Stati e la Commissione Ue abbiano posto tale questione tra i punti non negoziabili, obbliga gli Stati Uniti a trovare una concreta soluzione. Sarà molto difficile raggiungere l'accordo entro il 2016, ma il risultato è più importante dei tempi coi quali questo si raggiunge.
Una vera e propria battaglia si svolge nel Pacifico. Alcune regole del Tpp ci riguardano e seguiremo con attenzione la ratifica di questo accordo. Si tratta di mercati molto promettenti e in piena crescita, e per il nostro settore ciò rappresenta una reale opportunità. Per questo, crediamo che la Commissione debba concentrare i suoi sforzi di negoziazione in questa parte del mondo, chiudere e ratificare rapidamente una serie di accordi.
Gli accordi di libero scambio non possono limitarsi alla semplice eliminazione delle barriere tariffarie. Cosa chiedete in particolare?
Riteniamo che qualsiasi accordo debba consentirci di avere un miglior accesso al mercato dei Paesi terzi. E ciò passa per il riconoscimento e la protezione delle Ig vinicole. Il fatto che un produttore in un Paese terzo possa usare liberamente le nostre denominazioni per produrre e commercializzare del vino ci provoca serie difficoltà. In effetti, tutto ciò impatta non solo sulle nostre quote di mercato e sulla fidelizzazione del consumatore, ma riduce nel lungo termine il concetto stesso di indicazione geografica.
Parliamo di autorizzazioni. Il nuovo sistema è in vigore dal 1 gennaio 2016. I grandi produttori, come l'Italia, probabilmente chiederanno all'Europa di aumentare il limite dell'1% per il vigneto nazionale. Lo faranno nel 2017, nell'anno della revisione della Pac. Ci sarà bisogno di aumentare il potenziale sopra l'1% per soddisfare i mercati?
Difficile, in questo momento iniziale, misurare i concreti effetti sui nostri terroir e sullo sviluppo del vigneto. Faremo un primo bilancio dopo la fase di chiusura dei singoli dossier che termina a fine aprile 2016. Allora sapremo se le richieste dei viticoltori avranno sorpassato o meno i plafond nazionali. Non escludiamo certo che si possa chiedere alla Commissione di migliorare le regole d'applicazione. In ogni caso, siamo soddisfatti per essere riusciti a preservare uno strumento di regolamentazione del nostro potenziale produttivo. Oggi, la viticoltura è l'ultimo settore in Europa che gode di un tale strumento. Molti altri settori agricoli ci invidiano.
Efow, tra i suoi compiti principali, si occupa degli aspetti sociali legati al consumo di vino. Quali progetti prevedete, in concreto, in questo 2016? E come giudica l'aumento delle preferenze dei consumatori per i vini a basso tenore alcolico?
I nostri soci ritengono fondamentale promuovere il consumo responsabile come il punto di partenza delle politiche europee in materia di consumo di alcolici. Il prolungamento del mandato al Forum europeo alcol e salute da parte della Commissione Ue è, in questo senso, un attestato di fiducia. Quest'anno una importante verifica sarà data dalla pubblicazione dello studio sugli ingredienti e il loro valore nutrizionale. Efow e, più in generale, la filiera del vino devono essere propositivi.
Per quanto riguarda i vini a basso tenore alcolico, penso che il progresso di queste tipologie risponda all'attenzione dei consumatori per prodotti più leggeri. Pertanto, la nostra offerta deve sapersi adeguare a questa domanda, perché molti nuovi consumatori conoscono il mondo del vino proprio attraverso questi vini, spesso più semplici e più facili da approcciare. L'educazione al vino attraverso questi prodotti è, in fondo, un eccellente mezzo per avvicinare i consumatori ai vini più tradizionali. Si arricchisce la nostra offerta e, allo stesso tempo, la varietà della clientela.
Veniamo a internet, che in futuro sarà uno dei canali privilegiati per vendere vino, come lei ha dichiarato appena insediatosi. Ma è proprio questo un ambito dove difendere le denominazioni è più difficile. Come bisogna agire?
Fino a oggi, i negoziati si sono concentrati essenzialmente sul mondo reale, l'offline, e non sono stati abbastanza attenti al mondo virtuale dell'online. Tuttavia Internet è un mezzo sempre più usato per informarsi e fare acquisti e in futuro potrebbe essere uno dei nostri mercati più importanti. Cito un dato: le vendite online di vino sono cresciute del 30% ogni anno. È pertanto fondamentale definire le regole del gioco per assicurare una concorrenza leale. La battaglia condotta da Efow sul dossier .wine e .vin ha permesso di evidenziare le difficoltà che ci sono e quelle a cui andremo sempre più incontro. Abbiamo saputo negoziare un accordo commerciale che ci soddisfa ma non basta. Oltre 1.930 nuovi nomi di domini generici (generic top level domains) sono nati in seguito alla liberalizzazione della rete senza che ci sia stata una reale riforma della governance di Internet. Pensiamo che la Commissione Ue, in collaborazione con gli Stati membri, la società civile e i settori che hanno un'alta propensione all'export debbano fare delle riflessioni approfondite su questo dossier e occuparsi di questa nuova realtà prima che sia troppo tardi. Cioè, prima che potenziali mercati per i nostri produttori siano vittime del cyber-squatting.
La promozione dei vini è uno dei temi più sentiti dai produttori. Lei viene da Bordeaux. Ci spiega quale strategia è migliore per farla?
Storicamente, Bordeaux ha costruito la sua notorietà e la valorizzazione dei vini puntando sulla qualità dei prodotti, ma anche sugli Chateaux e su marchi più noti. Questa notorietà è stata costruita diffondendo i suoi vini in tutto il mondo, spesso anche grazie a venditori stranieri. Consideri che molte società a Bordeaux hanno ancor oggi dei nomi di origine inglese, olandese, austriaco e belga. In seguito, la creazione Aoc negli anni Trenta ha fatto in modo che vigneto Bordeaux nel giro di 25 anni si sia trasformato quasi al 100% ad Aoc. Una scelta forte, che ha consentito alle imprese di concentrarsi sulla valorizzazione dei vini piuttosto che sui volumi prodotti, attraverso la ricerca di mercati nuovi. In ognuno di questi entrano dapprima i vini più prestigiosi, poi è la volta dei nostri Bordeaux e Bordeaux superiori che sviluppano la rete, prima che il resto della gamma completi tale processo. Il consistente numero di esportatori presenti sul mercato contribuisce a una maggiore diffusione, grazie al duro lavoro per mantenere e sviluppare tutti i giorni le vendite in un contesto di forte competizione.
a cura di Gianluca Atzeni
Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 18 febbraio
Abbonati anche tu se sei interessato ai temi legali, istituzionali, economici attorno al vino. È gratis, basta cliccare qui