C'è fame di informazione seria nel mondo del cibo. Per questo a Torino nasce il primo festival dedicato al giornalismo alimentare.
L'esame di stato per diventare giornalista non prevede domande legate al cibo. Neanche riguardo le Dop e le Igp. Eppure l'interesse su tutto quanto riguarda l'alimentazione è sempre più alto. I lettori vogliono saperne di più e gli organi di informazione si adeguano. Ma come? Qualcuno si documenta e approfondisce, altri si limitano a cavalcare l'onda di quella che sembra una miniera d'oro inesauribile. Ma che va ben oltre la moda e investe, forse come nessun altro tema, ogni aspetto della nostra vita e, di conseguenza, ogni settore del giornalismo: economia, politica, cronaca giudiziaria, costume, alimentazione, gossip. Per questo, e per l'esigenza di migliorare il modo in cui i giornalismi (quello tradizionale, l'online, i blog) si occupano di un tema tanto centrale nella nostra vita, Torino ospita il primo Festival del Giornalismo Alimentare, ovvero due giorni per capire e migliorare l'informazione di settore, e per riflettere sul ruolo della stampa. Perché si può parlare di cibo senza parlare di chef. Ce ne parla il direttore Massimiliano Borgia.
Come nasce questo festival?
All'inizio di tutto c'è stato un coworking, poi un service giornalistico, cioè una società di giornalisti organizzata (e con un'unica partita Iva). In questo humus spesso riflettiamo su dove sta andando il giornalismo. Ed è nato un dibattito sulla qualità dell'informazione alimentare.
Perché parlare di giornalismo alimentare?
Non è un tema furbetto, non vogliamo parlarne perché va di moda il cibo, ma visto che va di moda bisogna parlarne bene.
Quindi non parte dal cibo?
Al contrario: dalla necessità di aggiornare il giornalismo sui temi dell'alimentazione. Siamo giornalisti, per prima cosa. Poi c'è l'interesse per il cibo. Oltre alla passione personale c'è l'aspetto professionale che ci coinvolge tutti. Dobbiamo chiederci come stiamo facendo comunicazione e informazione, senza mai perdere di vista l'obiettivo della qualità. Perché, aldilà dello specifico dell'enogastronomia e della critica gastronomica, il tema dell'alimentazione tocca tutti i settori giornalistici: cronaca nera, economia, politica, salute, costume. Difficilmente incontri altri temi così trasversali. E il pubblico chiede sempre più di occupartene.
Perché secondo te?
I motivi per cui il cibo riscuote tanta attenzione sono diversi: per esempio perché sublima ansie e paure, partecipa del senso di identità, traduce la cultura di un popolo, ma ci sono moltissimi altri temi in ballo. La riflessione sul cibo è importante, e la sto portando avanti con il Festival di Filosofia del Cibo. Ma questo appuntamento è un'altra cosa. E non è neanche un festival di cibo, di chef e di vino, infatti non ci sono cuochi.
Quali sono i problemi maggiori?
Serve più formazione. Basti pensare che nell'esame di stato per diventare giornalista non ci sono domande su temi alimentari. C'è un interesse enorme su questi temi, i lettori vogliono saperne sempre di più, e bene, e questa richiesta è destinata a crescere. Invece ci sono carenze enormi. Dobbiamo pensare al nostro pubblico: a cosa gli stiamo dando. Serve dare informazione di qualità.
Quali sono gli obiettivi del festival?
È soprattutto un'occasione di formazione con lezioni e momenti di confronto su temi caldi e il più possibile ampi, perché vogliamo riflettere su come parlare di cronaca giudiziaria che riguarda i reati alimentari, o come è meglio spiegare questioni legate alla salute e alla nutrizione. Insomma non si tratta solo di cucina e ristoranti, ma di cibo in ogni suo aspetto.
Ci sono molti appuntamenti tecnici al festival
Sì, è indispensabile, perché l'informazione sia migliore, far incontrare il giornalismo con le professioni scientifiche, con chi si occupa di salute e sicurezza alimentare. C'è una diffidenza degli ambienti medici e scientifici verso i giornalisti, ma nell'interesse dei cittadini si deve far dialogare questi due mondi. Per questo motivo il festival vale per i crediti formativi per il settore medico. È una novità assoluta.
Questa è la prima edizione. Cosa vi aspettate?
Posso dire intanto cosa ci aspettavamo in origine: pensavamo che avremmo avuto 300 persone in tutto, siamo quasi a 1000: 500 giornalisti, 150 professionisti della sicurezza alimentare, 120 food blogger. E siamo molto contenti, anche perché uno dei nostri obiettivi era fare incontrare i diversi giornalismi. E con questo intendo: giornalismo tradizionale, cartaceo, online e non solo, perché bisogna considerare anche i blog e i food blog.
Tutti sullo stesso piano?
Il valore lo determina la qualità dell'informazione, non lo strumento. Confondiamo spesso la carta stampata con l'autorevolezza, bisogna invece guardare alla testata autorevole, al blog autorevole, ai contenuti di valore. C'è gente che fa qualità e fa anche i numeri: in un momento in cui il “vecchio” giornalismo perde seguito e contatti, i nuovi comunicatori del cibo fanno ogni mese numeri altissimi. Chi si può permettere di guardare gli altri dall'alto in basso? Poi bisogna anche considerare che è una realtà in movimento, soprattutto quella dei blog: alcuni fanno i soldi e altri sono nati proprio per quello. È un panorama in evoluzione, e negli anni il festival può essere la cartina di tornasole di questo cambiamento. Oltre a rappresentare un momento di incontro delle varie professionalità.
Come credi sia possibile?
Stiamo cercando di costruire una rete del festival, una sorta di Linkedin di settore dell'informazione alimetatre, che sia anche un bollino di qualità. Mettere in connessione le persone è fondamentale, perché non possiamo ignorare come evolve il nostro settore. Dobbiamo affrontare anche aspetti sindacali perché il mondo esterno alla professione giornalistica, a quella dell'Ordine per intenderci, non sia il far west.
Cosa determina il successo di un blog o un giornale?
Sempre di più la specializzazione, la formazione, la serietà: il pubblico premia le cose più simpatiche, ma poi va dove trova le notizie. Ma la specializzazione non c'è in questo momento, perché di cibo si occupano tutti, spesso senza alcuna preparazione. È il terreno dei colleghi che si occupano di costume, per lo più, o di chi si trova ad affrontare temi connessi alla specifica notizia.
Come si fa a essere credibile?
Serve serietà. E la serietà deve stare da tutte le parti: ognuno ha il suo pubblico come è sempre stato nel giornalismo, si tratti di temi tecnici o di gossip. Magari ora ci sono più foto o video, ma il giornalista deve fare sempre la stessa cosa: partire da ciò che secondo lui è una buona notizia e che interessa i lettori, cercare il confronto con le parti in causa, approfondire quello che non sa per dare un'informazione accurata e precisa. E se non conosce una cosa non ne parla. Anche perché il rischio di incappare in una bufala è dietro l'angolo. Quello di cui parlo è un approccio molto vicino alla vecchia informazione da settimanale.
Quali sono gli allarmi maggiori?
La dipendenza dal comunicati stampa. Il copia-incolla selvaggio in cui è l'ufficio stampa, quando è bravo, che crea la notizia e il giornalista l'affronta senza spirito critico né curiosità. Mancano cultura, deontologia e forma mentis, ma non dimentichiamo che abbiamo una responsabilità nei confronti del pubblico. Anche perché il ruolo dell'informazione è anche un altro: tenere desta l'attenzione su alcuni temi. Guarinello dice che non ha mai avuto così tante sollecitazioni di denunce di reati alimentari come negli ultimi 5 anni. Quindi quando le persone vogliono più chiarezza e più informazione, le istituzioni sono sollecitate a occuparsene. È una catena virtuosa.
Come vedi il futuro di questo settore? È una bolla pronta a esplodere?
Bisognerà parlare meno di cuochi e più di cibo e di quello che mangiamo. Il tema centrale è la sicurezza alimentare. Aumenterà sempre più la richiesta da parte dei lettori di capire di più. Anche perché i lettori sono consumatori.
La figura dello chef, in questo panorama sembra essere messa in secondo piano
La frontiera dello chef di domani è quello di mettere insieme i prodotti del paniere e i presidi, di concerto con il tecnologo alimentare. Deve rendere gradevole quello che il tecnologo dice che fa bene. Lo chef cui penso io è una figura dell'industria alimentare che rende possibile questo incontro. È una frontiera meno laccata ma di forza economica molto più grande perché crescerà la richiesta di notizie e chiarimenti sulla qualità di ciò che si mangia. Poi lo star system avrà sempre la sua parte, ma questo è un altro mondo. Un mondo fatto di programmi in tv, dove la cucina è solo lo sfondo ed è la gara l'elemento centrale.
Festival di Giornalismo Alimentare | Torino | Cavallerizza Reale | dal 25 al 27 febbraio 2016 | http://www.festivalgiornalismoalimentare.it/wp/
a cura di Antonella De Santis