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Finocchiona. È arrivata l'Igp, ma le polemiche non mancano. ...

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Sono passati un paio di mesi dall'Igp a uno dei salumi simbolo della Toscana, ma non mancano le polemiche. Ecco cosa ci hanno detto alcuni dei più famosi macellai della regione.

Anche se l’estate sembrerebbe sconsigliare l’utilizzo di salumi, è proprio questo invece il momento in cui viene consumata la finocchiona durante le gite fuori porta della domenica. Salume classico toscano, è salito agli onori della ribalta di recente, grazie all’assegnazione della Igp, il riconoscimento europeo che le permette di inserirsi tra gli insaccati italiani di miglior pregio. Non che la decisione sia piaciuta a tutti, c’è chi proclama senza mezzi termini che non toglierà il nome finocchiona al suo prodotto, anche se non rispetta in maniera precisa quanto viene richiesto dal disciplinare.

Metodi di produzione

Partiamo però dall’inizio, ovvero dalla composizione di questo salume, che vede le rifilature del prosciutto e del guanciale unite al grasso duro del maiale, il tutto tritato e poi aromatizzato con pepe in grani, sale, vino rosso e semi di finocchio, freschi o essiccati, che danno poi il nome al prodotto. Una stagionatura che cambia molto, c’è anche chi la preferisce molto breve, anche se la media è di circa sei mesi per averla pronta al consumo, ma a seconda della pezzatura può variare ancora. Ed è proprio questo uno dei punti che fanno discutere alcuni produttori artigianali, che non vogliono una misura standard, come Simone Fracassi, macellaio di Castel Focognano, in provincia di Arezzo, che non riesca a capire come la sua, “una finocchiona prodotta con maiale brado, del peso di circa 900 grammi, con una salubrità dimostrata, non possa fregiarsi di questo nome”. Qualcuno vorrebbe provocatoriamente chiamare il proprio salume “sbriciolona” altro nome con cui viene conosciuto il salume, così detta perché la fetta, magari grande, tende a sbriciolarsi al momento del taglio, anche se alcuni testi riportano una composizione diversa, leggermente più magra. Dario Cecchini, il famoso macellaio di Panzano, è convinto che “conterà sempre tanto la mano dell’artigiano, il sapere che verrà conservato e l’Igp sarà una tutela in più”.

I numeri dell'Igp

Al momento sono 43 i produttori associati ma le richieste ulteriori di affiliazione sono 65: il giro di affari è valutato in 20 milioni di euro al consumo su una produzione stimata di 15 mila quintali. La Toscana, a questo punto, ha così riconosciuta pienamente la paternità di un prodotto che apre spesso i pranzi classici, nel misto di affettati e crostini, antipasto cardine delle trattorie tipiche, anche se in molti lo prediligono quale street food per una veloce pausa pranzo o una merenda gradita. C’è chi si è anche cimentato in preparazioni meno consuete, mettendola come ripieno nei ravioli o proponendola anche grigliata. Sergio Falaschi, dell’omonima macelleria di San Miniato, in provincia di Pisa, è stato uno dei produttori che ha seguito con attenzione tutto il lungo processo che ha portato all’ottenimento della certificazione europea. “Credo che il lavoro che è stato fatto sia stato importante ed è proprio per questo che ritengo che sia importante marciare uniti, a difesa del prodotto, pur nelle differenze, per aumentare ancora, in maniera generale, la qualità”. Parole che fanno capire bene quella che dovrà essere la strada di un insaccato che rischiava di perdersi nell’anonimato e che oggi riesce così ad avere la forza per affermarsi sul mercato che ricerca la qualità.


www.finocchionaigp.it/


a cura di Leonardo Romanelli

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