Un po' per sfida un po' per fare un esperimento, Alessandro Pipero, patron di uno dei più importanti ristoranti di Roma (Pipero al Rex, 2 Forchette nella guida Ristoranti del Gambero Rosso) e uomo di sala tra più noti e arguti, ha voluto provare l'esperienza di lavorare in uno di quei ristoranti per turisti per vedere come l'Italia del cibo si presenta all'estero. E non è stata una bella scoperta.
“7 euro l'ora più le mance. Un paio di giorni di prova, poi sono andato via”. A parlare è Alessandro Pipero, patron del ristorante omonimo a Roma, e tra i più famosi uomini di sala d'Italia. Professionalità, arguzia, personalità da vendere, lui è uno degli uomini del rinascimento della professione del cameriere. “Siamo tutti camerieri” è uno dei suoi slogan più noti con cui ha voluto dare visibilità a una professione ancora considerata gregaria rispetto al quella del cuoco, ma che sta lentamente conquistando terreno seppur con molte difficoltà. Questo per quanto riguarda l'alta ristorazione. Ma che succede quando si esce da questa zona di eccezionalità per entrare nel mondo della ristorazione turistica? È quanto ha voluto sperimentare Alessandro Pipero, come raccontato oggi da Andrea Cuomo su Il Giornale.
Pipero cerca lavoro
Invia il curriculum a un ristorante nel centro di Roma, uno di quelli che si possono definire senza tema di smentita acchiappaturisti, qualche aggiustatina qua e là nel racconto delle sue esperienze professionali con un'esperienza fittizia come trasportatore e un'altra nei catering, un'ipotetica famiglia a carico e la dichiarazione convincente della voglia (e la necessità) di lavorare. Detto fatto: arriva la risposta con l'invito a presentarsi al lavoro. Alla faccia di chi dice che in Italia non se ne trova. Perché tutta questa messa in scena? “Per una volta non volevo fare comunicazione” dice sornione “l'ho fatto perché volevo toccare con mano com'è il mondo là fuori” quello dell'accoglienza selvaggia, insomma, dei pullman di cinesi scaricati direttamente ai tavoli con vista. “Ma soprattutto volevo vedere cosa non va fatto”.
La cucina
E la scoperta è stata delle peggiori, un'esperienza degna di format televisivi tipo Cucine da incubo “carbonara spaventosa, con dentro formaggi e panna di provenienza incerta”, imitazioni di cui tanto ci lamentiamo all'estero ma che hanno largo mercato anche a casa nostra. Pizze gommose, farcite con i siluri di formaggio simil-mozzarella che del nostro fiordilatte non conservano neanche un ricordo sbiadito e tutto il contorno della falsa cucina italiana. A prezzi da ristorante d'autore. “una margherita anche 12 euro” dice Pipero, e con una birra e un dolce si arriva facilmente a 30. Per non parlare di un pasto da ristorante: “stiamo sui 60-70 euro. È il 10% in meno di un ristorante di alta qualità”. E una mancanza di cura che arriva da ogni parte: pasta scotta, ricette approssimative, ingredienti di scarsissima qualità, e poi piatti pronti dimenticati sul pass nell'attesa di essere serviti, camerieri che scompaiono per fumare (si, in servizio, tra un piatto portato e l'altro), bisticci per le mance, bicchierini di vino bevuti qua e là, incuria generalizzata. “Si servono cibi scandalosi in modo scandaloso”. E intanto il turista paga, e soprattutto si fa un'idea. È questa l'Italia del buon vivere? Quella del cibo e dell'ospitalità? Al netto delle immagini da cartolina, che ci fanno pure irritare perché zeppe di luoghi comuni, la realtà è un'altra, ben più amara. Quella di un paese sciatto che mortifica ciò che ha di bello e di buono. Che deprezza l'incredibile cultura che ha ereditato. Tanto quella artistica dei monumenti, sviliti da trasandatezza e attività commerciali tremende, sia quella gastronomica, che potrebbe essere il nostro asso nella manica.
I colleghi
Come se l'è cavata Pipero? “Hanno pensato che potessi andare per questo lavoro” dice, e se la ride “beh, in effetti ho fatto il cameriere per tanti anni”. Insomma, la professionalità è stata riconosciuta? Sì, ma non in modo così evidente. Di sicuro ciò che è emersa è la voglia di lavorare, “anche perché” racconta “è pieno di persone che non vedono l'ora di non lavorare, non fanno che pensare a come attaccare un permesso alle ferie per stare a casa”. Cosa c'è di strano? “Che chi ama questo lavoro usa il suo unico giorno di riposo per studiare, andare alle manifestazioni o ai congressi per conoscere i grandi della ristorazione. Sacrifica sonno e riposo per provare un ristorante e il suo servizio”. È un mestiere che si fa con la passione. E invece in questi posti assumono tutti, anche chi non ha esperienza o preparazione. È questa mancanza di professionalità si vede. “Capisco che oggi avere avere un'attività ha un peso tale dal punto di vista fiscale che non tutti si possono permettere dipendenti professionali” ma non basta. Perché il personale deve essere trattato bene, incentivato, spinto a fare bene e fare meglio: “una delle ragioni per cui ho fatto questa esperienza è per tornare dall'altra parte, e vedere quali sono gli errori” dice “tutti i giorni parlo con i ragazzi, cerco di motivarli. E questa è una cosa fondamentale”. Chi erano i tuoi colleghi? “C'era un po' di tutto: qualcuno senza arte né parte, qualcuno che non trovava altro, per qualcun altro invece quello era il secondo lavoro. Anche perché uno che vuole fare cameriere in un certo modo, il curriculum lì non lo manda proprio”.
Ancora sulla formazione
Non esiste una formazione, una codifica di questa professione. Insomma: “mentre per fare l'idraulico o il dentista devi avere dei requisiti e delle competenze ben chiare, per fare il cameriere no. Non si spiega perché non sia come in qualsiasi altra professione in cui bisogna sapere delle cose”. Non è raro quindi incappare in gente improvvisata, del tutto incapace di stare in sala. “E dire che, mentre l'errore in cucina si perdona o si recupera, quello in sala no”. E allora p sempre più urgente l'esigenza di dare una definizione precisa a questo mestiere, che ne tracci i contorni e ne definisca le caratteristiche. “Che poi” aggiunge “in qualsiasi officina vai, di qualunque livello, se chiedi chi è Jean Todt i meccanici lo sanno. Non dovrebbe essere così pure con i camerieri?”. Quindi nessuno ha riconosciuto in quel nuovo arrivato Alessandro Pipero, anima di Pipero al Rex, che con Luciano Monosilio a firmare la cucina ha conquistato le Due Forchette del Gambero Rosso. “Non hanno mai sentito nominare neanche Bottura. Ti pare che riconoscono me?”
Una professione che non conosce regole precise
Il menu? Parmigiana, prosciutto e melone (in inverno, già), l'antologia dei primi romani, l'immancabile pasta con pomodoro e basilico con quelle foglioline tristi e scure. Uno scempio. “È un po' quello che ti capita quando vai a Times Square e decidi di prenderti una cosa proprio lì per goderti lo spettacolo, con la differenza che qui da noi c'è una cultura alimentare fortissima e per una cosa del genere uno si dovrebbe arrabbiare”. Cosa bisognerebbe fare per riqualificare il settore? “Servono regole, servono politiche che incentivino la qualità. Per esempio dal Ministero del Turismo. Serve puntare in alto”. Bisogna cercare di disciplinare questa professione che è una delle grandi risorse nostrane, pretendere serierà. “Invece l'imprenditoria di settore è allo sbando” conclude.
Pipero al Rex | Roma | via Torino, 149 | tel. 06 4815702
a cura di Antonella De santis